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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Stampa - Libero Rassegna Stampa
09.03.2010 Un Oscar dedicato ai soldati in Iraq e Afghanistan
Una volta tanto non vince il politically correct. Cronache di Maurizio Molinari, Lietta Tornabuoni, Giorgio Carbone

Testata:La Stampa - Libero
Autore: Maurizio Molinari - Lietta Tornabuoni - Giorgio Carbone
Titolo: «Tributo agli eroi - Per noi americani questa guerra non è il Vietnam - Schiaffo al kolossal - L'Oscar dei bravi cattivi»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 09/03/2010, a pag. 1-10, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " Tributo agli eroi ", a pag. 10, la sua intervista a Michael Walzer dal titolo " Per noi americani questa guerra non è il Vietnam", a pag. 1-10, l'articolo di Lietta Tornabuoni, stizzita per la vittoria di un film non politically correct dal titolo " Schiaffo al kolossal ".Il film della Bigelow, e le sue dichiarazioni alla "Notte degli Oscar" sono patriottiche, piaccia o no alla Tornabuoni. Da LIBERO, a pag. 40, l'articolo di Giorgio Carbone dal titolo " L'Oscar dei bravi cattivi ".

Non possiamo fare a meno di notare che, una volta tanto, a vincere l'Oscar non è stato il solito film che propone la metafora (fin troppo evidente) dell'uomo bianco crudele invasore di un popolo inerme. Questa volta ha vinto un film non politically correct sulla guerra, dalla parte di soldati. Ecco i pezzi:

La STAMPA - Maurizio Molinari : " Tributo agli eroi "


Kathryn Bigelow

Dedico questi premi alle donne e uomini in uniforme che rischiano la vita ogni giorno in Iraq, Afghanistan e altrove nel mondo.
Possano tornare a casa sani e salvi». Sono le prime parole che Kathryn Bigelow pronuncia dal palco, tenendo nelle mani gli Oscar al miglior film e alla miglior regia, a riassumere l’omaggio di Hollywood per i soldati americani incarnati dal protagonista di The Hurt Locker: uno spericolato artificiere che rischia la vita per disinnescare gli ordigni esplosivi lasciati dai terroristi.
Poco prima, l’Oscar per il miglior copione era andato a Mark Boal che aveva detto, quasi gridando: «Sono stato in Iraq come reporter ed è lì che ho tratto l’idea di questa storia sugli uomini che si trovano in prima linea in una guerra impopolare». La contrapposizione fra i soldati-eroi e la guerra impopolare richiama alla memoria dei milioni di americani seduti davanti alla tivù quanto detto, poche ore prima, nel Giardino delle rose della Casa Bianca, dal presidente Barack Obama, che fu contrario alla guerra fin dall’inizio, esprimendo «ammirazione per le migliaia nostri civili e militari che continuano a sostenere l’Iraq» alle prese con la delicata fase politica delle elezioni parlamentari.
Hollywood resta una roccaforte liberal ma sembrano passati anni luce da quando, nel marzo 2004, Sean Penn, sollevando la statuetta per il migliore attore grazie a Mystic River, disse con rabbia: «Se c’è una cosa che gli attori sanno, oltre al fatto che non c’erano armi di distruzione di massa in Iraq, è che non esiste la recitazione migliore». Allora non era passato neanche un anno dall’inizio di «Iraqi Freedom», Penn e Susan Sarandon guidavano la mobilitazione antiguerra del mondo dello spettacolo contro George W. Bush e l’unico omaggio che Hollywood condivideva agli eroi in divisa restava il serial della Hbo Band of Brothers nel quale Tom Hanks raccontava la storia della liberazione dell’Europa dai nazifascisti attraverso le vicende di un plotone della 101ª divisione aviotrasportata.
Se The Hurt Locker riconcilia l’America con gli eroi delle guerre del nuovo secolo è perché questo era l’intento originario di Boal che Bigelow ha deciso di portare sullo schermo. In un’intervista al magazine Time, l’ex reporter di Playboy lo spiega con lucidità: «Ho voluto fare un film richiamandomi agli esempi di Schindler’s List, Platoon, Apocalypse Now e Salvate il soldato Ryan nei quali chi va al cinema capisce cosa è avvenuto davvero in guerra in maniera tale che chi vedrà questo film fra vent’anni dirà: non sapevo che fosse davvero così». È un’impostazione che premia la volontà di informare sulla guerra rispetto al giudizio sulla guerra stessa.
Far conoscere il conflitto in Iraq «per come è stato» significa preparare l’America al ritorno delle truppe combattenti: 50 mila uomini che entro il 1° settembre lasceranno Baghdad. Obama ha già fatto sapere di volerli accogliere «come meritano» e i sei Oscar a Bigelow contribuiscono a creare le premesse affinché ciò avvenga. Ma non è tutto perché, quando stava per lasciare il palco del Kodak Theatre, la regista d’istinto è voluta tornare indietro e ha aggiunto: «Ho un’altra dedica da fare, agli uomini e alle donne di tutto il mondo che vestono delle uniformi, non solo nell’esercito ma anche nelle unità di emergenza, nei pompieri e nei gruppi di intervento contro le sostanze pericolose. Loro sono lì per noi. E noi siamo qui per loro».
Come dire, il fronte interno vale quanto quello esterno: chi ha rischiato la vita per soccorrere le vittime dell’11 settembre o chi indossa tute e caschi per proteggerci dagli attacchi non convenzionali nelle nostre città è un eroe come lo sono gli artificieri in Iraq o in Afghanistan. Ed il fatto di aver esteso l’omaggio a «chi indossa le divise in tutto il mondo» fa sì che quella di Bigelow sia una declinazione globale del patriottismo americano, fondata sul valore di salvare vite umane.

La STAMPA - Maurizio Molinari : " Per noi americani questa guerra non è il Vietnam "


Michael Walzer

Gli Oscar a Hurt Locker lasciano intendere che per l’America la guerra in Iraq non è come quella del Vietnam». Così Michael Walzer, direttore della rivista Dissent e voce di spicco della galassia liberal negli Stati Uniti, legge l’esito della premiazione che racconta di «aver seguito davanti alla tivù» fino a notte inoltrata.
Cosa l’ha colpita nei sei Oscar a Hurt Locker?
«Il fatto che si tratta di un film sulla guerra che non è proguerra né antiguerra. È un film sull’eroismo dei soldati. Non c’è alcuna assoluzione nei confronti del conflitto voluto da Bush. Premiandolo, Hollywood non smentisce il giudizio negativo sull’intervento militare nel 2003 ma se lo lascia semplicemente alle spalle, perché si tratta di un film apolitico. Si guarda alla guerra sotto un altro aspetto: il ruolo dei soldati che rischiano la vita per salvare i civili».
Cosa implica celebrare un film apolitico sull’Iraq?
«Che la guerra in Iraq per l’America, anche per quella di sinistra, non è paragonabile alla guerra in Vietnam».
Cosa intende dire?
«Nel ‘75, l’anno in cui lasciammo precipitosamente Saigon, non sarebbe stato pensabile che Hollywood premiasse con l’Oscar un film sulla guerra in Vietnam. Se invece oggi, alla vigilia dell’uscita del grosso delle nostre truppe dall’Iraq, questo avviene è perché i due conflitti non sono assimilabili».
Eppure per i liberal si tratta di due guerre sbagliate...
«Certo, ma a dividerle c’è una differenza di fondo».
Quale?
«In Iraq la contrapposizione fra bene e male è limpida. In Vietnam non era affatto così. Il protagonista di Hurt Locker è un soldato americano che rischia la propria vita per disinnescare terribili ordigni disseminati da terroristi il cui unico intento è fare strage di civili. Non ci può essere alcun dubbio sul fatto che si tratta di un protagonista positivo, mentre Al-Qaeda incarna il male, la morte, la negazione della vita stessa. Nessuno può riconoscersi o legittimare i terroristi il cui unico fine è disseminare la morte. I vietcong erano assai diversi da Al-Qaeda perché si battevano per una causa che molti, anche qui in America, ritenevano giusta. L’altra differenza fra l’Iraq e il Vietnam sta nel fatto che i nostri soldati in Iraq non si sono macchiati di crimini paragonabili al massacro di civili indocinesi che avvenne a My Lai. Se mettiamo assieme questi tasselli è possibile comprendere perché il giudizio positivo sull’eroismo dei nostri soldati possa convivere con la perdurante opinione negativa sulla decisione di iniziare una guerra sbagliata».
Insomma, l’America si sta preparando ad accogliere i militari in uscita dall’Iraq...
«È il clima che sta maturando. Gli americani si stanno mettendo alle spalle il conflitto che li ha tanto lacerati. D’altra parte, si tratta di una guerra che politicamente non divide più. Barack Obama, che vi si era opposto con tanta fermezza, adesso è il presidente degli Stati Uniti che plaude al risultato delle elezioni in Iraq mentre le truppe combattenti sono sulla via del ritorno. Saranno accolte in maniera molto differente da quanto avvenne con i reduci del Vietnam. Sotto questo aspetto la premiazione di Hollywood potrebbe essere stato un anticipo di quanto vedremo».
Lei cosa pensa di questa nuova atmosfera sull’Iraq?
«Ne comprendo la genesi, i motivi, ma sono prudente. L’Iraq resta infatti una nazione in bilico. Fra due mesi la situazione potrebbe essere assai più grave di quella odierna. È vero che i nostri soldati stanno tornando ma ciò non significa che possiamo considerare l’Iraq un capitolo chiuso. Credo che continueremo a discuterne per molto tempo ancora».

La STAMPA - Lietta Tornabuoni : " Schiaffo al kolossal "

Che sorpresa: per la prima volta nella sua storia l’Oscar per il miglior film va a una donna: Kathryn Bigelow.
Per la prima volta non lo ha vinto il previsto kolossal politicamente corretto già ricco di incassi inimmaginabili, ma un piccolo film di guerra perlopiù ignorato, di un’ambiguità discussa e sconcertante, presentato alla Mostra di Venezia nel 2008.
Forte, spietato, The Hurt Locker racconta i giorni in Iraq di una pattuglia di artificieri dell’esercito americano. Il compito dei militari consiste nello scoprire e disinnescare quegli ordigni esplosivi devastanti che hanno tanta parte nelle attuali guerre di guerriglia. Un corpo-bomba, il cadavere di un bambino nelle cui viscere è stato nascosto esplosivo, uno straccio sul selciato, un’automobile parcheggiata male possono nascondere bombe; ogni azione comporta rischi letali. Quando sono a riposo, i militari bevono, dormono, si picchiano, quasi impazziscono, piangono: «Se sei qui vuol dire che sei morto». Protagonista del film corale, tratto da articoli di Mark Boat sulla guerra in Iraq, è un sergente maggiore (Jeremy Renner) capo della pattuglia, molto bravo e coraggioso, indisciplinato. Però, dopo esser tornato a casa, si arruola di nuovo: ormai non può immaginare di fare qualcosa di diverso dalla guerra.
The Hurt Locker ha un doppio spessore: formalmente potrebbe anche sembrare un film patriottico, ma l’orrore che la guerra suscita nello spettatore è insopportabile. Forse in questa ambiguità sta il segreto della sua vittoria: molto interessante, è certo meno bello di Bastardi senza gloria di Tarantino, di Tra le nuvole di Reitman, di Avatar e di altri candidati; così come i premi a Jeff Bridges e a Sandra Bullock sembrano soprattutto stanchi riconoscimenti a carriere stanche.
Sulla sconfitta di Avatar le ipotesi sono molte: forse è una vendetta della gente di cinema votante contro il regista James Cameron che per gli infiniti effetti speciali del film ha usato la società neozelandese Weta di Peter Jackson; forse è una ritorsione per gli incassi vertiginosi ottenuti. Forse è un moto di rivolta contro chi «parla male» degli americani, un segno di sfiducia nella tecnologia e nel futuro.

LIBERO - Giorgio Carbone : " L'Oscar dei bravi cattivi "

È il caso di dirlo: noi l’ave vamo detto. Ma è anche il caso di ammettere: l’avevamo detto, ma sotto sotto non lo pensavamo. Il nostro candidato di sempre agli Oscar era “The Hurt Locker” di Kathryn Bigelow, ma al personale bookmaker la sua quotazione era mediocre. Nella storia degli Academy Awards spesso non vince il migliore, ma il film portato dalla gente che conta. La bilancia sembrava tutta pendere dalla parte di “Avatar” di James Cameron lo spettacolo big più big del primo decennio del secolo. E invece “Hurt” ha prevalso su “Avatar”. Con un punteggio tennistico: 6 statuette a 3. Una vittoria anche più vistosa di quel che dicono i numeri.
I PIÙ PRESTIGIOSI Perché nella mezza dozzina di “Locker” ci sono i premi più prestigiosi (film, regia, sceneggiatura), mentre il kolossal di Cameron ha raccolto solo riconoscimenti “tecnici”. Insomma, James le ha buscate sode dalla sua ex signora (sono stati sposati, lui e Kathryn Bigelow, per circa tre anni). Il che, per uno con l’ego di James, è forse peggio che se lei l’avesse menato sul serio (forse ne sarebbe capace, Kathryn è una vera amazzone). È possibile che la ragazza abbia usufruito di qualche circostanza favorevole: la premiamo nella giornata della donna, e nel day after le elezioni in Iraq, che stanno dimostrando che la guerra di Bush non è stata poi tanto sbagliata. Già, la guerra in Iraq. Che “Hurt locker” non guarda con occhio sfavorevole (gli eroi son tutti militari convinti). E che costituisce la principale ragione per cui il film neo Oscar ha avuto una cattiva stampa, in Usa e in Italia. Da noi (anche per via del titolo, oscuro e non felice) è rimasto in prima visione solo 10 giorni. Ma ora dovrebbe essere scoccata l’ora della riscossa. È probabile che “Hurt locker” sia rimesso in circolazione. Ma intanto è a disposizione da adesso: “Panorama” e “Ciak” hanno già messo in vendita il dvd. E Sky lo manda in onda stasera in prime time. Due parole sui delusi. James Cameron a parte, uno che ha qualche ragione di sacramentare è George Clooney. L’ASPIRANTE GEORGE Il suo “Tra le nuvole” era ben piazzato per il rush finale. George aspirava al premio per l’atto - re, le sue partner Vera Farmiga e Anna Kendrick, vincitrici annunciate per l’interprete secondaria (una, o l’altra, o tutt’e due). Il film stesso aveva qualche chances di inserirsi come terzo che gode nella lotta tra “Avatar” e “Hurt locker”. Niente, neanche un premiuzzo (George sembrava saperlo perché aveva la faccia di un incavolato nero). Una quasi sicurezza poteva essere letta invece sui volti di Jeff Bridges e Sandra Bullock, laureati migliori attori del 2010. Concordiamo.

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