Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Turchia: i generali contro l'islamismo di Erdogan. Ma Frattini continua a difenderlo. Commenti di Enzo Bettiza, Carlo Panella, Antonio Ferrari, Michael Sfaradi, Livio Caputo, Marco Zatterin
Testata:La Stampa - Corriere della Sera - Libero - L'Opinione - Il Giornale Autore: Enzo Bettiza - Antonio Ferrari - Carlo Panella - Michael Sfaradi - Livio Caputo- Marco Zatterin Titolo: «Trucco del governo per mantenere il potere - L’ultima sfida tra governo filo-islamico e potere laico»
Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 23/02/2010, a pag. 1-31, il commento di Enzo Bettiza dal titolo " Il dilemma di Ankara sognando l'Europa ", a pag. 9, l'articolo di Marco Zatterin dal titolo " La UE scettica all'adesione " preceduto dal nostro commento. Dal CORRIERE della SERA, a pag. 15, l'articolo di Antonio Ferrari dal titolo " Il 'golpe' e la resa dei conti tra le due anime della Turchia ". Da LIBERO, a pag. 22, il commento di Carlo Panella dal titolo " Trucco del governo per mantenere il potere ". Dall'OPINIONE, il commento di Michael Sfaradi dal titolo " Turchia, Peres sottomesso ". Dal GIORNALE, a pag. 15, il commento di Livio Caputo dal titolo " L’ultima sfida tra governo filo-islamico e potere laico ". Ecco i pezzi:
La STAMPA - Enzo Bettiza : " Il dilemma di Ankara sognando l'Europa "
Enzo Bettiza
Non a caso il premier turco Recep Tayyip Erdogan, scaltro manovriero e leader del filoislamico partito di governo Akp (targato «Giustizia e Sviluppo»), ha voluto denunciare l’arresto di oltre 40 esponenti militari, tra cui 14 di altissimo rango, proprio nel corso della sua visita ufficiale a Madrid. Tra i diversi tavoli sui quali abilmente Erdogan punta le sue carte, quello europeo ha un posto preminente ed è la Spagna che da gennaio esercita la presidenza semestrale dell’Unione Europea. Egli finora, negoziando la lunga e difficile trattativa per l’ingresso pieno della Turchia nell’Ue, ha concesso agli europei diversi punti sulla questione dei diritti civili: abolizione della pena di morte, sospensione del reato d’adulterio per le donne, mano ammorbidita nei confronti della ribelle minoranza curda, mano tesa agli armeni con qualche promettente attenuazione del drastico negazionismo a proposito delle ondate genocide con cui i turchi, a cavallo tra Ottocento e Novecento, stroncarono il risveglio risorgimentale e culturale degli armeni cristiani. Però la cosa che oggi maggiormente interessa Erdogan è di mettere, nel pacchetto delle concessioni democratiche all’Europa, la più centrale e spinosa fra le questioni di potere in Turchia. Il ruolo non solo politico, ma storico, dell’esercito. Furono difatti gli Stati maggiori sin dal 1923, dall’inizio della dittatura modernista di Kemal Atatürk, i garanti e custodi del lascito laico con cui il dittatore proveniente dalle caserme volle laicizzare ed europeizzare uno Stato nuovo sulle macerie dell’Impero ottomano. Nel corso del tempo, scomparso Atatürk e attenutasi la dittatura, i generali e i colonnelli, assistiti dal nerbo della magistratura secolarizzata, continuarono tuttavia a prodigarsi nella funzione di vigilissimi eredi del kemalismo. Erano soldati di mestiere e giudici costituzionali i controllori, ora flessibili ora intransigenti, dei governi civili e delle rispettive maggioranze partitiche che s’avvicendavano alla gestione dell’esecutivo. In più occasioni, 1960, 1971, 1980, interruppero con colpi di Stato la dinamica parlamentare istituendo governi militari di breve durata, volti a restaurare i princìpi kemalisti in un Paese nevralgico percorso da nazionalismi etnici e da insorgenti tentazioni islamiste; un Paese di oltre 70 milioni di abitanti eurasiatici, pilastro della Nato dal 1952, con un esercito convenzionale ritenuto secondo soltanto a quello degli Stati Uniti. Tale complesso militare-giudiziario ha visto profilarsi con orrore e tremore un pericolo nell’espansione crescente del partito Akp, che pur si dice moderato e sa temperare l’islamismo strisciante con forti iniezioni di liberismo economico. Il fatto che il musulmano Erdogan con moglie velata sia diventato capo del governo, e che il suo sodale Abdullah Gül con consorte altrettanto velata sia pervenuto alla presidenza della Repubblica, ha scatenato da tempo scandalo e rigetto fra i guardiani in uniforme di uno Stato a laicità ridotta. Ciò li ha spinti a minacciare una riscrittura della Costituzione e, più velatamente, a carezzare qualche ipotesi di una quarta o quinta prova di forza contro un governo deviato dai precetti di Atatürk. Ma Erdogan ha saputo agitare e vendere sottilmente a Bruxelles fino a ieri, a Madrid oggi, lo spauracchio di un nuovo golpe castrense, antidemocratico, anticostituzionale, mirato a reprimere non solo le moderate istituzioni islamiche turche ma anche l’attività dei sindacati e dei partiti. Egli ha posto non più con le parole, ma con i fatti, gli europei custodi delle libertà civili davanti all’arresto di illustri ex capi della marina e dell’aviazione, accusati di aver ordito fin dal 2003 un piano pregresso di golpe, chiamato in cifra Bayloz («martello»), ai danni del governo legittimamente eletto dal popolo. Denunciando i più sacri sopravvissuti della tradizione kemalista, screditati dalla stampa amica come membri dell’organizzazione terrorista Ergenekon, una specie di Gladio turca, Erdogan ha di fatto lanciato all’Europa la sfida o meglio l’enigma di un concetto ossimorico: se voi, europei, volete europeizzare davvero la Turchia, dovere condannare l’europeismo militarizzato ed eversivo degli stati maggiori e solidarizzare con l’europeismo evoluzionista e progressivo degli islamici moderati e non violenti. A questo punto, tutto è in alto mare e tutto ancora da filtrare e convalidare con prove provate. Non era ancora accaduto tra Ankara e Istanbul un repulisti di simili proporzioni. La Turchia appare come mai spezzata nelle sue due anime. L’Europa, già oscillante e perplessa, con milioni di immigrati anatolici non integrati nelle banlieues di Berlino, di Parigi, di Stoccolma, si trova di fronte un’autentica spaccatura della storia moderna della Turchia, una dissoluzione e denigrazione a base di manette e di carcere degli epigoni, non sappiamo fino a che punto colpevoli, dell’élite turca che da tre quarti di secolo aveva puntato quantomeno sull’europeizzazione tecnica, se non sull’occidentalizzazione civica, del grande e tumultuoso Paese ondivago tra noi e l’Asia. Sapremo meglio, fra qualche tempo forse meno breve del previsto, se i turchi, superando o sfasciandosi sotto al gravissimo scontro istituzionale, saranno in grado di varcare lo Stretto dei Dardanelli o se invece resteranno definitivamente di là, attaccati alla loro dolce matrigna asiatica.
CORRIERE della SERA - Antonio Ferrari : " Il 'golpe' e la resa dei conti tra le due anime della Turchia "
Antonio Ferrari
Come ha confermato lo stesso premier Recep Tayyip Erdogan, che si trova in Spagna, la polizia ha arrestato 40 persone, tra cui 14 alti ufficiali delle forze armate, compresi gli ex comandanti dell’aviazione e della marina, con l’accusa di aver tramato per realizzare un colpo di Stato e scalzare il governo.
Un tempo nessuno avrebbe dubitato sulla serietà della retata. Oggi non è così, perché il Paese è spaccato in due: da una parte l’esecutivo dell’arrogante e decisionista Erdogan, convinto che troppi complottino per farlo cadere, e incline a fastidiosi abusi di potere; dall’altra le forze armate, custodi dell’eredità secolare di Kemal Ataturk, la magistratura e una buona parte dell’opinione pubblica, che teme le derive autoritarie del primo ministro.
La cosiddetta operazione Balyoz (che vuol dire «martello»), che sarebbe stata ordita dai vertici militari, non è altro che l’ultima creatura della più ampia cospirazione eversiva raccolta sotto la sigla Ergenekon, un confuso complotto con trecento imputati raggiunti da accuse che si creano e si sciolgono, come il processo sta dimostrando. Ecco perché non tutti, anzi pochi credono alle accuse che i giornali vicini al premier e il ministro dell’Interno rivolgono ai presunti golpisti.
Ora, pensare che i generali, rappresentanti di quello Stato profondo, spesso evocato come l’origine dell’anomalia turca, siano pronti oggi a rovesciare la democrazia e le sue istituzioni, è risibile. Se accadesse, svanirebbero i sogni di Ankara di poter entrare un giorno nell’Unione europea. Il problema è un altro, ma è altrettanto grave. Siamo alla resa dei conti tra le due anime del Paese. Erdogan era stato accolto come l’uomo della provvidenza, il leader capace di regalare una solida stabilità alla Turchia. Stabilità che passava attraverso la concordia tra gli islamici moderati (i musulmani rappresentano il 97 per cento della popolazione) e i laici. La stabilità è arrivata, ma l’arroganza di un potere pigliatutto la sta sfaldando.
LIBERO - Carlo Panella : " Trucco del governo per mantenere il potere "
Carlo Panella
Non convince l’accusa di un golpe che ha portato ieri all’ar - resto di 40 personalità turche, tra cui due ex capi di Stato Maggiore. Non convince innanzitutto perché quando i generali turchi hanno voluto fare un golpe, l’hanno sempre fatto e chi stava al governo se ne è accorto solo il giorno dopo. Ed è stata una lunga serie di golpe: nel 1960 contro il governo autoritario di Menderes (poi impiccato); nel 1980 contro Ecevit e Demirel che stavano trascinando il paese nel baratro di una guerra civile; infine, nel 1997 contro Erbakan (leader del partito islamico, in cui allora militava Erdogan) accusato di “deriva islamista”. Tutti golpe, si badi bene, mirati a difendere la natura laica dello Stato, con i generali turchi che hanno subito ridato la parola a libere elezioni e a governi democraticamente eletti, esempio raro di una classe militare turca che ha usato della forza sempre e solo per difendere la democrazia. Purtroppo però, un’Europa che nulla o poco comprende, ha imposto alla Turchia un processo di riforme finalizzate all’ingresso nell’Ue, che hanno tolto ai militari quel ruolo costituzionale di “ga - ranti” della laicità e della democrazia che hanno sempre svolto, grazie alle caratteristiche uniche della esperienza kèmalista. Erdogan, che ha vinto trionfalmente (questo va ricordato, come va ricordata la grande crisi di consenso dei partiti laici turchi) due elezioni col suo islamista Akp, ha avviato con estremo piacere queste riforme e ha depotenziato il potere di intervento costituzionale dei vertici militari. Dal 2007, però, il governo Erdogan ha avviato anche un processo pericoloso, che ha portato agli arresti di ieri. Ispirata dal governo, una parte – solo una parte - della magistratura ha effettuato decine di arresti di militari sostenendo – con prove che a molti paiono pretestuose - che stavano tentando un golpe attraverso l’operazione Ergenekon, sigla di un golpe strisciante che avrebbe mirato alla destabilizzazione della Turchia con clamorosi attentati: le uccisioni di don Andrea Santoro e del giornalista armeno Hrant Dink, l’attacco al Consiglio di Stato e anche una trama per uccidere lo scrittore premio Nobel 2006 Orhan Pamuk. La pretestuosità e di questo quadro accusatorio è apparsa però chiara il 13 aprile 2009 con l’ar - resto di 18 “membri di Ergenekon”, tra cui Tijen Mergen, dirigente del gigante editoriale Dogan che pubblica il quotidiano Hurriyet,Mehmet Haberal,rettore dell' Università Baskent di Ankara e Mustaka Yurtkuran, presidente di un’associazione ispirata agli insegnamenti laici di Kemal Ataturk. Arresti che rafforzavano il sospetto che Erdogan e il suo Akp, imbrigliando la forte stampa dell’opposizione laica, cavalcassero un inchiesta fantasiosa mirata solo a silenziare i centri culturali e politici che potevano favorire una ripresa in forze dei partiti laici, avversari del governo islamista. Ipotesi rafforzata il 18 febbraio, quandoil Csm turco all’unanimi - tà ha deciso di sospendere dall’in - carico Osman Yanal, procuratore di Erzurum, che aveva fatto perquisire un magistrato di Erzincan, Ilhan Cihaner, ovviamente accusato di essere membro di Ergenekon, che stava conducendo un’inchiesta sulla potente confraternita islamica Ismailaga. Insomma, è forte il sospetto che Ergenekon e il suo progettato golpe in realtà sia unamontatura architettata – o favorita - dall’Akp di Erdogan per eliminare pretestuosamente l’opposizione laica, così come sono fortissime le preoccupazioni per la stessa tenuta del quadro democratico in Turchia.
L'OPINIONE - Michael Sfaradi : " Turchia, Peres sottomesso "
Michael Sfaradi
Dal momento che Erdogan è alla guida della Turchia i rapporti fra Ankara e Gerusalemme hanno più volte rischiato lo strappo diplomatico. Anche se il primo ministro israeliano ha sempre fatto da pompiere, nell’intento di calmare il ministro degli esteri Lieberman, dovrà presto prendere atto che l’attuale Turchia non può più essere considerata fra le nazioni amiche di Israele. Le violente manifestazioni che si sono tenute nelle principali città turche, la programmazione di un serial televisivo dove gli israeliani vengano descritti come assassini assetati di sangue, sono le spie della voglia di Erdogan di interrompere le relazioni diplomatiche con lo Stato ebraico. L’ultimo atto di questa querelle è stata l’ostentata esposizione di cartelloni giganti con un fotomontaggio dove il presidente Shimon Peres si inchina davanti al primo ministro turco Erdogan in un atto di D sudditanza. Queste immagini sono state pubblicate sui principali quotidiani israeliani e le maggiori reti televisive le hanno trasmesse in servizi dove gli slogan urlati erano molto simili, se non uguali, a quelli che si sentono a Teheran o a Beirut. Lo sfregio al presidente della Repubblica, premio Nobel per la Pace e icona storica dello Stato stesso, è mal digerito dalla maggior parte della popolazione e questa, forse, potrebbe essere la goccia che farà traboccare il vaso della pazienza israeliana. C’è da chiedersi se l’attuale Turchia che con i suoi comportamenti, mentalità e i modi di agire si allontana giorno dopo giorno dai modelli occidentali, possa essere ancora presa in considerazione per un eventuale ingresso nell’Unione Europea, e se sia il caso, viste le attuali “frequentazioni” di Erdogan, di mantenerla all’interno della Nato.
Il GIORNALE - Livio Caputo : " L’ultima sfida tra governo filo-islamico e potere laico "
Livio Caputo
Se i piani attribuiti alle quaranta persone - tra cui 14 alti ufficiali delle tre armi - arrestate ieri con l’imputazione di preparare un colpo di Stato si fossero realizzati, sarebbe stata la quinta presa di potere da parte delle forze armate turche in 50 anni, dopo quelle del 1960, del 1971, del 1980 e del 1997. In tutti questi casi, i militari erano intervenuti per difendere l’eredità khemalista contro le mene dei politici. Tuttavia, è lecito dubitare che, in questo ultimo caso, la minaccia fosse veramente consistente, perché nessuno degli arrestati occupava più posizioni chiave nella gerarchia militare. I fermi di ieri sembrano piuttosto l’ultimo capitolo della faida che da sempre contrappone il governo del premier Erdogan alle forze laiche e nazionaliste - fortemente rappresentate nelle Forze armate - che cercano di contrastare la lenta deriva islamista della Turchia, iniziata con la conquista del potere da parte del partito Akp. Nell’atto di accusa, gli arrestati vengono infatti esplicitamente collegati all’inchiesta su Ergenekon, una presunta organizzazione segreta nel mirino della Giustizia fin dal 2008, che ha portato finora in prigione - in tre riprese - oltre trecento tra militari, intellettuali, giornalisti e perfino magistrati sotto l’accusa di complottare contro l’ordine democratico. Il processo, iniziato un anno e mezzo fa con una requisitoria piena di contraddizioni e lacune di ben 2.455 pagine, si trascina da allora senza arrivare a conclusione, alimentando il sospetto che la vicenda sia in realtà una colossale montatura per indebolire l’opposizione khemalista, minare la credibilità delle Forze armate e consolidare l’egemonia dell’Akp. Autorevoli osservatori stranieri hanno denunciato a più riprese le anomalie del caso, viziato da arresti arbitrari, intercettazioni illegali, pesanti intimidazioni e da innumerevoli «rivelazioni» della stampa filogovernativa, che ha via via attribuito alla fantomatica Ergenekon quasi tutti i delitti politici commessi in Turchia negli ultimi anni (compreso l’assassinio di padre Andrea Santoro) e legami con ogni sorta di organizzazioni eversive di destra e di sinistra. I due principali arrestati di ieri, l’ex comandante dell’aviazione Ibrahim Firtina e l’ammiraglio Ozden Ornek (già sospettato di avere ordito un complotto nel 2004), erano del resto stati convocati dal Procuratore generale nel quadro dell’inchiesta Ergenekon neppure un mese fa e perciò dovevano essere da tempo sotto sorveglianza. Qualunque sia il fondamento delle accuse, gli arresti sono arrivati in un momento in cui le tensioni tra il governo e le Forze armate, sempre latenti, sono tornate ad acuirsi. L’esistenza del piano «Martello» è stata rivelata già un mese fa da un piccolo giornale indipendente, chiamato Taraf, che asserì di averlo scovato tra 5.000 pagine di documenti militari giunti in suo possesso. Il Capo di Stato maggiore generale Basbug ha replicato che si trattava solo di un esercizio di simulazione e che mai e poi mai l’esercito avrebbe - come recita l’accusa - lanciato bombe su una moschea o abbattuto un aereo turco per fomentare il caos. Ma, il 4 febbraio, il governo ha reagito abrogando una vecchia e controversa norma che autorizzava le Forze armate a prendere autonomamente il controllo di una provincia, se ritenevano che legge e ordine fossero minacciati. Basbug ha dato il suo consenso, ma molti altri militari non l’hanno presa bene. Se la denuncia del nuovo presunto complotto consoliderà ulteriormente il potere di Erdogan e del suo partito islamico moderato rimane da vedere. LAkp ha conseguito nelle ultime elezioni la maggioranza assoluta, ha eletto nella persona di Gul un suo capo dello Stato e ha respinto un tentativo del Procuratore della Corte Suprema di metterlo fuori legge. Negli ultimi anni ha approvato varie leggi contrastanti con il credo laicista di Ataturk e avvicinato la Turchia agli altri Paesi musulmani. Ora sta lavorando per vincere le ultime resistenze del cosiddetto «stato profondo», ma molti pensano che stia tirando troppo la corda.
La STAMPA - Marco Zatterin : " La UE scettica all'adesione "
Frattini, nonostante la progressiva islamizzazione della Turchia operata da Erdogan e nonostante l'evidente segnale lanciato dai generali turchi, continua a proclamarsi favorevole all'ingresso della Turchia in Unione Europea e arriva a dichiarare che " Il premier Erdogan sta realizzando delle riforme importanti e ha bisogno di tutto il sostegno possibile ". A quali riforme si riferisca, non è ben chiaro. Ciò che invece è evidente è il riavvicinamento della Turchia all'orbita iraniana. Inoltre, come dimostrato dalla battaglia contro la stampa libera intrapresa da Erdogan, in Turchia non esistono libertà di pensiero nè di stampa. Non è possibile, perciò, appoggiare il suo ingresso in Unione Europea. Ecco il pezzo:
«Non ne abbiamo parlato», ammette Franco Frattini. Vero. La notizia del tentato colpo di Stato turco è rimasta fuori dalle discussioni ufficiali dei ministri degli Esteri Ue che ieri si sono visti a Bruxelles per il loro incontro mensile. Solo la Commissione Ue si è detta «preoccupata» per la situazione tesissima fra il governo di Ankara e i militari di Ergenekon. «Il premier Erdogan sta realizzando delle riforme importanti e ha bisogno di tutto il sostegno possibile», ha ammesso poi il capo della diplomazia italiana, sottolineando anche che l’accelerazione dei negoziati per l’adesione sarebbe una mossa importante. «Noi siamo favorevoli - ha ricordato -. Però anche l’apertura di un singolo capitolo richiede l’unanimità...». Si scorgono spesso facce imbarazzate per i corridoi del palazzo Justus Lipsius quando si pongono domande sulla Turchia. In un’intervista a «El País» il premier Erdogan ha cercato di smascherare il gioco, se l’è presa con il «comportamento scorretto» di Francia e Germania, quelli «cercano di cambiare le regole del gioco a metà percorso e stanno imponendo condizioni che non si trovano nella normativa europea perché ci sia impedito di entrare nell’Ue». Le accuse del leader anatolico trovano riscontro nella realtà e spiegano perché a Bruxelles si preferisca evitare commenti, per non creare ulteriori attriti e non mostrare troppo apertamente che il fronte è diviso. Il silenzio turco della baronessa Ashton, altro rappresentante Ue per la politica estera, è stato sinora piuttosto rumoroso. «Si parla di tentativi di destabilizzazione da parte del personale militare che ci inquietano notevolmente», ha confessato il commissario Ue per l’Allargamento, Stefan Fule, intervenendo ieri alla riunione della commissione parlamentare Ue-Turchia. «Un Paese amico», ha assicurato a Madrid il premier spagnolo Zapatero, guida di turno dell’Unione che proprio ieri ospitava Erdogan. «Siamo fortemente in favore del vostro accesso all’Ue - gli ha detto -, e nel nostro semestre prevediamo un accelerazione del negoziato». «Noi vogliamo entrare a pieno diritto - gli ha risposto il leader di Ankara -; non accetteremo un altro tipo di soluzione». Vallo a dire all’Eliseo. I turchi aspettano da ventitré anni fuori della porta del Club di Bruxelles, la loro domanda di risale all’aprile 1987. Il negoziato s’è aperto nel 2005 con le riserve di Austria e Cipro, quest’ultima legata all’annosa disputa sulla divisione dell’isola. L’elezione di Sarkozy due anni fa ha portato la Francia sul fronte di chi sostiene la via della partnership privilegiata in luogo dell’adesione. Berlino e Vienna sono per giocare la stessa carta, al contrario di Roma che da sempre si dichiara favorevole ad aprire la porta «senza riserve». Il negoziato fra Ankara e Bruxelles è basato su 35 protocolli, soltanto 10 dei quali sono stati spacchettati. Ufficialmente il dialogo fermo per la lentezza delle riforme e sul rispetto insufficiente dei diritti elementari. In realtà la Francia ha fatto sapere che non sbloccherà la trattativa perché s’oppone all’adesione. Vuol dire che è un no politico a tutto tondo, altro che riserve giuridiche. Neanche il rischio di un colpo di Stato sembra intenerire il fronte dei contrari, le esigenze di politica interna prevalgono. Col rischio, facevano notare fonti diplomatiche spagnole, che alla fine si finisca di perdere la possibilità di aiutare i turchi «a diventare europei quanto loro desiderano e noi abbiamo bisogno».
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