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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera-La Stampa-Il Foglio-Libero Rassegna Stampa
03.04.2010 Iran nucleare: Usa e Cina si parlano
Gli articoli di Alessandra Farkas,Maurizio Molinari,il Foglio,Antonio Spampinato

Testata:Corriere della Sera-La Stampa-Il Foglio-Libero
Autore: Alessandra Farkas-Maurizio Molinari-Il Foglio-Antonio Spampinato
Titolo: «Iran, l'offensiva di Obama»

Che sia la volta buona ? Temendo il solito "penultimatum" staremo a vedere. Ecco le cronache di oggi, 03/04/2010, da CORRIERE della SERA, STAMPA,IL FOGLIO,  LIBERO.

Corriere della Sera-Alessandra Farkas: " Iran, l'offensiva di Obama ' aumenteremo la pressione' "

NEW YORK— Dopo il successo del recente summit Obama-Sarkozy sull'Iran, continua l'offensiva diplomatica del presidente americano Barack Obama per frenare le ambizioni nucleari di Teheran. L'ultimo monito del presidente al regime degli ayatollah è arrivato in un' intervista trasmessa dall'influente «The Early Show della Cbs, in contemporanea a una telefonata di oltre un' ora tra Obama e il presidente cinese Hu Jintao, incentrata anch'essa sul nucleare iraniano.
Interrogato dal giornalista Harry Smith sull'Iran, Obama ha ribadito che gli Stati Uniti continueranno ad «aumentare la pressione» su Teheran per frenare le sue ambizioni nucleari, ma lo faranno «con una comunità internazionale unita, per avere una posizione ben più forte». «Il regime è molto più isolato da quando mi sono insediato alla Casa Bianca— ha precisato Obama quando i riflettori sono tornati sull' Iran — L’abbiamo detto con chiarezza agli iraniani: "potete intraprendere un percorso che vi consenta di rientrare nella comunità internazionale, o prenderne un altro, quello dello sviluppo di armi nucleari, che invece vi isola ulteriormente". Ma nel tempo — ha concluso — questo avrà un gravissimo effetto sulla loro economia».
L'inquilino della Casa Bianca torna sul dossier iraniano, dopo aver sollecitato l'approvazione di nuove sanzioni contro il regime nel corso del recente vertice col presidente francese Nicolas Sarkozy. «Desidererei vedere le sanzioni in vigore entro alcune settimane — aveva puntualizzato Obama. L'escalation verbale dell’amministrazione Obama nei confronti di Teheran ha coinvolto anche il segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, che nei giorni scorsi si è detta «ottimista» sulla possibilità che il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (Cina inclusa) giunga presto a un consenso sulle sanzioni contro l'Iran.
«Vediamo una crescente consapevolezza da parte di molte nazioni, compresa la Cina, sulle conseguenze di un Iran che sia in possesso di un’arma nucleare», ha detto la Clinton dal Canada dove ha partecipato a un G8ministeriale in cui il problema del controverso programma nucleare di Teheran è stato uno dei temi più importanti.
A dar voce alla crescente impazienza americana è anche Howard Berman, parlamentare democratico della California e presidente della potente Commissione Affari Esteri della Camera. In un durissimo editoriale pubblicato dal New York Times ha avvertito che «un Iran nuclearizzato darebbe inizio ad una nuova pericolosissima era d'instabilità nell'area del Golfo e in tutto il Medio Oriente».
Ma a dominare i tg alla vigilia della Pasqua cristiana è stata anche l'economia. Ieri Obama ha commentato positivamente gli ultimi dati sull' occupazione negli Stati Uniti, che definisce «incoraggianti» e che sembrano segnare l'inizio di un'inversione di tendenza. Secondo il Dipartimento del Lavoro, a marzo sono stati creati 162 mila nuovi posti di lavoro, il maggior aumento degli ultimi tre anni, anche se il tasso di disoccupazione resta fermo al 9,7%. «Nel corso di quest'anno, ho spesso avuto brutte notizie — ha detto il presidente americano, parlando da una fabbrica nel Nord Carolina —. Oggi è un giorno incoraggiante. Stiamo iniziando a svoltare l'angolo, il peggio della tempesta è passato».

La Stampa-Maurizio Molinari: " Obama: è ora di fermare Teheran "

«L’Iran sta tentando di avere armi nucleari». Barack Obama sfrutta un’intervista a «The Early Show» della tv Cbs per chiedere alla comunità internazionale di «aumentare la pressione su Teheran» in coincidenza con i contatti in corso alle Nazioni Unite per varare le nuove sanzioni del Consiglio di Sicurezza entro aprile. L’accelerazione dell’amministrazione Obama contro il programma nucleare iraniano ha tre parallele direzioni di marcia.
La prima punta all’approvazione all’Onu delle sanzioni «contro le fondazioni e le società economico-finanziarie dei Guardiani della rivoluzione», come spiega Kenneth Katzman, specialista di Medio Oriente del «Council on Foreign Relations», che svela anche un retroscena della convergenza fra russi, cinesi e americani: «Pechino e Mosca hanno ottenuto da Washington di togliere dalla bozza di testo della risoluzione il divieto di acquistare titoli di Stato iraniani e l’obbligo di ispezionare tutte le navi commerciali iraniane perché ritenevano queste misure punitive per la popolazione civile». Ciò che hanno avallato invece è colpire l’impero economico dei pasdaran, la milizia paramilitare che controlla gli impianti nucleari, sorregge il potere degli ayatollah e viene impiegata per reprimere il dissenso interno.
La telefonata di giovedì notte fra il presidente americano e il collega cinese Hu Jintao è servita per definire l’accordo sulle sanzioni ed ora l’ambasciatrice Usa all’Onu, Susan Rice, è impegnata con i colleghi di Francia, Gran Bretagna, Russia, Cina e Germania a scrivere un testo comune. Il Dipartimento di Stato preme intanto sui Paesi più incerti fra i membri non permanenti del Consiglio di Sicurezza - Turchia e Brazile - affinchè votino a favore perché l’obiettivo della Casa Bianca è un’approvazione all’unanimità. «Se l’Iran oggi è più isolato rispetto a quando diventai presidente è perché stiamo dialogando con più Paesi e dunque aumenteremo la pressione per ottenere degli effetti sull’economia dell’Iran» dice Obama, svelando disappunto per il fatto che Teheran non ha raccolto le offerte di dialogo diretto.
Il secondo fronte è quello del linguaggio adoperato dagli Stati Uniti per descrivere i progressi del nucleare iraniano. Obama alla Cbs è esplicito: «Tutte le prove indicano che il programma iraniano è disegnato per dare a Teheran la capacità di sviluppare armi nucleari e se riusciranno ad ottenerla, pur non spingendosi fino a costruire la bomba, l’effetto sarà la destabilizzazione del Medio Oriente e una corsa agli armamenti nociva per gli interessi americani e per il mondo intero». Se il presidente ricorre a questi termini è perché l’intelligence Usa è in procinto di correggere la valutazione risalente al 2003 sull’«interruzione del programma nucleare militare iraniano» in base alle prove accumulate di recente. Anche per questo Obama ribadisce che «tutte le opzioni restano sul tavolo» inclusa quella militare.
Il terzo binario d’azione della Casa Bianca concerne invece la diplomazia sotterranea tesa ad allontanare da Teheran i suoi più stretti alleati mediorientali. Se la nomina del nuovo ambasciatore Usa a Damasco ha voluto fornire alla Siria di Bashar Assad il terreno di un possibile riavvicinamento, ora il «Wall Street Journal» svela che Washington ha preso un’iniziativa parallela con i leader di Hamas, l’organizzazione fondamentalista palestinese che controlla la Striscia di Gaza, affidando a due ex alti funzionari dell’amministrazione Clinton il compito di incontrarli a Damasco e Zurigo.

IL Foglio- " Inchini a Pechino "


Roma. Anche Israele esercita pressione sulla Cina, come America e Iran, sulla questione del programma di armamento atomico di Teheran. Il governo di Pechino ha diritto di veto al Consiglio di sicurezza dell’Onu e può bloccare le “sanzioni storpianti” invocate da Washington e Gerusalemme, e per questo entrambi i fronti stanno tentando di tirarlo dalla propria parte. C’è stata la lunga telefonata di Obama al presidente cinese, Hu Jintao, seguita dall’apparizione del presidente americano sulla Cbs, il mattino dopo, per dire di nuovo “tutte le evidenze confermano, l’Iran sta provando a fare armi nucleari”. L’Iran ha spedito a Pechino il proprio caponegoziatore, Seed Jalili, a convincerli che le sanzioni occidentali – di cui il regime comunista ha un ricordo amarissimo – non risolvono nulla. Ma il terzo, discreto corteggiatore in azione è Israele. Il capo dell’intelligence militare, il generale Amos Yadlin, è appena stato in Cina per fare rapporto sui progressi dell’Iran verso l’atomica. Il 21 marzo, la visita è stata ricambiata dal generale cinese Huang Xiaoping. Con lui c’era anche il vicepremier Hui Liangyu, la visita di più alto livello programmata per il 2010. La settimana prossima tocca di nuovo agli israeliani: va il generale Amir Eshel, incaricato della pianificazione strategica e dei rapporti con gli altri paesi. Secondo il quotidiano Haaretz, i militari “considerano questi scambi reciproci importanti per ammorbidire l’opposizione della Cina alle sanzioni internazionali, ma i pessimisti si chiedono se Eshel si recherà in Cina per parlare di sanzioni o non invece a sondare il terreno con il potere cinese: come reagirete, se attaccheremo i siti nucleari dell’Iran? Israele ha tecnologia militare che fa gola ai cinesi. Ma nel 2005 ha sospeso le vendite – pagando una penale di 300 milioni di dollari – su richiesta degli americani. Ora ci sono le premesse per la riapertura.

Libero-Antonio Spampinato: " Ci voleva l'atomica iraniana per far parlare Obama e la Cina "

Capire cosa passa per la testa della Cina non è mai semplice. E anche se BarackObama dovrebbe saperlo bene, vista la porta in faccia presa da novello presidente nel viaggio in terra pechinese, ieri ha rischiato il bis. Le armi vendute a Taiwan dagli americani, l’ospitaliltà - seppure sottotono - concessa al Dalai Lama, l’appoggio dato a Seul sulla contesa con la Corea del Nord, hanno fatto innervosire non poco l’apparato del Dragone che, a sua volta, non ha peso occasione per schiaffeggiare il presidente statunitense mantenendo artificialmente basso il tasso di cambio e rovinando la festa in diverse occasioni alle aziende a stelle e strisce. Una telefonata nella notte di giovedì tra Obama e l’omologo cinese Hu Jintao, può essere letta come un primo passo verso il disgelo. Oggetto principe della lunga conversazione tra i due leader, durata un’ora, è stato l’Iran. Da quanto si è saputo (e le fonti sono ufficiali) Pechino ha espresso preoccupazione sulla «proliferazione» delle armi «e del terrorismo nucleare». Anche se non è stato citato, il riferimento all’Iran è evidente. Questo però non vuol certo dire che Jintao alzerà la mano per votare nuove sanzioni contro Ahmadinejad. Gli interessi economici e strategici di Pechino sull’aerea sono importanti, ma l’aver riallacciato un dialogo, e su un argomento così caro a Washington, è senza dubbio una buona cosa. La chiacchierata ha galvanizzato l’entourage obamiano che si è lasciato andare a qualche pacca sulla spalla di troppo, tanto che la Grande Muraglia si è sentita obbligata ad aggiungere qualche mattone alla già sontuosa barriera. Per l’ennesima volta il portavoce del ministero degli Esteri ha puntualizzato comesia necessario riaprire il dialogo con Ahmadinejad piuttosto che sanzionarlo. È evidente che il voto cinese non va dato per scontato come, ancora ingenuamente, sembra aver fatto Obama, cantando vittoria troppo presto. È però altrettanto vero che i rapporti tra i due Paesi con questa telefonata, hanno fatto un importante passo avanti, e a fare squillare l’apparec - chio è stata proprio l’atomica iraniana. Il solo fatto che Hu Jintao abbia accettato l’invito al summit convocato dalla Casa Bianca per il 12 e 13 aprile a Washington contro la proliferazione nucleare, non vuol dire che l’Occidente abbia conquistato il cuore, e il voto pro-sanzioni, di Pechino. Però vuol dire che la diplomazia può quantomeno sperarci. Sul dialogo con Ahmadinejad chiesto da Pechino in molti avrebbero da eccepire: è noto che Teheran utilizza gli incontri internazionali come tempi supplementari mentre prosegue nei suoi intenti sotto un corposo strato di terra. Obama non fa mistero di essere in possesso di prove schiaccianti sullo stato di avanzamento dei lavori, ormai a buon punto, per la costruzione della bomba atomica da parte della Repubblica islamica. Sperando non sia come la boccetta di antrace portata da Colin Powell al Consiglio di sicurezza dell’Onu per provare il doppio gioco di Saddam Hussein, l’Oc - cidente dovrà tenerne conto. Inoltre il disgelo, se così si può dire senza peccare di eccesso di ottimismo, tra Washington e Pechino può avere come conseguenza un riavvicinamento tra Obama e Netanyahu. Il presidente americano, impegnato com’era nel far passare la sua riforma sanitaria, ha privato Gerusalemme di un appoggio fondamentale nella lotta ai nemici di Israele. E Teheran, per sua stessa ammissione, fa parte del gruppo. Le recenti dichiarazioni di Netanyahu sulla volontà di procedere nella costruzionedegli insediamenti in territorio palestinese possono essere anche lette come un urlo di protesta verso l’alleato americano, troppo distratto. Che ora, con più tempo a disposizione - e con la voglia di portare a casa un risultato in politica estera visto l’ap - prossimarsi delle elezioni di metà termine - sembra intenzionato a rivestire i panni di amico fedele. Sempre che il Mr. Hide del dottor Jekyll-Obama non prenda di nuovo il sopravvento.

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