Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 09/03/2010, a pag. 15, l'intervista di Gian Guido Vecchi a Padre Federico Lombardi, direttore di Radio Vaticana, dal titolo " Intreccio di cause economiche e sociali ". Dal GIORNALE, a pag. 16, l'intervista di Andrea Tornielli a Padre Giulio Albanese dal titolo " Stragi in Nigeria. Non è una guerra di religione ".
Le due interviste denotano il basso profilo adottato dalla Chiesa nei confronti dell sterminio dei cristiani. Secondo i due intervistati in Nigeria non è in atto nessun massacro dovuto alla religione. Le motivazioni andrebbero ricercate nell'economia più ricca di una zona rispetto all'altra, nelle classi sociali, nelle etnie diverse...sul fatto che a venire assassinati siano solo i cristiani, nessn commento.
La Chiesa, troppo occupata a difendere i minareti in Svizzera e il burqa in Francia, non vede la cristianofobia dilagante nei Paesi musulmani. Anzi, la nega, adottando la stessa linea di Repubblica (già criticata da IC nella rassegna di ieri) secondo la quale in Nigeria ci sarebbero scontri interetnici. Un modo piuttosto strano per definire la morte per mano dei musulmani di circa 500 cristiani nigeriani.
Ecco i due pezzi:
CORRIERE della SERA - Gian Guido Vecchi : " Intreccio di cause economiche e sociali "

Federico Lombardi
È vero che in Occidente facciamo fatica, come scrive René Guitton, ad «associare al cristianesimo il concetto di minoranza»?
«Sì, trovo sia giusto. Nella nostra società c’è spesso un atteggiamento che tende a considerare la Chiesa dalla parte del potere, l’abitudine ad avere nei suoi confronti un atteggiamento di reazione. Per molti non è facile rendersi conto che in grandi parti del mondo la Chiesa e il cristianesimo sono in condizione di minoranza, fragilità, mancanza di libertà...». Il padre gesuita Federico Lombardi, oltre a essere portavoce della Santa Sede, è da vent’anni alla direzione (prima dei programmi, poi generale) della Radio Vaticana, l’emittente che ha una copertura planetaria in 39 lingue, dall’inglese al cinese, dall’arabo al tamil. Un osservatorio senza eguali.
Padre, si parla di discriminazione e «cristianofobia» diffuse nel mondo. Lei ha espresso «preoccupazione e orrore» per il massacro di 500 cristiani in Nigeria. Ma ha anche spiegato, richiamando i vescovi locali, come «non si tratti di scontri di natura religiosa, ma sociale». E allora?
«È ovvio che non ci sia nessuna sottovalutazione di una violenza così orribile nei confronti di centinaia di persone, povera gente innocente. Allo stesso tempo, però, la Chiesa ci tiene a che non vengano presentati come scontri di carattere specificamente religioso dei conflitti che magari hanno tutt’altre cause e natura, di tipo etnico, sociale o economico». Che cosa preoccupa? «Attribuire a motivi religiosi uno scontro che ha altre ragioni rende poi più difficile l’impegno di convivenza positiva, in questo caso tra cristiani e musulmani, che caratterizza la Chiesa in Nigeria e in tante parti del mondo». Ma la «cristianofobia»? «Certo esiste, però non bisogna mai semplificare eccessivamente le situazioni. E bisogna fare attenzione a ciò che dicono gli episcopati nazionali. In Nigeria sono stati i vescovi a spiegare che quest’ultimo conflitto non ha radici religiose. Ci sono poi dei casi nei quali i cristiani, in minoranza, si trovano in situazioni molto difficili: a Mosul e altrove, ad esempio, si vede un disegno sistematico per cacciarli via o usare violenza contro di loro, e sono stati i vescovi a denunciarlo per primi. Anche in India c’è un fondamentalismo anticristiano assolutamente ingiustificato e ingiustificabile contro il quale è giusto alzare la voce, così come è indubitabile che esistano leggi discriminatorie nei confronti dei cristiani, come in Pakistan, o negatrici della libertà religiosa come in certi Paesi del mondo arabo...».
Insomma, bisogna distinguere...
«Appunto. Esiste anche un fondamentalismo cristiano, se è per questo, di gruppi o sette impegnati in un proselitismo intenso che magari suscitano le reazioni di altri fondamentalismi contrari e violenti. Capita che i cristiani e i cattolici in particolare si trovino in difficoltà perché viene fatta di ogni erba un fascio. La Chiesa, invece, ha sempre avuto un atteggiamento aperto al dialogo e rispettoso. L’essenziale è creare le condizioni per una convivenza nella pace».
Il GIORNALE - Andrea Tornielli : " Stragi in Nigeria. Non è una guerra di religione "

Giulio Albanese
«Nell’ultimo anno e mezzo ci sono già stati tre episodi di questo genere, tre massacri. Una volta a farne le spese sono i Fulani musulmani, un’altra volta sono i Berom cristiani. Ma le cause del conflitto non sono innanzitutto religiose...».
Padre Giulio Albanese, responsabile delle riviste missionarie della Conferenza episcopale italiana, è un religioso che conosce molto bene l’Africa. Le sue parole sulla strage che nel giro di due giorni ha portato al massacro di circa 500 cristiani nei villaggi dello stato di Plateau, nella parte centro-settentrionale della Nigeria, fanno eco a quelle pronunciate dal portavoce della Santa Sede, padre Federico Lombardi, il quale ritiene che «non si tratti di scontri di natura religiosa, ma sociale». La posizione del Vaticano, quindi è questa: la fede c’entra poco, ci troviamo di fronte a qualcosa di più simile a uno scontro tribale ed etnico tipo quello che nel 1994 sconvolse il Ruanda. E la lettura della Santa Sete trova conforto nelle parole dell’arcivescovo di Abuja, John Olorunfemi Onaiyekan, che ieri ha detto ai microfoni di Radio Vaticana: «Facilmente la stampa internazionale è portata a dire che sono i cristiani e i musulmani a uccidersi. Ma non è questo il caso, perché non si uccide a causa della religione, ma per rivendicazioni sociali, economiche, tribali, culturali».
Padre Albanese, come commenta l’uccisione di 500 cristiani?
«Meglio dire cinquecento morti ammazzati, perché non sappiamo se tra le vittime vi siano anche alcuni degli assalitori. E non dobbiamo dimenticare che se questa volta le vittime sono cristiane, l’altra volta erano musulmani, massacrati dai cristiani appartenenti alle sette pseudo-evangeliche. In quelle zone i cristiani sono quasi tutti appartenenti a questi gruppi».
Perché li chiama pseudo-evangelici?
«Perché allo stesso modo chiamo pseudo-musulmani i massacratori islamici. Si tratta di persone che tradiscono la loro religione».
Che cosa c’è all’origine di questi massacri?
«Ricordiamo che in Nigeria l’uno per cento della popolazione detiene il 75 per cento della ricchezza nazionale. E quell’uno per cento è composto sia da cristiani che musulmani. C’è stata e continua a esserci una lotta di potere. La responsabilità è innanzitutto della debolezza del governo centrale di Abuja e della corruzione della società politica. Ci sono certamente bande criminali, eversive, ma c’è anche una tale divaricazione tra ricchi e poveri che è piuttosto facile sobillare e strumentalizzare le masse».
Lei è un missionario, parla di cause sociali. Davvero la componente religiosa non incide?
«Si tratta di un conflitto che ha certamente radici etniche. Pastori nomadi che seguono il loro bestiame attaccano i villaggi degli agricoltori e viceversa. La componente religiosa può giocare un ruolo, ma è comunque strumentale e strumentalizzata per ragioni di potere».
Dunque è un abbaglio presentare questo conflitto come una lotta tra cristianesimo e islam?
«Penso proprio di sì. Bisogna essere molto cauti. La Nigeria è la cartina di tornasole delle gravi contraddizioni presenti nel continente africano. Quel Paese, che galleggia sugli idrocarburi, potrebbe essere un paradiso, invece è un inferno. Molte volte gli attacchi e i massacri - lì ogni volta non muoiono meno di cento o duecento persone - sono studiati a tavolino. Talvolta i sobillatori o gli appartenenti alle bande sono pagati. Ogni anno avvengono due o tre stragi del genere, e non solo a Jos, la capitale dello stato del Plateau. C’è la volontà di indebolire lo Stato centrale, sempre in concomitanza con scadenze elettorali, o come ora, di una presidenza ad interim, come quella di Jonathan Goodluck, un cristiano che ha sostituito il precedente presidente musulmano».
In alcuni Stati nigeriani è in vigore la shaaria islamica. Questo ha influito e come sulla situazione?
«L’introduzione della sharia negli Stati nigeriani del Nord è l’esempio della debolezza del governo centrale. La Nigeria è uno Stato federale e laico, eppure ha accettato la legge islamica. Questo ha rafforzato la presenza di componenti jihadiste, ma ribadisco che sarebbe un errore presentare il conflitto nigeriano come una guerra di religione».
Il presidente ad interim ha detto di aver collocato tutte le forze di sicurezza a Plateau e nelle regioni vicine in stato di massima allerta in modo di evitare qualsiasi estensione del conflitto.
«Purtroppo si interviene sempre dopo, quando i massacri sono avvenuti. Non sarebbe stato difficile prevenirli, con un’azione di intelligence. Proprio questa inazione del governo centrale, questa debolezza, permette ai potentati di agire indisturbati e di manipolare grandi masse di poveri».
La Chiesa cattolica nel Paese ha delle responsabilità?
«Direi proprio di no. I cattolici in Nigeria sono espressione qualificata della società civile, i vescovi sono sempre puntualmente intervenuti riconoscendo le responsabilità dell’una e dell’altra parte, senza generalizzazioni. Hanno sempre fermamente condannato il ricorso alla violenza. Stanno lavorando per promuovere la convivenza tra cristiani e musulmani».
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