Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
I giornali italiani si accorgono della coppia cristiana massacrata in Pakistan Dopo la denuncia di IC e Libero 24 ore fa. In Vaticano tutto tace...
Testata: La Stampa Data: 24 marzo 2010 Pagina: 15 Autore: Giordano Stabile Titolo: «Non si converte all’Islam, bruciato vivo»
Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 24/03/2010, a pag. 15, l'articolo di Giordano Stabile dal titolo " Non si converte all’Islam, bruciato vivo ".
Per la minoranza cristiana del Pakistan Arshad Masih è già un martire. L’indignazione e la rabbia montano tra i cinque milioni di fedeli. Il governo del Punjab ha vietato manifestazioni pubbliche di lutto, per paura di disordini. Il trentottenne autista di Rawalpindi, e sua moglie Martha, sono diventati simboli esplosivi delle sofferenze dei cristiani nel secondo più popoloso Stato musulmano. Lui bruciato vivo per aver rifiutato di convertirsi all’Islam. Lei violentata nella caserma di polizia dove era andata a denunciare il crimine, davanti ai figli di 7 e 12 anni. Mashid era da cinque anni alle dipendenze di un ricco possidente nella città-gemella della capitale Islamabad. La moglie, Martha Bibi, lavorava come domestica nella tenuta. A gennaio Mashid era stato minacciato da un gruppo di islamisti, che probabilmente lo avevano preso di mira per la posizione relativamente agiata che aveva raggiunto. Avevano fatto pressioni sul suo datore, Sheikh Mohammad Sultan. La scorsa settimana, dopo un furto in casa di una grossa somma di denaro, Sultan gli aveva dato un ultimatum: «Abiura, o ti denuncio». Mashid ha resistito, ha detto di essere disposto anche a lasciare il lavoro. Sultan allora lo ha minacciato personalmente: «Se lo fai, ti uccido». Venerdì scorso un gruppo di estremisti ha circondato Mashid vicino casa e gli ha dato fuoco. È stato ricoverato all’ospedale cristiano di Islamabad, il Sacra Famiglia. I medici hanno detto subito che c’erano pochissime probabilità di salvarlo. È morto nella notte di lunedì. La sua storia ha cominciato a circolare sui giornali e sui siti Internet della comunità cristiana. E ha fatto ancora più orrore il racconto della moglie Martha al Pakistan Christian Post. Derisa, picchiata e poi stuprata da un gruppo di poliziotti nella caserma principale della capitale, a due passi dalla Corte Suprema. Nazhir S. Bhatti, presidente del Pakistan Christian Congress, il combattivo partito della minoranza, è insorto: «Nelle nostre caserme e nelle nostre corti - ha denunciato - siedono poliziotti e giudici che non hanno simpatia per le vittime cristiane e ritengono che stuprare una donna infedele non sia un reato». Da Roma è invece intervenuto il ministro degli Esteri Franco Frattini che, in un intervento su Twitter e Facebook, ha parlato di «un vero e proprio martirio». L’Italia, ha aggiunto, «aiuta il Pakistan nella lotta al terrorismo e non mancherà di far sentire la sua voce». Il Pakistan Christian Congress, però, denuncia anche il silenzio del ministro federale per le minoranze, il cattolico Shahbaz Bhatti, e «la lentezza e l’immobilismo del governo federale e provinciale». Un immobilismo che lascia le briglie sciolte agli estremisti. Un anno fa, in una cittadina vicino a Lahore, in tremila avevano assalito il quartiere cristiano, otto persone erano state linciate e date alle fiamme, assieme a negozi e luoghi di culto. Ieri il governo provinciale del Punjab ha bloccato marce di protesta dei cristiani, con il pretesto di «minacce terroristiche». La comunità locale voleva dimostrare contro la scarsa volontà della polizia di arrestare i colpevoli del crimine, nonostante le informazioni fornite dalla moglie della vittima, che potevano portare all’identificazione dei colpevoli in tempi rapidi.
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