Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Iraq: a difendere Bush c'è arrivato persino Lorenzo Cremonesi Che cosa aspettano gli atri?
Testata: Corriere della Sera Data: 16 marzo 2010 Pagina: 16 Autore: Lorenzo Cremonesi Titolo: «Nuove speranze per la democrazia dal successo delle elezioni in Iraq»
Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 16/03/2010, a pag. 16, il commento di Lorenzo Cremonesi dal titolo " Nuove speranze per la democrazia dal successo delle elezioni in Iraq ".
Vi manco già ?
Il risultato delle elezioni parlamentari del 7 marzo in Iraq costringe a rivedere gli scetticismi diffusi contro la destra americana neocon, che guidò le invasioni del 2001 e 2003. Di fronte al crescere di caos, attentati, delusione e povertà dal 2004 in Iraq e due anni dopo in Afghanistan, era cresciuta l'opinione per cui l'ottimismo di chi cerca di «esportare la democrazia» è fallimentare. Come poteva George Bush illudersi di imporre il modello illuminista del voto individuale in regioni dominate dai clan tribali, dall’influenza dei leader religiosi e dagli antichi odi confessionali? Il voto alle presidenziali afghane del 20 agosto scorso è parso confermare lo scetticismo. Doveva rappresentare il momento culminante della campagna di ricostruzione militare e civile del Paese contro la violenza e l'arretratezza medioevale talebane, ma è stato un flop che, tra accuse di brogli e bassa affluenza, ha delegittimato Hamid Karzai.
Non così però il voto in Iraq. I più critici ripetono che comunque la Mesopotamia è dove da infinite generazioni le tribù di invasori si sostituiscono con ricorrente violenza a quelle stanziali nel cuore della «mezza luna fertile». Eppure, questa volta il meccanismo elettorale ha funzionato. A nove giorni dal voto e meno del 50 per cento dei 12 milioni di schede scrutinate, le accuse di brogli e irregolarità sono meno della metà di quelle registrate alle provinciali dell'anno scorso. Nessuno mette in dubbio il dato del 62,4 per cento di affluenza alle urne. Un quorum molto più alto delle medie Usa e in totale assonanza con quelle europee.
È vero che i risultati emersi sino ad ora confermano logiche settarie: le zone sciite nel Centro-sud hanno votato in massa per il premier sciita Nuri al Maliki; quelle sunnite nel Centro per il laico Iyad Allawi; e quelle curde al Nord sono schierate con i partiti locali. Le divisioni sono quelle di sempre. Però Saddam Hussein le zittiva con la repressione più crudele. Oggi vengono discusse dai 325 parlamentari, che presto eleggeranno il presidente e il premier. Il cambiamento è impressionante e, per una volta, dà speranza.
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