Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 06/04/2010, a pag. 3, l'editoriale dal titolo " La vendetta di al Qaida ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 13, l'articolo di Guido Olimpio dal titolo " Ricercata la figlia di Saddam. L’Interpol: 'È una terrorista' ". Ecco i due articoli:
Il FOGLIO - " La vendetta di al Qaida"

Iyyad Allawi, vincitore delle elezioni in Iraq, deve ancora formare il governo
Prima la strage degli uomini del Risveglio, i sunniti che si sono ribellati ad al Qaida e hanno permesso all’Iraq di incamminarsi verso la stabilità, poi tre attacchi simultanei alle ambasciate di Egitto, Iran, Siria, Spagna e Germania a Baghdad. In due giorni al Qaida ha fatto sapere a tutti – con più di cinquanta vittime e decine di feriti – che ha intenzione di sfruttare appieno questo momento di vuoto politico in Iraq per tornare a farsi sentire. La fase è delicata: a Baghdad si deve costruire una coalizione di governo, dopo la vittoria di Iyyad Allawi, e gli americani sperano che si trovi presto un equilibrio, perché soltanto così il piano di ritiro per l’estate può diventare operativo. I paesi della regione che da sempre si muovono nell’ombra per cercare di dirottare a proprio favore le sorti di Baghdad sono più attenti che mai. Per questo i terroristi di al Qaida stanno alzando la posta: da ultimo si erano concentrati nel colpire soprattutto gli sciiti, ora vogliono andare a riprendersi i sunniti, se non quelli del Risveglio contro i quali è comunque preferibile l’esecuzione sommaria, almeno quelli che potrebbero essere delusi dalla politica di Baghdad. E poi ci sono le interferenze straniere, quelle iraniane soprattutto: questa è la nostra terra, dice al Qaida, cacceremo gli americani e ce la riprenderemo. Il cratere davanti all’ambasciata del Cairo è soltanto un segnale.
CORRIERE della SERA - Guido Olimpio : " Ricercata la figlia di Saddam. L’Interpol: 'È una terrorista' "

Raghad, figlia di Saddam Hussein
WASHINGTON— Raghad è abituata a vivere sul filo. A sentirsi braccata. Ha dovuto sopportare molto: due volte in esilio, l’assassinio del marito Hussein Kamel per mano dei fratelli, l’impiccagione del padre, il tiranno di Bagdad. E proprio dal famoso genitore ha ereditato un carattere tenace. Al punto che l’hanno spesso chiamata la «piccola Saddam».
La figlia maggiore dell’ultimo raìs iracheno è di nuovo uscita dall’ombra. O meglio, le hanno «sparato» addosso i riflettori per confermare che vi sarebbe un mandato di cattura nei suoi confronti. La polizia ritiene che sia legata ad una campagna di attentati in Iraq. E per questo Bagdad ha chiesto l’aiuto dell’Interpol che si è rivolta a sua volta ai giordani. Perché è ad Amman che Raghad ha «l’ultimo indirizzo conosciuto». Dal 2003 vive nella villa-palazzo nel quartiere di Abdun. La donna, 41 anni, è ospite del sovrano Abdallah e gode della sua protezione a patto che non crei problemi. Un’ospitalità ricambiata con la discrezione. Raghad, comunque, non si nasconde. La gente che conta sa in quali negozi acquista il suo guardaroba firmato, quale sia il salone di bellezza preferito e, fino a diversi mesi fa, anche la sua palestra. Dunque, tanto è facile trovarla quanto impossibile che gli agenti giordani vadano a cercarla. Avrebbero potuto farlo dal 2006 quando, per la prima volta, Bagdad ne ha chiesto la cattura, insieme alla restituzione di un tesoro «segreto». Oltre un miliardo di dollari, più gioielli, gemme e altri preziosi.
A nascondere quel bottino era stato il marito Hussein Kamel, scappato nel 1995 in Giordania. Al suo fianco Raghad e il fratello Saddam con la moglie Rana, l’altra figlia del despota. Una fuga organizzata. Kamel, infatti, ad Amman collabora con la Cia svelando gran parte dei segreti militari del regime. Una saga conclusasi in modo crudele. Un anno dopo i fratelli Kamel — delusi e depressi — tornano con le mogli a Bagdad. Accettano un’offerta di perdono fatta dal figlio di Saddam, Uday. Ma è una trappola. I Kamel sono ammazzati come cani, Raghad e Rana devono accettare la vendetta familiare. Un dolore personale che soccombe però davanti al legame con il padre, più forte di ogni cosa.
Con il crollo del regime, nel 2003, Raghad si rifugia di nuovo ad Amman insieme a due figli mentre gli altri tre seguono Rana e la nonna Sajida nel Qatar. Da lontano assistono alla tempesta che spazza via parte della loro famiglia. Uday e il fratello Qusay vengono uccisi dalle truppe Usa, con i corpi esposti alla gogna mediatica. Segue la cattura del padre Saddam, quindi l’esecuzione-show del dittatore. Raghad — raccontano— non dimentica di essere una Al Majid, non ha paura di rammentare come il padre fosse «devoto e coraggioso», esorta gli iracheni a commemorare «il martire». Forse collabora con la colonia di nostalgici baathisti che sognano di tornare un giorno in Iraq. Con le buone o le cattive. Alcuni di loro complottano da basi che hanno creato in Yemen, Emirati e Siria. Raccolgono denaro che poi inviano a formazioni islamico-nazionaliste molto attive con la guerriglia. A far da cemento l’ultimo grande ricercato della nomenclatura, l’ex vicepresidente Izzat Ibrahim Al Douri.
Dato per morto chissà quante volte, malato, è il leader del «Fronte per la jihad e la liberazione», un cartello che riunisce gruppi ribelli. Ogni tanto si fa vivo con un audio per esortare alla lotta. L’ultimo appello lo ha lanciato alla fine di marzo per sollecitare la Lega araba ad opporsi ai «progetti americani e iraniani in Iraq». Difficile dire dove si trovi: lo segnalano a Damasco o in territorio yemenita. Per i suoi seguaci, invece, si trova all’interno dei confini iracheni.
La tosta Raghad è davvero complice degli attacchi che sconvolgono le città? A Bagdad giurano di sì, accostando i «reduci» alla solita Al Qaeda. Ma c’è il sospetto che usino lo spauracchio baathista per dare maggiore peso alle loro accuse. Un teorema che spiega l’ondata di violenza con un patto d’azione che unisce gli islamisti a chi non si è arreso alla sconfitta di un regime crudele. Uno scenario dove Raghad, la «piccola Saddam», sembra la colpevole perfetta.
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