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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera, La Repubblica Rassegna Stampa
08.03.2010 Nigeria, i musulmani massacrano i cristiani
Ma per Repubblica la verità è un'altra

Testata:Corriere della Sera, La Repubblica
Autore: Paolo Salom-Guido Rampoldi
Titolo: «Nigeria, 300 cristiani uccisi a colpi di machete- Nigeria, massacro infinito tra cristiani e musulmani»

Il titolo è chiaro, " Nigeria, 300 cristiani uccisi a colpi di machete ", CORRIERE della SERA, a pag.16, di Paolo Salom. Stesse titolazioni sugli altri quotidiani, con l'eccezione di REPUBBLICA, che titola in prima pagina " " Nigeria, massacro infinito tra cristiani e musulmani ", anche a pag.4, all'articolo viene messo il titolo " Nella Nigeria dei massacri, dove cristiani e musulmani si uccidono in nome di Dio". Che REPUBBLICA sia dalla parte della " par condicio " non è una novità, ma che arrivasse a tanto non l'avremmo immaginato possibile. L'articolo, che riflette il titolo, è di Guido Rampoldi.
Pubblichiamo entrambi i pezzi.
Ecco la cronaca di Paolo Salom dal Corriere:

La mattanza è cominciata alle 3 di notte, come il peggiore degli incubi che si trasforma in realtà. Il silenzio spettrale del villaggio di Dogo Nahawa, cinque chilometri a sud della martoriata città di Jos, Nigeria centrale, è stato rotto improvvisamente dalle urla degli aguzzini scesi dalle colline circostanti. Spari, confusione, sangue: gli abitanti del villaggio hanno cercato scampo nella fuga. Pochi ce l’hanno fatta. Gli assalitori, pastori nomadi musulmani, di etnia Fulani, hanno colpito i loro «nemici», contadini cristiani, con la ferocia dei predatori affamati. Al mattino, quando finalmente sono arrivati nella zona i militari che da anni cercano invano di frapporsi tra le etnie, le strade erano ricoperte di cadaveri, l’aria oscurata da nugoli di mosche attirati dall’odore della morte. Grehory Yenlong, commissario dello Stato del Plateau per l’Informazione, ha parlato di almeno 300 cadaveri, la maggior parte donne e bambini, quasi tutti uccisi a colpi di machete. Ad alcuni era stato dato fuoco.

Devastazione Alcuni nigeriani trasportano il corpo di un ucciso a Kuru Jantar, lo scorso 22 gennaio

Si è consumata così l’ultima strage partorita dall’odio religioso in un Paese, la Nigeria, che appare come un immenso patchwork di etnie e confessioni. Jos, la capitale dello Stato federale di Plateau, è percorsa dalla paura. Il presidente ad interim, Goodluck Jonathan, che sostituisce il leader malato Umaru Yar’Adua, ha dichiarato di aver «collocato tutte le forze di sicurezza a Plateau e nelle regioni vicine in stato di massima allerta in modo di evitare qualsiasi estensione del conflitto». Jonathan ha ordinato l’arresto «dei responsabili» del massacro. La polizia ha confermato che decine di famiglie (musulmane) stanno lasciando la città per timore di rappresaglie. Lo scorso gennaio, proprio a Jos, trecento cittadini islamici erano stati uccisi durante scontri con i cristiani. Ma la strage di ieri, secondo alcuni testimoni locali, potrebbe avere un’altra genesi. «Una quindicina di giorni fa sono stati i cristiani di etnia Bérom ad attaccare i Fulani— ha detto un abitante musulmano di Jos —. Quattro pastori avevano perso la vita».

Certo, negli ultimi anni, l’incrociarsi di vendette e rappresaglie, tra le comunità della nazione più popolosa dell’Africa (150 milioni di abitanti), è talmente fitto che appare impossibile stabilire un ordine tra aggressori e aggrediti. L’unica cosa certa è che le violenze inter-religiose hanno provocato dal 2000 a oggi diverse migliaia di vittime e sempre più profughi in fuga: Jos, in particolare, appare come la città più colpita. Al centro del Paese, è nel crocevia tra Nord a maggioranza musulmana e Sud a maggioranza cristiana. Frequenti le frizioni, gli scontri tra appartenenti alle due maggiori confessioni religiose che in un battibaleno si tramutano in faide combattute a colpi di kalashnikov, machete e coltello. Ma i problemi, in una Nigeria ricca di petrolio e di interessi, possono avere in questo caso anche una colorazione politica. Goodluck Jonathan (cristiano) ha assunto le funzioni di capo dello Stato ad interim lo scorso 9 febbraio in seguito alla malattia del presidente Umaru Yar’Adua (musulmano) che, tornato in patria poco più di dieci giorni fa dopo tre mesi trascorsi in un ospedale dell’Arabia Saudita, non è ancora comparso in pubblico ma già reclamerebbe la restituzione dello scettro. Jonathan non pare volersi fare da parte: non prima delle elezioni previste per il 2011.

e quella di Guido Rampoldi su Repubblica:

E quando adesso ascolti i ragazzini raccontarti come i cristiani adempivano con i machete al comandamento del Signore degli Eserciti - «Voi inseguirete i vostri nemici ed essi cadranno davanti a voi trafitti dalla spada» - , quando ti rendi conto che tra le rovine bruciate l´unico edificio intatto è il tempio dei pentecostali, devi domandarti se chi ha ordinato questa strage non legga la Bibbia esattamente come, nel campo avverso, alcuni islamisti leggono il Corano. E cioè come una teologia del terrorismo particolarmente utile per annientare gruppi umani rivali, depredare, sottomettere, e poi spacciare quei crimini per eroici atti di fede.
Lo scontro antico che dall´Africa alle Molucche sta ritrovando nelle religioni pretesti, ispirazioni e complici, in Nigeria centrale obbedisce ad una simmetria radicale: musulmani e cristiani fanno fuori interi villaggi. Grosse bande attaccano di sorpresa insediamenti isolati e non risparmiano nessuno, neppure i bambini. L´altra notte una masnada di musulmani ha massacrato i cristiani di Doko Nahawee, ammazzandone forse cinquecento. Cinque settimane prima, il 26 gennaio, era stata cancellata dalle mappe Kuru Karama. Dei tremila abitanti, i cristiani ne hanno sterminati almeno centocinquanta, quelli troppo vecchi o troppo giovani per scappare, e quelli decisi a difendere le loro cose. Tra le casette di terra rappresa, nessuna delle quali conserva la lamiera che fungeva da tetto, incontro quattro soldati depressi e tre scolari sedicenni venuti a cercare i quaderni che tenevano vicino al letto.
I soldati hanno tappato con la terra due pozzi in cui gli attaccanti avevano gettato gli uccisi: troppi cadaveri, spiegano, e non sapevano come tirarli fuori. I ragazzini appartenevano ad una classe che è stata decimata dai machete quando ha cercato di scappare attraverso il cerchio degli assedianti. Mentre ne raccontano non trovano le parole, e hanno gli occhi sgranati, non so se per paura, orrore o incredulità.
Nessuno di loro, dicono, si attendeva l´attacco. Non è difficile crederlo. Kuru Karama è uno dei tanti insediamenti dell´etnia Hausa nello Stato del Plateau, villaggi dove trovi una piccola moschea accanto ad un minuscolo tempio cristiano, e botteghe che espongono appaiati poster di Cristo dal cuore palpitante e ragazze in estasi coranica. Intorno, una terra che non può suscitare appetiti - campi riarsi, una boscaglia rada sparpagliata sopra una landa polverosa. Ma Kuru Karama ha una particolarità: è interamente circondata dai villaggi dell´etnia cristiana, i Birom, che nel Plateau esprime il potere. Questo gli è stato fatale.
Se invece risaliamo la concatenazione delle causalità, il destino si presenta nella forma insospettabile di una legge in teoria molto democratica. Per salvare dall´assimilazione le più piccole tra le 250 etnie nigeriane, ciascuno dei 36 governi che formano la federazione attribuisce lo status di «popolazione indigena» alle tribù considerate autoctone, e con lo status accessi privilegiati all´istruzione e all´amministrazione pubblica, cioè all´unica possibilità di trovare un impiego decente. Gli Hausa sono nel Plateau dalla metà dell´Ottocento, ma il governo locale, egemonizzato dai Birom, non li considera «indigeni». Dal 2001 questa discriminazione è la causa delle loro rivolte furiose, e della reazione altrettanto brutale dei Birom.
Ogni volta più violento, lo scontro comincia a sovrapporsi ad una linea di faglia che attraversa la Nigeria dalla sua origine coloniale. Il Paese fu inventato dai britannici nel 1914 assemblando incongruamente il nord musulmano e il sud cristiano. Dopo la fine della dittatura militare (1999) dodici Stati del nord, invogliati da donazione saudite, hanno deciso di applicare la sharia ai loro cittadini, sia pure su basa volontaria. Ma uno dei dodici ci ha ripensato e gli altri non applicano la legge coranica nella parte sostanziosa. Però i gruppi dominanti (musulmani) si sentono autorizzati a rinforzare i pretesti con i quali si spartiscono gli impieghi statali. Nelle università, docenti cristiani si vedono negare cattedre, nelle scuole diminuiscono gli insegnanti non islamici. A loro volta alcune oligarchie cristiane della Nigeria centrale hanno cominciato a praticare la discriminante religiosa per tenere a bada etnie «non indigene» a maggioranza musulmana, come gli Hausa, che rivendicano i propri diritti. E poiché questa divaricazione ora attraversa anche gli apparati di sicurezza, sta diventando pericolosa per un Paese che fatica a trovare una comune ragione sociale, se non nei colossali proventi del petrolio.
Questi conflitti non potrebbero ricorrere alla maschera della religione se i cleri si opponessero. In questa regione, un frangiflutti di etnie e credi, hanno formato un comitato inter-religioso che si riunisce nella città di Jos per prevenire tensioni. I partecipanti si conoscono dal tempo delle elementari ma, mi confida uno di loro, dubitano tutti nello stesso modo della sincerità di quel che viene detto. E con ragione: infatti gli uni e gli altri mantengono un omertoso riserbo sulle malefatte delle bande giovanili cristiane e musulmane. Queste gang sono ispirate da due politici rivali, eminenze dello stesso partito: il governatore cristiano, un ex generale dell´aviazione di etnia Birom; e un ex ministro musulmano, di etnia Hausa.
Quest´ultimo avrebbe organizzato le violente dimostrazioni di gennaio, inizio dei tumulti. Motivo o pretesto: i cristiani avrebbero impedito la ricostruzione di una casa di musulmani, distrutta a Jos negli scontri di due anni fa. I musulmani hanno reagito con roghi di case cristiane e attacchi alle chiese, il 24 gennaio, una domenica. In ogni caso, a sera la rivolta era finita, stroncata dall´esercito nel solito modo: sparando ad altezza d´uomo sui dimostranti. Però i cristiani avevano subito vittime, anche se in numero minore dei musulmani, e l´oligarchia dei Birom voleva dare una lezione agli Hausa. Nelle ore successive la tv di Stato, diretta da un pastore pentecostale, ha mandato in onda a ciclo continuo notiziari eccitati, culminati il 26 in un editoriale che secondo i musulmani suonava come un appello al massacro. «Era tutto pianificato, possiamo provarlo», mi dice Sani Mudi, il portavoce della comunità musulmana nel Plateau, mostrandomi la pila di carte alta due palmi che questa settimana consegnerà alla Corte penale internazionale, a L´Aja.
Di sicuro gli stermini del Plateau non sono spontanei. Non lo è stato il massacro di Kuru Karama, anche se tra gli esecutori c´erano giovani Birom dei villaggi limitrofi. «Ne ho riconosciuti diversi», racconta Samir Abubakar, un commerciante di frutta che trovo tra le rovine. Quando è cominciata la caccia al musulmano, tra le case e nella campagna, è scappato nel panico, abbandonando i suoi familiari. Ha ritrovato la moglie in ospedale (la foto che ha nel telefonino la mostra con le braccia ingessate, per le tre fratture prodotte da altrettanti colpi di machete). Invece non ha più notizie della madre, probabilmente bruciata dentro la moschea, viva o già morta, e poi gettata in fondo ad un pozzo.
Quando i Birom che avevano circondato il villaggio hanno cominciato ad avanzare, uno dei tre pastori cristiani presenti quel giorno nel villaggio ha cercato di fermarli. Ma è stato picchiato e legato ad un albero, mi confermano gli studenti. Gli altri due se la sono filata. Si può assolvere la loro fuga, non il silenzio dei religiosi musulmani e cristiani. Con l´unica eccezione di monsignor John Onayekam, l´arcivescovo cattolico, pastori evangelici e mullah tacciono oppure si nascondono dietro dichiarazioni vaghe. Fingono di non sapere. Kuru Karama è a mezz´ora di macchina ma il massacro non suscita curiosità nel reverendo Caleb Ahima, segretario generale della Chiese pentecostali. Quando gliene domando risponde così: «Le crisi mettono in luce i limiti della condizione umana». Ben detto, ma chi è stato? «Non sappiamo, c´è in giro molta maligna propaganda». Ma chi è stato? «Io non sostengo le uccisioni illegittime». Il massimo che gli si può cavare è un «non escludo che alcuni cristiani...».
Poi il reverendo Ahima mi rivela che all´origine di tutto c´è l´ossessione piantata nella testa dei musulmani: concludere la guerra santa che i loro avi fallirono oltre un secolo fa e «bagnare il Corano nell´oceano», cioè impossessari dell´intera Nigeria. E ora tutto è più chiaro. Ai suoi occhi gli Hausa di Kuru Karama erano un avamposto dell´avanzata islamica verso la costa. Comprensibile che il loro sterminio non lo colpisca più di quanto l´ammazzamento di cristiani (non) impressioni tanti mullah, a loro volta convinti che i cristiani cospirino contro l´islam.
Quando il gregge si trasforma in branco di lupi, spesso i pastori lo assecondano. Gli trovano giustificazioni. E si tappano le orecchie per non udire le grida degli scannati. C´è anche un clero che si oppone e reagisce, non di rado in solitudine. Ma la tendenza generale oggi non sembra quella. Lì dove musulmani e cristiani coabitano da secoli, lo spirito del tempo sembra semmai soffiare nelle vele della religiosità più aspra, più sanguigna, più militante. Come altrove in Asia e in Africa, anche in Nigeria ne profitta tanto l´estremismo islamico quanto il cristianesimo dei pentecostali, un credo che ha conosciuto un boom spettacolare nell´ultimo secolo, al punto che oggi rappresenterebbe, per numero di fedeli, la seconda fede cristiana dopo il cattolicesimo. Qui noti anche come formidabili guaritori di indemoniati, i pastori pentecostali hanno una predisposizione per la prima linea, non a caso la loro casa madre è nella tumultuosa città di Jos, e una venerazione per la Parola sacra, nella quale non è difficile imbattersi nel Dio degli Eserciti, quello che non fa sconti. L´estremismo islamico lo frequenta da tempo, e infatti neppure in Nigeria distingue tra adulti e bambini quando massacra.
Musulmani o cristiani, gli assassini e i mandanti delle stragi occorse a Jos nel 2001, 2004, 2008 e nel gennaio 2010, sono tutti liberi. La polizia non li cerca. I suoi posti di blocco all´ingresso di Jos, una dozzina, la settimana scorsa sembravano soprattutto un´occasione offerta agli ufficiali per depredare automobilisti. Non era difficile immaginare che gli sterminatori sarebbero presto tornati a sacrificare villaggi al loro dio.

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