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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Foglio - Libero - Informazione Corretta - L'Unità - Corriere della Sera Rassegna Stampa
16.02.2010 Finalmente gli Usa si sono resi conto che l'Iran è diventato una dittatura militare
La sua candidatura al Consiglio dei Diritti Umani Onu è sconcertante. Commenti di Fiamma Nirenstein, Carlo Panella, A. B. Yehoshua, Mohsen Sazegara, redazione del Foglio

Testata:Il Foglio - Libero - Informazione Corretta - L'Unità - Corriere della Sera
Autore: La redazione del Foglio - Fiamma Nirenstein - Carlo Panella - Michael Sfaradi - Umberto De Giovannangeli - Viviana Mazza
Titolo: «Sconcertante la candidatura dell'Iran al Consiglio Onu dei Diritti Umani - La Clinton si sveglia: dittatura militare in Iran - Khamenei ha perso il controllo dei suoi Guardiani»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 16/02/2010, in prima pagina, l'articolo dal titolo " Havel e Walesa radunano i dissidenti di tutto il mondo ", preceduto dal commento di Fiamma Nirenstein, Vicepresidente Commissione Esteri, Camera dei Deputati, dal titolo " Sconcertante la candidatura dell'Iran al Consiglio Onu dei Diritti Umani ". Da LIBERO, a pag. 19, l'analisi di Carlo Panella dal titolo " La Clinton si sveglia: dittatura militare in Iran ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 20, l'intervista di Viviana Mazza a Mohsen Sazegara, ex pasdaran, dal titolo " Khamenei ha perso il controllo dei suoi Guardiani ". Dall'UNITA', a pag. 26, l'intervista di Umberto De Giovannangeli a A. B. Yehoshua dal titolo "  Un fronte di pace di israeliani e palestinesi per neutralizzare l’Iran". Pubblichiamo l'articolo di Michael Sfaradi dal titolo " Missioni impossibili  ". Ecco i pezzi:

Fiamma Nirenstein - " Sconcertante la candidatura dell'Iran al Consiglio Onu dei Diritti Umani "


Fiamma Nirenstein

“Non si sa se ridere o piangere alla notizia della candidatura dell’Iran a un seggio nel Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU dal giugno prossimo, per tre anni: è una candidatura sconcertante e grottesca, nonostante il paradosso continuo delle dinamiche delle Nazioni Unite, che perlopiù proteggono i violatori di diritti umani a causa di assurde maggioranze automatiche.

Proprio in questi giorni la violenta risposta del regime iraniano alle richieste di democrazia da parte della sua popolazione ha segnato una nuova quantità di estreme violazioni di diritti umani, con uccisioni, imprigionamenti senza processo e persecuzione di dissidenti.

Condivido e lodo le parole dell’Ambasciatore Laura Mirachian, nostro rappresentante permanente presso le organizzazioni internazionali di Ginevra, che oggi con estrema chiarezza ha espresso la contrarietà del nostro Paese a questa candidatura.

La partita resta tuttavia aperta dal momento che i posti a disposizione per il gruppo asiatico sono 4 e i candidati in lizza 5 (oltre all’Iran, il Qatar, la Malesia, le Maldive e la Thailandia). Se, a causa di pressioni politiche, uno degli altri 4 candidati dovesse rinunciare, l’Iran entrerà automaticamente nell’organismo che dovrebbe in teoria sorvegliare la morale del mondo.

Giusto per completare il paradosso, la questione si pone proprio in questi giorni in cui il Consiglio per i Diritti Umani stesso sta esaminando le violazioni iraniane dalle elezioni del giugno scorso in avanti”.

Il FOGLIO - " Havel e Walesa radunano i dissidenti di tutto il mondo "


Diritti umani in Iran?

Roma. Nel giorno in cui gli Stati Uniti denunciano la trasformazione dell’Iran in una “dittatura militare” e al Consiglio dell’Onu per i diritti umani Teheran fa domanda per ottenere un seggio, Václav Havel e Lech Walesa presentano un grande rilancio della causa dei diritti umani. Tra un mese si svolgerà proprio a Ginevra, sede del Consiglio dell’Onu per i diritti umani, l’incontro-protesta dei dissidenti di tutto il mondo. I due attivisti simbolo della lotta per la democrazia nell’Europa del socialismo reale raduneranno tanti dissidenti per una giornata internazionale della libertà. Un evento simile c’era stato tre anni fa a Praga, quando George W. Bush aveva riunito una platea di militanti democratici di tutto il mondo. Allora fu la Conferenza internazionale “Democracy & Security” organizzata dall’ex refusnik sovietico Natan Sharansky. A Ginevra sarà il “Geneva Summit for Human Rights, Tolerance and Democracy”. A Praga c’erano personaggi del calibro di Mamoun Homsi, ex parlamentare siriano arrestato per aver chiesto al governo di rispettare i diritti umani, l’egiziano Saad Eddin Ibrahim e l’iracheno Kanan Makiya. In Svizzera gli occhi saranno puntati sui volti nuovi della repressione internazionale e della lotta per i diritti umani. Come la paladina degli Uiguri Rebiya Kadeer, la militante democratica venezuelana Tamara Suju e l’ex schiavo sudanese Simon Deng, scappato negli Stati Uniti dove ha fatto luce sulla situazione dei cristiani e degli animisti vittime della schiavitù e dell’islamizzazione forzata in Sudan. Ci sarà Massouda Jalal, la pediatra afghana che ha corso per il posto di presidente contro Hamid Karzai e che sui giornali veniva indicata come “la donna’”. Ci saranno l’eroe di piazza Tienammen, Yang Jianli, i ribelli iraniani, le donne tibetane costrette ad abortire dalla Cina, Freedom House, i sopravvissuti ruandesi e quelli del Darfur. Protagonista sarà anche Donghyuk Shin, nato nei Gulag nordcoreani, la madre impiccata e un fratello fucilato, l’unico dei rifugiati nordcoreani a Seoul riuscito a fuggire da un campo di concentramento comunista. Shin farà il paio con Néstor Rodriguez Lobaina, un cubano che è stato oltre cinque anni in prigione per “disordini pubblici”, l’ex detenuto politico birmano Bo Kyi e la suora tibetana Phuntsok Nyidron, che ha scontato quindici anni per aver composto inni alla libertà. I dissidenti iraniani, per adesso anonimi, sono già pronti a denunciare la possibilità che un seggio del Consiglio dell’Onu per i diritti umani finisca nelle mani degli ayatollah.

LIBERO - Carlo Panella : " La Clinton si sveglia: dittatura militare in Iran "


Carlo Panella

Ma in che pianeta vive, è vissuta Hillary Clinton? Chi le ha dato la patente di Segretario di Stato Usa? Le sue affermazioni di ieri a Doha dimostrano infatti senza ombra di dubbio che non ha la minima conoscenza di quello che pensa sull’Iran. Peggio ancora, dimostrano che la amministrazione Obama si muove sulla base di analisi del tutto campate in aria, ancorate solidamente solo ai propri pregiudizi e schemi, senza nessun raccordo e conoscenza della realtà. Queste le “analisi” della Clinton su quanto sta avvenendo a Teheran: «Le Guardie della Rivoluzione, i Pasdaran, stanno guadagnando sempre più potere, tanto da prendere il posto del governo dell’Iran. Vediamo che il governo, il leader supremo, il presidente, il parlamento, stanno per essere soppiantati e che l’Iran si sta muovendo verso una dittatura militare». Ma questa “dittatura militare” è al potere ormai da 5 anni e ha conquistato il controllo del regime con Ahmadinejad (che non può essere “soppianta - to” dai Pasdaran per il semplice fatto che sono loro che lo hanno intronato) non contro, ma col pieno, esplicito appoggiodaparte della Guida della Rivoluzione e dello stesso Parlamento. La “svolta”, l’aggressività iraniana che constatiamo, è maturata perché nel 2005 l’Iran è uscito dalla spaventosa recessione provocata dalla guerra con l’Iraq che Khomeini fece durare sino al 1988. Rimessosi dai 500 miliardi di dollari di perdite e dal mezzo milione di morti provocati da quel conflitto, nel 2005 la Repubblica Islamica ha potuto in pieno riprendere la sua “mission”: impegnarsi allo spasimo per esportare la rivoluzione khomeinista. I Pasdaran, peraltro, non sono affatto dei “militari”, ma la fusione tra il “clero combattente”e le “guardie rosse” della rivoluzione islamica. Ed è un guaio serio se la Clinton e Obama pensano di contrapporsi a una dittatura militare, perché i Pasdaran non ragionano affatto in termini “militari”. Ragionano come rivoluzionari impregnati nella ideologia del martirio. Non fanno calcoli basati sul rapporto tra impiego della forza e risultato ottenuto come i generali, ma dentro lo schema dell’obbiettivo apocalittico del martirio. Per di più i pasdaran sono un tutt’uno con il “clero combattente”. “Cle - ro combattente” che peraltro continua a rappresentare in pieno il grande corpo degli ayatollah e della gerarchia sciita iraniana (tranne poche, autorevoli, eccezioni). Dunque, Clinton in piena crisi confusionale. A meno che questa analisi serva solo giustificare il disastro del disegno politico di Obama che ha impostato tutta la sua campagna contro George W. Bush sostenendo che l’Iran non era “asse del Male”(come palesementeè), ma cheunapolitica del dialogo avrebbe aperto cuori e menti. Il vergognoso discorso del Cairo all’Islam del 4 giugno di Obama, la sua legittimazione agli ayatollah iraniani alla vigilia della stagione di sangue che stavano peraprire, sono stati il suggello di quella alternativa basata sulla non comprensione dell’essenza del regime degli ayatollah. Ma ora, ecco che la Clinton - e Obama - inventano la scusante del proprio fallimento: è la realtà ad essere cambiata, e addirittura Khamenei che per loro era tanto affidabile interlocutore (come Ahmadinejad) sta per essere “soppiantato” dai cattivi Pasdaran. Ignobile trucco per salvarsi l’anima. Pessimo preambolo ad una reazione americana contro la tracotanza iraniana che si basa su premesse manipolate e irreali, che porterà ad azioni confuse e balbettanti, nella piena tradizione dei Democratici, sul modello di Jimmy Carter.

INFORMAZIONE CORRETTA - Michael Sfaradi : " Missioni impossibili "


Michael Sfaradi

Di prove che il Medioriente sia diventato una bomba ad orologeria e che si stia avvicinando a grandi passi verso un conflitto ce ne sono a decine, ma mai come in questo periodo la sensazione che si stia arrivando ad un punto di non ritorno è stata così netta. Le minacce del presidente iraniano Ahmedinejad e del leader supremo l’Ayatollah Kamenei di distruzione dello Stato ebraico accompagnate dall’ordine di innalzare al 20% l’arricchimento dell’uranio non sono passate inosservate. In Israele c’è la consapevolezza che nel giro di pochi mesi si deciderà il nuovo assetto della regione, ed anche se fino ad oggi il governo di Gerusalemme ha dimostrato di possedere un enorme pazienza e nervi d’acciaio, non è detto che questo continui all’infinito, anzi. Negli ultimi giorni i segnali di insofferenza, dovuti soprattutto all’immobilità occidentale e al muro di gomma russo e cinese che ha impedito l’applicazione di sanzioni nei confronti di Teheran, si sono fatti sentire e due sono state le “spie” di questo stato. Per prima cosa c’è da registrare che il primo ministro israeliano Netanyahu è partito domenica 16 febbraio per Mosca dove deve incontrare il presidente Mednedev e il primo ministro Putin nel disperato tentativo di convincerli a bloccare la vendita di missili S300 all’IRAN. Che il premier israeliano si sia imbarcato verso una missione impossibile è dimostrato anche da un piccolo “giallo” che si è verificato a poche ore dal decollo verso la capitale russa quando la delegazione israeliana, già pronta per l’imbarco, è stata raggiunta dalla notizia che uno dei dirigenti dell’agenzia del governo russo che si occupa delle vendite di armamenti all’estero aveva dichiarato a fonti giornalistiche che il contratto con Teheran era entrato in fase operativa e che la consegna non poteva più essere messa in discussione. Questa notizia, nei modi e nei tempi in cui è stata divulgata, oltre a mettere bene in chiaro quali siano le reali intenzioni dei governanti russi, è stato un modo per far capire che ogni tentativo di bloccare la fornitura verso Teheran sarebbe stato inutile. Le batterie missilistiche S300 sono considerate da Mosca un’arma di difesa, questa è la giustificazione sbandierata, e fino a qui non ci sarebbe nulla da obiettare, ma il nodo è che le stesse verrebbero messe a difesa delle centrali nucleari dentro le quali si sta arricchendo l’uranio che serve per costruire una bomba nucleare. Sono le centrali ad essere offensive, e i missili messi a loro difesa diventano, di fatto, armi offensive anche se non nascono con questa caratteristica. La delegazione israeliana è comunque partita anche se le speranze di poter raggiungere il risultato sono ridotte a un lumicino. C’è poi da registrare la visita a Gerusalemme del capo di stato maggiore delle forze armate statunitensi ammiraglio Michael Mullen che dopo essersi incontrato con i vertici dell’esercito israeliano e del ministero della difesa, ha ricevuto i giornalisti ed ha risposto alle loro domande. Michael Mullen, in sostanza, ha ribadito che l’Iran non dovrà dotarsi dell’arma nucleare, e questa è una priorità per l’amministrazione americana, ma Washington chiede ad Israele di continuare a dimostrare la calma necessaria per fare in modo che la diplomazia internazionale raggiunga lo scopo di convincere Teheran a desistere dai loro programmi. Michael Mullen più che un ammiraglio sembrava un “pompiere” inviato da Obama con il compito di spegnere sul nascere i programmi di difesa preventiva israeliani. Secondo gli analisti militari, che danno per scontato il fallimento di ogni eventuale sanzione, i tempi di un’eventuale attacco teso a distruggere o a rallentare il programma nucleare iraniano, sono dettati dalle modalità di consegna dei missili S300. Anche se in molte cancellerie occidentali ci si è abituati all’idea di un Iran potenza nucleare, siamo convinti che Israele non è disposta a vivere il suo futuro con un “spada di Damocle” di questo tipo che pende sulla sua testa. Se, come prevediamo, la visita di Netanyahu a Mosca si risolverà con un nulla di fatto, potrebbe essere giusto prevedere un’azione di forza in tempi relativamente brevi.

L'UNITA' -  Umberto De Giovannangeli : "  Un fronte di pace di israeliani e palestinesi per neutralizzare l’Iran"


A. B. Yehoshua

Lungi da me polemizzare con Elie Wiesel sulla pericolosità di Ahmadinejad e delle sue milizie di fanatici picchiatori. Il punto è un altro. È come neutralizzare il regime iraniano senza concedergli la possibilità di ergersi agli occhi delmondoarabo e musulmano come una sorta di “nuovo Saladino” che combatte contro il “Piccolo Satana” usurpatore della Palestina: Israele». Due grandi scrittori a confronto sull'Unità, su un tema scottante: come fronteggiare la minaccia iraniana. Abraham Bet Yehoshua replica ad Elie Wiesel. LaComunitàinternazionales'interroga su nuove sanzioni contro il regime di Teheran. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu chiede sanzioni “paralizzanti”. E c'è chi non esclude l'opzione militare. «In linea di principio non sono contrario alle sanzioni, ma mi chiedo se questo è davvero lo strumento più incisivo per far recedere l'Iran dalla sua corsa all'arma atomica. Spesso le sanzioni hanno finito per colpire i popoli e non i dittatori, aggiungendo sofferenza a sofferenza, e, in alcuni casi, rafforzando coloro che si sarebbe voluto combattere. Sia chiaro: di Ahmadinejad penso il peggio possibile. I suoi proclami fanno risuonare in noi echi di tragedie che credevamo sepolte, inghiottite dal tempo e dalla Storia. Anche per questo ho grande rispetto per le argomentazioni del mio amico Elie Wiesel, e tuttavia resto dell'idea che esiste un'altra via, più appropriata ed anche più “etica”, per neutralizzare la minaccia iraniane...». Quale sarebbe questa via? «Realizzare un “fronte di pace” che veda uniti israeliani e palestinesi. Uniti contro un regime che agita strumentalmente la “causa palestinese” per farsi forte agli occhi del mondo arabo e musulmano». Wiesel sostiene che l'antisemitismo mascheratodaantisionismocheanimail regime iraniano, affonda le sue radici in un odio che va al di là della questione palestinese. «Ma è nella questione israelo-palestinese che Ahmadinejad cerca una copertura politica, una legittimazione dentro e soprattutto fuori l'Iran. Quella di Ahmadinejad, e in questo ha ragione Wiesel, è una lucida pazzia che pur di raggiungere il suo obiettivo dichiarato usa con cinismo la sofferenza dei palestinesi, che il presidente iraniano concepisce come un esercito di shahid (martiri) e mai come un popolo di donne e uomini liberi. Il suo cinismo è pari alla sua pericolosità. L'irrisolta questione palestinese è un'arma propagandistica potente per regimi, gruppi, movimenti estremisti nell'intero mondo arabo e musulmano. Proviamo a disinnescare quest'arma, operando per raggiungereunaccordo di pace fra Israele e l'Autorità nazionale palestinese di Abu Mazen fondato sul principio di due Stati. Credo che questo sarebbe anche un sostegno importante all'”altro Iran”...». L'”altro Iran”? «Sì, l'Iran del coraggio, l'Iran della speranza, l'Iran dei giovani che a rischio della loro vita si battono per la democrazia. È l'Iran che investe sul futuro. Un futuro che non contempla ilNemico sionista contro cui indirizzare l'odio. Nelle manifestazioni dell'Onda Verde si è gridato “morte al dittatore”, mai “morte a Israele”. Questo vorrà pur dire qualcosa?». C'è chi non esclude l'opzione militare contro Teheran. «La debolezza politica non va mascherata con l'uso della forza militare, perché il rimedio potrebbe rivelarsi peggiore del male. Un'azione armata d'Israele o degli Usa rischierebbe di far esplodere l'intero Medio Oriente, regionalizzando il conflitto. E forse è proprio questo il disegno di Ahmadinejad e soci... Il “Nuovo Medio Oriente” deve nascere su una pace possibile e non su una guerra devastante. Il che nulla toglie alla necessità che la comunità internazionale faccia sentire tutta la sua pressione sul regime iraniano». La Premio Nobel per la Pace Shirin Ebadi mette in guardia il mondo dalle conseguenze di sanzioni economiche e opta per forti pressioni diplomatiche. «Una posizione ragionevole, del tutto condivisibile, tanto più che viene da una donna iraniana coraggiosa, in prima fila nella battaglia per la democrazia e i diritti in corso in Iran. Ebadi fa riferimento a sanzioni diplomatiche: mi pare una ipotesi da non lasciar cadere. Su questo mi ritrovo con Wiesel: sarebbe un segnale forte, inequivocabile, se ogni Paese dichiarasse Ahmadinejad personanon gradita». Leiparladellapacefra israelianiepalestinesicomeil migliorantidoto al velenodell'odio istillato daimilitariedaiteocrati al potere in Iran. Ma questa pace da Lei evocata da cosa dovrebbe partire? «Dalla definizione dei confini. È il punto cruciale, il punto di svolta. La mancanza di confini fra due nazioni è una delle cause principali del sangue versato in tutti questi anni. La divisione fisica, territoriale, è il mezzo per porre fine al disegno del Grande Israele e della Grande Palestina. D’altro canto, la definizione dei confini non è solo un esercizio diplomatico ma, per noi israeliani, è anche qualcos’altro, di molto più profondo e ancor più doloroso della restituzione di territorio occupato…». In cosa consiste questo “altro”? «Definire i confini ci impone di ripensare noi stessi, rivisitare la storia di Israele e tornare agli ideali originari del sionismo, per i quali l’essenza dello Stato non s’invera nelle sue dimensioni territoriali né inunafflato messianico, bensì nella capacità di fare d’Israele un Paese normale. Lei mi chiedeva cos’è per me la pace? La risposta è semplice e insieme terribilmente difficile da realizzare: la pace è la conquista della normalità. Quando ci sarà la pace e il quadro normale dello Stato d’Israele consentirà il riconoscimento definitivo del consesso dei popolo, e in particolare dei popoli dell’area in cui ci troviamo, ci renderemo conto che “normalità” non è una parola spregevole ma, al contrario, l’ingresso in una epoca nuova e ricca di possibilità, in cui il popolo ebraico potrà modellare il proprio destino, produrreuna propria cultura completa. Si dimostrerà il modo migliore per essere altri e diversi, unici e particolari - come lo è ogni popolo - senza preoccuparci di perdere identità. Aggiungo che l’abbattimento del Muro che riguarda noi israeliani e i palestinesi non può portare con sé l’idea di una unificazione tra due entità nazionali che restano comunque separate. Voglio essere ancora più esplicito: l’opposto del “Muro”, la sua alternativanon è uno Stato binazionale, che era e resta una soluzione impraticabile ». Su cosa fonda questa valutazione? «Vi sono ragioni molteplici e di diversa natura. In questo conflitto israeliani e palestinesi hanno rafforzato le rispettive identità, e una diffidenza reciproca. Alla fine, spero e credo, ci sarà pace ma mai “amore”. Se pace sarà, sarà la pace dei generali come Yitzhak Rabin, che combatterono per una vita contro il nemico e da questa esperienza trassero la convinzione che non esiste una via militare alla sicurezza e alla normalità per Israele. Alla base della separazione in due Stati c’è anche un’altra ragione che investe l’essenza di Israele, che rimanda alla sua identità ebraica. È proprio per preservare questa identità, insieme ai suoi caratteri democratici, che occorre separarci riconoscendo all’altro, ai palestinesi, il diritto, che porta con sé anche obblighi e doveri, ad un proprio Stato». Vorreirestare al valoreculturale, identitario, che per Israele avrebbe la definizione dei suoi confini. «In Israele c’è sempre stato un conflitto ideale oltre che politico tra i sostenitori della centralità di “Medinat Israel”, lo Stato d’Israele, e la destra religiosa, ispirata al revisionismo sionista di Jabotinsky, che invece pone l’accento su “Eretz Israel”, la sacra Terra d’Israele. Negoziare con i palestinesi i confini dei due Stati significa che a prevalere è stato Medinat Israel su Eretz Israel. Ad avere la meglio sarebbe una visione laica dello Stato suuna visione messianica, apologetica, del ruolo del popolo ebraico nella storia. Per restare ai “Muri” che il presidente Usa Barack Obama ambirebbe, meritoriamente, ad abbattere, ce n’è anche uno interno a Israele: è impastato di insicurezza e di messianismo religioso, non permette di cogliere il punto di vista dell’altro da sé. È il “muro” che separa Israele da un futuro fatto di normalità ».

CORRIERE della SERA - Viviana Mazza : " Khamenei ha perso il controllo dei suoi Guardiani "


Mohsen Sazegara

Mohsen Sazegara, uno dei padri dei Guardiani della rivoluzione, che nel 1979 aiutò Khomeini a fondare questo esercito parallelo votato alla difesa della repubblica islamica e oggi vive esule aWashington, è d’accordo con Hillary. «Un gruppo di Guardiani, con l’aiuto di Mojtaba, figlio della Guida suprema Khamenei, ha creato una dittatura militare. O meglio — si corregge— una forma di dispotismo militare e religioso: a volte la dittatura rispetta un sistema di leggi; in Iran, invece, la gente che ha preso il potere è la legge».
Come sono diventati una potenza economico-politica? «Quando Khamenei prese il potere nel 1989, aprì loro la porta in campo economico e in politica, soprattutto per contrastare il movimento riformista. Oggi i Guardiani sono un’entità unica al mondo: oltre 800 aziende e 1500 grossi progetti in vari rami— costruzioni, energia, finanza, industria, telecomunicazioni; allo stesso tempo sono come un partito politico — gestiscono direttamente alcuni ministeri come Interni e Difesa, indirettamente altri come l’Intelligence, attraverso ministriburattini. Molti dei governatori delle 30 province sono ex Pasdaran— e direttori di prigioni. Influenzano la politica estera: il nucleare, le operazioni in Iraq e in Afghanistan, il processo di pace attraverso Hamas e Hezbollah. Controllano i media: la radiotv di Stato, le agenzie di stampa Fars e Irna. Sono una mafia che gestisce il traffico di alcol, sesso, droga. Cinque anni fa appoggiarono Ahmadinejad come presidente-burattino ma alle scorse elezioni non era abbastanza forte e hanno fatto un golpe. Negli ultimi 8 mesi il popolo ha lottato nelle strade contro i Guardiani». Sono più potenti di Khamenei? «La Costituzione dà a lui autorità assoluta. Ma li ha usati e ora non riesce più a riportare il "genio" dentro la lampada. Khamenei soffre di depressione. Suo figlio e questa banda di corrotti gli fanno credere di avere ancora il potere». Chi c’è ora al vertice? «Mojtaba e uomini a lui vicini: come Hossein Tayeb, ex comandante della repressione, un religioso, che controlla l’intelligence, e altri comandanti brutali come Naghdi in testa ai basiji. L’80% dei Guardiani sono gente comune, tra gli ex generali molti sono contrari».

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