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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Libero - Corriere della Sera Rassegna Stampa
26.02.2010 Gheddafi invoca la jihad contro la Svizzera
Paolo Branca gli dà ragione. Cronache di Andrea Morigi, Maurizio Caprara, Cecilia Zecchinelli

Testata:Libero - Corriere della Sera
Autore: Andrea Morigi - Maurizio Caprara - Cecilia Zecchinelli
Titolo: «Gheddafi esagera: guerra santa alla Svizzera - Mossa imbarazzante per Roma e gli altri che l’hanno sdoganato - Per il diritto islamico lo può fare»

Riportiamo da LIBERO  di oggi, 26/02/2010, a pag. 20, la cronaca di Andrea Morigi dal titolo "  Gheddafi esagera: guerra santa alla Svizzera". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 19, l'articolo di Maurizio Caprara dal titolo " Mossa imbarazzante per Roma e gli altri che l’hanno sdoganato " e l'articolo di Cecilia Zecchinelli dal titolo " Per il diritto islamico lo può fare ", preceduto dal nostro commento. Ecco i pezzi:

LIBERO - Andrea Morigi : "  Gheddafi esagera: guerra santa alla Svizzera"


Gheddafi

Davantiamigliaia disuoisudditi libici, Muammar Gheddafi dichiara che «la jihad contro la Svizzera, contro il sionismo, contro l’aggressione estera (...), non è terrorismo». Era la festa del Mouloud, ieri, in cui si commemorava la nascita di Maometto, oltre che un’occasione simbolica per pronunciare quelle parole con l’obiettivo dichiarato di infiammare gli animi di tutta la ummah islamica, circa un miliardo e duecento milioni di persone. Così il leader libico ha innescato una bombaquando ha incitato le folle anche al di là dei confini, chiamando a raccolta «qualunque musulmano nel mondo» avvertendolo che «chi tratta con la Svizzera è un infedele ed è contro l’islam, contro Maometto, contro Allah, contro il Corano». Campeggia la croce sulla bandiera della Confederazione elvetica. Dopo l’approvazione del referendumcon cui il 29 novembre scorso gli svizzeri hanno votato a larga maggioranza (57,5%) per vietare la costruzione di nuovi minareti «è contro la Svizzera miscredente e apostata, che distrugge le case di Allah, che la jihad deve essereproclamata con ogni mezzo». Come primo passo, chiede il boicottaggio e Gheddafi invita le «masse musulmane a recarsi negli aeroporti nel mondo islamico e impedire l’atterraggio dei voli svizzeri, ad andare nei porti per prevenire l’attracco delle navi elvetiche, a ispezionare ogni negozio e mercato per fermare la vendita di beni prodotti in Svizzera». Giunti a questo punto della crisi internazionale, tornare indietro è sempre più difficile. Le relazioni tra Tripoli e Berna sono precipitate dopo l’arresto nel luglio del 2008 a Ginevra del figlio di Gheddafi, Hannibal, scatenando una serie di ritorsioni a catena. La Libia aveva risposto alla “lista nera”, stilata dalla Svizzera con i nomi di 188 personalità libiche (tra cui lo stesso Gheddafi), sospendendo la concessione dei visti ai cittadini dell’area Schengen. Vedendo schierata dalla sua parte anche l’Italia, contrariamente alla maggior parte dei Paesi europei, domenicascorsa Gheddafi è riuscito a farsi consegnare Max Goeldi, un cittadino elvetico rifugiato dal luglio 2008 nell’ambasciata svizzera a Tripoli. La resa non ha però rasserenato il clima. È una scelta politica precisa, da parte del dittatore della Jamahiryya: Bengasi è la stessa città in cui nel 2003 fu preso d’assalto il consolato italiano, per protesta contro l’allora ministro per le Riforme, Roberto Calderoli, che aveva osato indossare una maglietta sulla quale era stampata una delle vignette danesi su Maometto. Il proclama di ieri, per giunta, parte dalla Cirenaica, la regione a più alta densità di terroristi, che ha inviato decine di reclute e numerosi dirigenti libici alla rete afghana di Al Qaeda. Ed è il luogo dove nel 1931 fu eseguita lacondanna a mortedi Omaral Mukhtar, ilcapo della resistenza islamica che aveva combattuto contro l’Italia. Una figura leggendaria, il cui mito da quelle parti è alimentato dall’ap - pellativo di Leone del Deserto e da un’iconografia propagandistica, provocatoriamente esibita da Gheddafi, durante la sua visita di Stato a Roma del giugno scorso. Non ci fu nemmeno un cenno di reazione da parte delle nostre autorità di governo per quell’atto di sfida, che ora si spiega come l’elemento di una strategia che necessita però di una condizione: il cedimento dell’Occidente al ricatto petrolifero e alla minaccia dell’invasione degli immigrati clandestini. Ci ha assicurato, il raìs libico, che vigilerà sulle sue e sulle nostre coste, in cambio di un’au - tostrada da costruire a nostre spese. Intanto, dei suoi pochi connazionali che vivono in Italia, uno è Mohammed Game, quello che aveva tentato, meno di cinque mesi fa, di far saltare la caserma Santa Barbara di Milano. L’altro è Abdelhamid Shaari, il direttore del famigerato centro islamico di viale Jenner, dove Game andava quanto meno a pregare. Bastano due così, mica delle orde di saraceni, per vivere in stato di allarme permanente. Tra il 1979 e il 2006, il regime di Tripoli figurava in cima alla lista degli Stati sponsor del terrorismo. Ne è uscito dopo aver ammesso la propria responsabilità nella strage di Lockerbie e dopo aver pagato un risarcimento ai parenti delle vittime. Ma l’autore di quell’atten - tato, Abdel Basset Al Megrahi, tornato in patria nell’agosto scorso, è stato accoltocome uneroe nazionale da Saif Al Islam, il figlio di Gheddafi. Tutti segnali da analizzare attentamente per valutare il grado di rischio a cui è sottoposta la Svizzera, contro la quale sta per scatenarsi tutto l’odio dell’estre - mismo islamico.

CORRIERE della SERA - Maurizio Caprara : " Mossa imbarazzante per Roma e gli altri che l’hanno sdoganato "

ROMA— Da parte di Muammar el Gheddafi i colpi di scena e le svolte improvvise non sono una novità, ma il suo appello alla guerra santa contro la Svizzera lanciato da Bengasi, Libia, salta agli occhi come una retromarcia difficile da trascurare. In particolare per il governo italiano, il quale in questi giorni è sì in contatto con entrambe le parti divise dal contenzioso nato dall’arresto del figlio del Colonnello, Hannibal, compiuto a Ginevra nel 2008, e tuttavia risulta attivo in sede europea nel difendere più Tripoli che Berna.

Per la parte resa nota ieri, il discorso pronunciato da Gheddafi padre segna un passo indietro nel restyling che, senza alcuna abiura, ha portato negli ultimi anni il Colonnello sempre più all’interno di capitali e centri di potere a lui in precedenza preclusi. È vero che prima di impossessarsi del controllo del suo Paese con un colpo di Stato nel 1969, all’età di 27 anni, il giovane Muammar aveva girato all’estero. Però ci sono voluti quasi due decenni perché, il 27 aprile 2004, fosse accettato come ospite dell’Unione europea in una visita a Bruxelles dopo essere stato ritenuto, negli anni 80, soprattutto il regista di attentati sanguinosi a Berlino e Lockerbie.

A quella visita sono seguiti i nulla osta per altre: nel 2007 a Parigi; nel 2009, per ben tre volte, in Italia. La mossa che ha permesso tutto questo risale al 2003, quando il Colonnello concordò con Usa e Regno Unito lo smantellamento di programmi tesi a dotare la Libia di armi di distruzione di massa. Ma a tutti quei passi in avanti si aggiunge un evento imbarazzante per i partner quando Gheddafi afferma, come ha fatto a Bengasi: «Dobbiamo proclamare con tutti imezzi la Jihad contro l’infedele e apostata Svizzera » . Tra tutti i mezzi possibili, il Colonnello in vita sua ne ha fatti già usare alcuni dei peggiori.

Il ministro degli Esteri Franco Frattini, ieri, ha preferito non commentare. Non è facile mantenere la qualifica di amico per chi sostiene che la guerra santa «contro la Svizzera, il sionismo, contro l’aggressione straniera non è terrorismo». Per quanto in arabo «jihad» significhi letteralmente sforzo, impegno, l’uomo che guida uno dei Paesi nostri principali fornitori di gas e petrolio sa che da noi molti associano il termine a bombe e stragi.

Due giorni fa in Parlamento, davanti al comitato sul Trattato di Schengen, Frattini era stato ottimista sul contrasto Libia-Svizzera: «Credo che ci siano oggi le condizioni per dire che il memorandum possa essere firmato». Previsione da rivedere. Ieri il ministro degli Interni Roberto Maroni, uscito da un incontro con i colleghi dell’Ue a Bruxelles, prima delle notizie da Bengasi aveva criticato la lista compilata dalla Svizzera con 188 libici indesiderati, Colonnello in testa, alla quale Tripoli ha reagito sospendendo visti per cittadini dell’area Schengen. «Il timore in parte è che ... la Libia possa indebolire i controlli alle proprie frontiere riguardanti l’emigrazione illegale», ha detto. «Non possiamo permettere che queste tensioni portino al deterioramento dell’ottimo rapporto che l’Italia ha con la Libia», ha dichiarato Maroni. Non tutti nell’Ue lo avranno ascoltato con gran comprensione.

CORRIERE della SERA - Cecilia Zecchinelli : "Per il diritto islamico lo può fare "
Come al solito Paolo Branca giustifica le posizioni islamiste. Sostenere che per quanto riguarda la giurisprudenza islamica Gheddafi può lanciare la jihad contro la Svizzera significa solo legittimarlo. E non è possibile prendere le parti di Gheddafi contro un Paese democratico. Persino se si chiama Svizzera.
Ecco l'articolo:


Paolo Branca

Può sembrare assurdo, perfino surreale che il leader della Grande Jamahiriya araba libica popolare socialista (nemmeno islamica) lanci la jihad. Ma dal punto di vista del diritto islamico non è infondato. «Dalla fine del califfato nel 1924, ma già prima, manca nell’Islam una vera autorità con il diritto di chiamare i fedeli alla guerra santa — dice Paolo Branca, islamista e docente in Cattolica —. Da allora è chi detiene il potere politico che possiede de facto quello morale; mancando una separazione tra Stato e Chiesa è il primo ad imporsi, il problema è il cesaropapismo, non la teocrazia». La giurisprudenza, divisa in scuole spesso divergenti, riconosce infatti in via teorica ai leader di Stati musulmani la prerogativa di appellarsi alla jihad, purché la comunità sia seriamente minacciata e ci sia l’avallo delle autorità religiose (di nomina politica per altro). Ma quando Saddam Hussein, effettivamente minacciato, provò a dichiararla nessuno lo seguì. «Il caos del mondo islamico è tale che ad esempio, nel lungo conflitto tra Iraq e Iran, entrambe erano guerre sante — continua Branca — che a quel punto si elidevano a vicenda». Fondato o non fondato, l’appello del Fratello leader non troverà certo molti seguaci.

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