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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Stampa - La Repubblica - Il Foglio Rassegna Stampa
07.04.2010 Obama: sì al disarmo nucleare, ma pronti a difenderci da Iran e Corea
Cronache di Maurizio Molinari, Federico Rampini, Redazione del Foglio

Testata:La Stampa - La Repubblica - Il Foglio
Autore: Maurizio Molinari - Federico Rampini - La redazione del Foglio
Titolo: «Armi atomiche solo in extremis - Ma l´America vuole mano libera per affrontare l´Iran e la Corea - Ma davvero ci conviene mollare le odiate atomiche di casa?»

L'atomica nelle mani di una democrazia è garanzia di libertà e pace. Le armi nucleari sono un pericolo quando sono in mano alle dittature, per questo è giusta la decisione Usa di tenere le mani libere per eventuali casi estremi, ad esempio Iran e Corea.

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 07/04/2010, a pag. 10, la cronaca di Maurizio Molinari dal titolo " Armi atomiche solo in extremis ". Da REPUBBLICA, a pag. 9, l'articolo di Federico Rampini dal titolo " Ma l´America vuole mano libera per affrontare l´Iran e la Corea ". Dal FOGLIO, a pag. 3, l'articolo dal titolo " Ma davvero ci conviene mollare le odiate atomiche di casa? ".

La STAMPA - Maurizio Molinari : " Armi atomiche solo in extremis "


Maurizio Molinari

Gli Stati Uniti contano meno sulle armi nucleari per difendersi dalle minacce del XXI secolo: attorno a questo principio verte la «Nuclear Posture Review» con cui la Casa Bianca ridisegna la strategia di gestione dell’arsenale atomico. «La più grande minaccia per gli Stati Uniti e per la sicurezza del mondo non viene da una guerra fra nazioni nucleari ma dal terrorismo e dalla proliferazione nucleare di un crescente numero di Stati», afferma il presidente Barack Obama nella dichiarazione che accompagna il documento strategico. Da qui le conseguenze: gli Usa non svilupperanno nuove armi nucleari e rinunciano ad adoperarle, anche per autodifesa, con tre sole eccezioni: guerra con potenze nucleari o conflitto con Stati che non aderiscono o violano il Trattato contro la proliferazione, ad esempio Corea del Nord e Iran. Obama non si spinge fino a rinunciare al diritto di «primo uso dell’arma atomica» ma il passo che compie riduce drasticamente l’importanza delle atomiche per il Pentagono.
E’ la scelta con cui la Casa Bianca inaugura una settimana che si propone di avvicinarsi all’obiettivo del «mondo senza atomiche» di cui Obama lo scorso anno parlò nel discorso di Praga: domani, sempre nella capitale della Repubblica Ceca, firmerà l’accordo Start con la Russia di Dmitri Medvedev sul limite massimo di 1.500 testate nei rispettivi arsenali e lunedì a Washington presiederà il summit di 47 nazioni per varare misure adatte a mettere sottochiave entro quattro anni tutto il materiale nucleare a rischio disseminato nel Pianeta. L’obiettivo dell’Amministrazione Usa è accelerare il disarmo nucleare, nazionale e non, in parallelo con gli sforzi per arginare la proliferazione, creando un’ampia convergenza internazionale su entrambi i temi: in fondo a questa strada c’è l’isolamento di nazioni come Corea del Nord e Iran, che stanno tentando di diventare potenze nucleari.
«Stiamo inviando a Pyongyang e Teheran un messaggio molto forte, devono rispettare le regole del gioco oppure ogni opzione è sul tavolo» sottolinea il ministro della Difesa Usa, Robert Gates, presentando il documento strategico assieme al Segretario di Stato Hillary Clinton e al capo degli Stati Maggiori Congiunti, Mike Mullen, secondo il quale «questo piano non indebolisce la deterrenza nei confronti del nemico». Hillary Clinton è convinta che lo slancio di Obama sul disarmo possa portare a nuovi sviluppi positivi con Mosca: «Cerchiamo un terreno comune sul programma anti-missile».
Al Congresso, però, l’opposizione repubblicana lamenta il rischio di «conseguenze negative per la sicurezza nazionale» a causa di «linguaggio e segnali destinati a essere percepiti dai nostri nemici come elementi di debolezza». Il malumore dell’opposizione potrebbe creare problemi all’Amministrazione in vista della ratifica del trattato Start da parte del Senato, dove per l’approvazione servono 67 voti su 100, mentre i democratici ne hanno solo 59. Obama si mostra però sicuro di riuscire a unire il Congresso dietro di sé: «Abbiamo compiuto un passo per fermare la proliferazione, prevenire il terrorismo nucleare e avvicinare il giorno in cui queste armi non esisteranno più. Ora lavoreremo con determinazione per ridurre gli arsenali, mettere al sicuro il materiale a rischio e rafforzare il Trattato contro la proliferazione». Come dire, stiamo cambiando il mondo in cui viviamo.

La REPUBBLICA - Federico Rampini : " Ma l´America vuole mano libera per affrontare l´Iran e la Corea "


Ahmadinejad

NEW YORK - Un anno esatto dopo aver promesso "un mondo liberato dalle armi atomiche", Barack Obama fa un gesto concreto in quella direzione. E´ solo un primo passo ma è già uno strappo storico rispetto alla tradizione. Il presidente annuncia un´autolimitazione nell´uso eventuale di armamenti nucleari. La "dottrina Obama" esclude che gli Stati Uniti possano usare l´atomica per difendersi da nazioni che non ce l´hanno. Neppure se una di queste dovesse attaccare con altre armi di distruzione di massa, chimiche o batteriologiche. Allo stesso modo, Obama si preclude fin d´ora di ricorrere al nucleare contro un eventuale cyber-attacco, per quanto possa avere effetti paralizzanti sulle infrastrutture vitali del paese. Imponendosi da sola delle restrizioni precise, l´America punta a esercitare la "leadership attraverso l´esempio", un principio ispiratore di questa presidenza. Non a caso la dottrina Obama viene annunciata appena 48 ore prima la firma di un trattato con la Russia per una nuova riduzione concertata dei rispettivi arsenali. E l´auto-limitazione si accompagna a un´offensiva diplomatica a tutto campo: Washington invita la Cina a "maggiore trasparenza" nei suoi piani di riarmo; chiama a raccolta la comunità internazionale per impedire che armi nucleari finiscano ai terroristi; intensifica la pressione per le sanzioni contro il programma atomico dell´Iran. Quest´ultimo, insieme alla Corea del Nord, resta fuori dalla lista dei paesi "al riparo" da rappresaglie atomiche: la condizione per esserne parte è di rispettare il trattato di non-proliferazione.
La svolta strategica di Obama è stata presentata ieri al Congresso dal segretario alla Difesa, Robert Gates, nella Nuclear Posture Review. E´ un aggiornamento della strategia nucleare che viene fatto in media ogni dieci anni. E´ da mezzo secolo che questo appuntamento istituzionale non veniva usato per una revisione così profonda. Il premio Nobel per la pace ha voluto imprimere il suo segno nel concetto di "deterrenza". Nella nuova versione "il ruolo fondamentale del deterrente nucleare è la difesa dell´America e dei suoi alleati da attacchi nucleari". Diventa quindi sproporzionato e illegittimo, uno scenario in cui l´America usi la sua superiorità nucleare per difendersi da un´aggressione compiuta con altri mezzi. Obama non si è spinto fino al punto da escludere che siano gli Stati Uniti a sferrare il "primo colpo", come avrebbe voluto l´ala pacifista dei democratici. Resta la possibilità di un attacco preventivo, se ci fossero segnali di un´imminente aggressione nucleare da parte di altri. Inoltre non rinunciare al "primo colpo" è un modo per rassicurare alcuni alleati: dalle democrazie dell´Europa dell´Est, alla Corea del Sud. Se l´America riducesse il suo nucleare a uno strumento di pura autodifesa, perderebbe credibilità il suo "ombrello" sugli alleati esposti ad eventuali attacchi di altre potenze. Pur senza arrivare alla revisione più drastica auspicata dai pacifisti, la dottrina Obama è una rottura non solo rispetto all´Amministrazione Bush ma anche verso altri precedenti. Il presidente ha anche deluso il suo segretario alla Difesa, escludendo lo sviluppo di nuove tecnologie nell´arsenale nucleare. La "settimana atomica" di Obama prosegue domani a Praga al vertice con il presidente russo Dmitri Medvedev, per la firma del trattato Start 2 che taglierà dal 13% al 30% varie tipologie di armi nucleari delle due superpotenze. Poi Obama ospiterà a Washington il 12 e 13 aprile 47 capi di Stato e di governo, il più largo summit dalla fondazione dell´Onu 65 anni fa: all´ordine del giorno la sicurezza degli arsenali atomici e dei depositi radioattivi, per impedire che possano finire nelle mani di terroristi o Stati-canaglia.

Il FOGLIO - " Ma davvero ci conviene mollare le odiate atomiche di casa? "


Obama

Istanbul. Un anno fa, durante un discorso al castello di Praga, Barack Obama ha lanciato una grande sfida ai paesi della Nato e ai partner come la Russia: cancellare le armi nucleari e mettere fine alla “mentalità da Guerra fredda”. Domani, il presidente americano torna nella capitale ceca per il nuovo accordo sulla riduzione delle armi atomiche, conosciuto con la sigla Start. Con lui c’è il capo del Cremlino, Dmitri Medvedev: insieme, rappresentano i due paesi che possiedono gli arsenali atomici più importanti del pianeta. Molti sostengono che questo sia il primo, vero successo di Obama in politica estera, altri pensano che l’intesa penalizzi i migliori alleati dell’America. In Iran, le centrali continuano a produrre uranio arricchito e l’esercito testa missili in grado di colpire Israele e l’Europa. In Corea del nord, il regime chiude le porte dei siti sospetti ai commissari dell’Onu. Forse è il momento meno opportuno per rinunciare alla supremazia nucleare. Il Trattato di Praga prevede che gli Stati Uniti e la Russia riducano i loro arsenali del trenta per cento nei prossimi sette anni. I dettagli dell’accordo saranno pubblici nei prossimi giorni, ma è possibile che Obama decida di tagliare il numero di testate distribuite in Europa. Una delle ricerche più accurate sul punto è stata eseguita nel 2005 da un think tank americano, il Natural Resources Defence Council (Nrdc). Nel Vecchio continente ci sono 200 bombe B61, ordigni costruiti nei laboratori di Los Alamos nel Nuovo Messico a partire dagli anni Sessanta. Si trovano in Italia, Germania, Francia, Olanda, Inghilterra, e Turchia, sono nelle basi Nato o sotto la custodia degli alleati, che le dovrebbero consegnare agli americani in caso di necessità. Gli analisti di Nrdc dicono che l’Italia proospita novanta bombe: un deposito è nella base di Aviano, presso il quartier generale della 31esima Fighter Wing, l’altro a Ghedi, in provincia di Brescia. In Belgio, il governo ha fatto sapere che presenterà al più presto una mozione alla Nato per chiedere ai paesi del Vecchio continente di restituire le ultime B61 rimaste sul territorio europeo. In Turchia, questa ipotesi solleva un dibattito piuttosto ampio. Il quotidiano Zaman dice che l’operazione dovrebbe ottenere il consenso di tutte le parti in causa: “Niente atti unilaterali”. Alla base di Incirlik, tre ore d’auto dal confine con la Siria, ci sono novanta testate. La loro presenza, sostengono alcuni rappresentanti del governo, serve come deterrente verso altri paesi della regione. Il premier turco, Recep Tayyip Erdogan, ha difeso in molte occasioni il programma atomico dell’Iran, ma non sarebbe affatto felice di avere gli arsenali vuoti e un vicino imprevedibile munito di armi nucleari. “Non sappiamo ancora se l’Iran oltrepasserà la soglia – dice al Foglio Mustafa Kibaroglu dell’Università Bilkent di Ankara – Se diventerà una potenza nucleare, i calcoli cambieranno e alcuni paesi saranno costretti a rivedere la loro posizione. Non credo, tuttavia, che la sola presenza delle bombe americane sia un deterrente credibile nei confronti dell’Iran”. Dal fronte diplomatico non arrivano buone notizie: il Consiglio di sicurezza dell’Onu si è riunito lunedì e non ha incluso il dossier tra i punti discussi in aprile. Bisognerà aspettare più di un mese per aprire le trattative sulle possibili sanzioni contro gli ayatollah. Questa è la seconda pedina importante che Obama sposta nel campo delle relazioni atlantiche. La prima mossa è arrivata lo scorso anno, quando il capo della Casa Bianca ha rinviato la costruzione dello scudo spaziale, un progetto del suo predecessore, George W. Bush, per proteggere l’Europa da un attacco iraniano. Lo scudo prevedeva una base missilistica in Polonia e un radar nella Repubblica ceca. Medvedev e il suo premier, Vladimir Putin, lo hanno sempre considerato come una minaccia piuttosto esplicita nei confronti della Russia. Il governo di Varsavia e quello di Praga hanno deciso di partecipare al piano nonostante le resistenze dell’opinione pubblica. Per questo, la scelta di Obama è stata vissuta da molti come un disimpegno pericoloso: l’ex presidente ceco Vaclav Havel e venti vecchi leader dell’est, fra i quali Lech Walesa, hanno scritto una lettera aperta ai principali quotidiani europei per esprimere le loro perplessità. La presenza di armi americane sul territorio del Vecchio continente rafforza i legami fra le due sponde dell’Atlantico. Il Trattato di Praga, così come la rinuncia allo scudo spaziale, può logorare i legami. “Non ci sono molte testate atomiche in Europa ma la loro importanza, da un punto di vista simbolico, è elevata – spiega al Foglio Pavel Baev dell’International Peace Research Institute di Oslo – La Russia ha un atteggiamento poco collaborativo quando si parla dei suoi arsenali. Quanti sono? Dove sono? Che cosa contengono? Ci sono ancora tante cose che dovremmo sapere e il nuovo accordo rischia di essere inutile senza trasparenza. Obama può provare a mettere la palla nel campo di Medvedev. Può dire: ‘Noi abbiamo ritirato le armi dall’Europa, ora tocca a voi’. Per fare questo, però, bisogna che il fronte della Nato sia compatto”. Il sogno freak e le sue conseguenze Il mondo senza testate atomiche è un sogno di tutti i pensatori liberal, ma Obama è il primo presidente democratico che apre sul serio il dossier. I colloqui sulla riduzione degli arsenali nucleari sono partiti all’epoca di Richard Nixon, che non ottenne grandi risultati. Poi è stata la volta di Ronald Reagan, impegnato in una lunga trattativa con Mikhail Gorbaciov. Il primo accordo porta la firma di George H. W. Bush e di Boris Eltsin. Eltsin concede grande spazio a quell’avvenimento nelle sue memorie: ricorda Bush vittima di un crollo nervoso dopo la sconfitta elettorale patita contro Bill Clinton, ma ancora capace di trovare le energie per concludere il patto pochi giorni prima di lasciare la Casa Bianca. A quei tempi, ridurre il numero delle testate atomiche presenti in Europa, negli Stati Uniti e nei paesi del blocco sovietico era il segno di una nuova era, ma oggi l’operazione potrebbe avere conseguenze impreviste per Obama.

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