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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - La Stampa Rassegna Stampa
12.02.2010 Iran, continua la repressione del regime
Ma Lamberto Dini va a omaggiare il nuovo ambasciatore iraniano. Cronache di Viviana Mazza, intervista di Francesca Paci a Hadi Ghaemi

Testata:Corriere della Sera - La Stampa
Autore: Viviana Mazza - La redazione della Stampa - Francesca Paci
Titolo: «Iran, il regime soffoca le proteste di piazza - Ambasciatori Ue: alla celebrazione niente linea comune - Al ricevimento del nuovo ambasciatore a Roma l’unico politico è Lamberto Dini»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 12/02/2010, a pag. 8, due articoli di Viviana Mazza titolati " Iran, il regime soffoca le proteste di piazza " e " Ambasciatori Ue: alla celebrazione niente linea comune ". Dalla STAMPA, a pag. 9, l'articolo dal titolo "Al ricevimento del nuovo ambasciatore a Roma l’unico politico è Lamberto Dini  " preceduto dal nostro commento, a pag. 8, l'intervista di Francesca Paci a Hadi Ghaemi, coordinatore della campagna internazionale per i diritti umani in Iran per Human Rights Watch dal titolo "  Colpire l’economia è un boomerang. La gente non capirà". Ecco gli articoli:

CORRIERE della SERA - Viviana Mazza : " Iran, il regime soffoca le proteste di piazza "

Il regime ha messo in campo tutta la sua forza. Con un massiccio schieramento di agenti in uniforme e in borghese ha evitato che l’11 febbraio (il 22 Bahman nel calendario persiano), l’anniversario della caduta dello Scià e della nascita della Repubblica islamica, venisse usato dall’opposizione per infiltrare le manifestazioni di massa. Bahman significa valanga. Quelle processioni che Kapuscinski paragonò a un fiume umano ampio e ribollente, a una foresta di pugni minacciosi sollevati ritmicamente, si sono tenute anche ieri. La Tv di Stato ha mostrato uomini, donne e bambini in corteo con i poster «Morte all’America», «Morte a Israele», e poi centinaia di migliaia di persone in piazza Azadi (libertà) dove le processioni sono confluite alle 11 per il discorso del presidente Ahmadinejad. Le grida dell’«altro Iran» sono state soffocate. I leader dell’opposizione usciti in strada sono stati attaccati. Secondo i siti anti-regime, gli agenti hanno sparato in aria, usato spray al peperoncino, catene, manganelli per disperdere i manifestanti e proiettili di vernice per identificarli, e condotto decine di arresti a Teheran e altre città.

E’ un punto a favore del regime nella battaglia mediatica contro l’opposizione. Ma non è la fine della crisi interna. Lo show di unità nazionale, organizzato trasportando con gli autobus migliaia di persone a Teheran e premiandole con doni, non ricuce le spaccature all’interno dell’élite politica e clericale, ampliate dalla rielezione di Ahmadinejad. Nel suo discorso di oltre un’ora il presidente ha definito l’Iran uno «Stato nucleare», annunciando la produzione del primo pacchetto di uranio arricchito al 20% e sostenendo che gli scienziati sono in grado di arricchirlo oltre l’80% (poi il capo dell’agenzia atomica Ali Akbar Salehi ha detto che possono raggiungere il 100%: la soglia per la bomba è del 90%). Ma il presidente ha precisato di non volere l’atomica. «Se volessimo costruire la bomba, lo annunceremmo senza paura». Ha accusato Obama: «Rischia di soccombere alla pressione di una banda di sionisti». La Casa Bianca ha replicato di non credere a queste presunte capacità di arricchimento, di vedervi comunque una prova di intenzioni «tutt'altro che pacifiche » , e ha espresso «condanna e sgomento» per la repressione dell’opposizione. L'Alto rappresentante Ue per la politica estera, Catherine Ashton, ha dato il suo «sostegno» ai manifestanti anti-regime.

Secondo i siti dell’opposizione, paramilitari basiji e poliziotti hanno impedito al leader dell’Onda Verde Mir-Hossein Mousavi e all’ex presidente riformista Mohammed Khatami di raggiungere piazza Azadi, e brevemente detenuto il fratello Reza Khatami e sua moglie Zahra Eshraghi, nipote dell’ayatollah Khomeini. In piazza Sadeghi, a nord di Azadi, pare vi sia stata la protesta più consistente dell’opposizione. Qui la moglie di Mousavi, Zahra Rahnavard, 65 anni, è stata picchiata in testa e sulla schiena; l’altro leader dell’opposizione Mehdi Karroubi attaccato con spray urticanti da agenti in borghese, che hanno rotto i vetri della sua auto. Avrebbe riportato ustioni, ha detto suo figlio Hossein al blog Teheran Bureau. Un altro dei quattro figli di Karroubi, Ali, è stato arrestato. «Appena la gente arrivava la polizia la picchiava e la disperdeva», ha detto Hossein. Le informazioni sulle proteste erano ieri più che mai inverificabili. Una radio iraniana in California ha dato notizia della morte di una 27enne di nome Laila Zarei «uccisa da un proiettile» a Teheran, e altre fonti su Twitter parlavano di altre due vittime: ma non c’erano conferme sui siti riformisti più attendibili.

Uniche testimonianze dell’altro Iran: i video emersi su YouTube, nonostante la stretta del regime su Internet. Uno di questi illustra la violenza della repressione: un manifestante a torso nudo picchiato brutalmente da un poliziotto. In un altro, ragazzi e ragazze in metropolitana intonano una canzone della rivoluzione khomeinista, ma accusano il «Leader traditore» di aver «portato il Paese alla rovina e ucciso la gioventù», anziché lo «Scià traditore» come nella versione originale.

CORRIERE della SERA - Viviana Mazza : " Ambasciatori Ue: alla celebrazione niente linea comune "


Andrea Ronchi: "
Ora è necessario fare qualcosa di concreto e lavorare insieme per inserire i Guardiani della Rivoluzione, che sono il vero motore della repressione, nella black-list delle organizzazioni terroristiche europee "

A parole, l’Unione Europea ha condannato ieri da Bruxelles il regime iraniano per la repressione dell’opposizione con una voce sola, quella del capo della diplomazia Catherine Ashton. Al momento però di decidere se inviare o meno i propri rappresentanti alle manifestazioni ufficiali organizzate a Teheran da quello stesso regime, l’Europa non ha saputo adottare una linea d’azione comune. L’Ue si è spaccata in tre. Primo gruppo: Italia, Francia, Gran Bretagna, Germania, che avevano pensato inizialmente di inviare i numeri due dell’ambasciata, ma dopo che gli iraniani hanno fatto capire che si sarebbero offesi, hanno deciso di non mandare nessuno. Con loro anche Olanda, Austria e Danimarca. Secondo gruppo: Irlanda, Cipro, Repubblica Ceca e Spagna (quest’ultima presidente di turno dell’Ue), che hanno scelto di adottare un basso profilo inviando gli incaricati d'affari (il portavoce del ministero degli Esteri spagnolo ha precisato all’Ansa che l’ambasciatore era impegnato a Madrid per delle riunioni). Nel terzo gruppo, Belgio, Svezia, Finlandia, Bulgaria, Ungheria, Romania, Polonia, Slovenia, Portogallo e Grecia, che hanno inviato gli ambasciatori. Ambienti diplomatici a Bruxelles e fonti della Farnesina notano come l’Europa non sia riuscita amettersi d’accordo su una questione non particolarmente controversa: l’accordo sul livello di partecipazione avrebbe dovuto essere agevole. Presentandosi in ordine sparso, l’Ue dà così un segnale negativo sul piano della sua credibilità esterna. Fonti della Farnesina osservano inoltre che mentre la «vecchia Europa» ha dato alcuni segnali di coesione, la «nuova Europa» ha mostrato insufficiente responsabilità sul piano internazionale. «Alla prova dei fatti, l'Europa ha perso un’occasione importante per far sentire la propria voce e dimostrare compattezza», ha detto il ministro per le Politiche Europee Andrea Ronchi. «Ora è necessario fare qualcosa di concreto e lavorare insieme per inserire i Guardiani della Rivoluzione, che sono il vero motore della repressione, nella black-list delle organizzazioni terroristiche europee». Il portavoce della Farnesina Maurizio Massari ha illustrato ieri alla stampa la «politica dei tre no» dell’Italia nei confronti dell’Iran. «Noi diciamo no al diniego all'opposizione di dimostrare pacificamente — ha detto Massari —. Diciamo no alla repressione violenta sui civili e no all'interferenza negli affari interni iraniani, nel senso che sosteniamo i diritti umani dei manifestanti, in quanto principi universali, ma non vogliamo interferire nell'assetto istituzionale». Ha precisato che «non esiste alcuna ipotesi di richiamo del nostro ambasciatore in Iran». L'ambasciata italiana a Teheran è «pienamente operativa anche se oggi è chiusa al pubblico». Al ricevimento tenuto ieri all'ambasciata iraniana a Roma, l'unico politico di spicco presente è stato il presidente della Commissione esteri del Senato Lamberto Dini.

LA STAMPA - " Al ricevimento del nuovo ambasciatore a Roma l’unico politico è Lamberto Dini "


Lamberto Dini, incurante di quando sta succedendo in Iran, della repressione operata dal regime contro i manifestanti, è andato, unico politico italiano, a omaggiare il nuovo ambasciatore iraniano in Italia.
Dini, da sempre amico dell'Iran, ieri sera è arrivato a dichiarare : "
Bisogna mantenere un canale aperto con Teheran ". una dichiarazione per lo meno intempestiva, dopo che solo pochi giorni fa la nostra ambasciata a Teheran è stata presa di mira da proteste organizzate dal governo.
Ecco l'articolo:

Il nuovo ambasciatore iraniano in Italia, Seyed Mohammad Ali Hosseini - già vice ministro degli Esteri e animatore dei vivaci «punti stampa della domenica» a Teheran - non ha ancora presentato le credenziali al Presidente della Repubblica (lo farà lunedì), e dunque non può esprimersi su vicende politico-diplomatiche. Anche per questo il ricevimento di ieri per il trentunesimo anniversario della rivoluzione islamica di Khomeini, nella residenza alla Camilluccia, per la Festa nazionale, non è stato occasione di confronto sulla situazione nel Paese e il tentato assalto all’ambasciata italiana a Teheran di qualche giorno fa. La serata, del resto, non poteva che essere sottotono, considerato il clima fra i due Paesi. Il ministero degli Esteri era rappresentato da un funzionario, il vice direttore generale per i Paesi del Mediterraneo e del Medio Oriente Marras. Un solo politico di rilievo, il presidente della Commissione Esteri del Senato Lamberto Dini, vecchio amico dell’Iran con il quale - quando era ministro degli Esteri negli Anni ‘90 - tenne alto il tono del dialogo e fu tra i protagonisti del rilancio delle relazioni bilaterali. «Bisogna mantenere un canale aperto con Teheran», rifletteva anche ieri sera. Dalla residenza, e dall’ambasciata di via Nomentana, sono stati tenuti lontani gli studenti iraniani che ieri hanno protestato contro Ahmadinejad: la manifestazione è stata dirottata a Piazza della Repubblica. Un’altra dimostrazione, organizzata dall’opposizione «ufficiale» in Italia, si è svolta ieri, sempre a Roma, a piazza Montecitorio.

LA STAMPA - Francesca Paci : "  Colpire l’economia è un boomerang. La gente non capirà"


Hadi Ghaemi

«È stata una giornata complicata, abbiamo avuto contatti ridotti con Teheran e non possiamo confermare che siano state uccise tre persone». Hadi Ghaemi, coordinatore della campagna internazionale per i diritti umani in Iran di Human Rights Watch, ha seguito le manifestazioni per il trentunesimo anniversario della Rivoluzione islamica nel quartiere generale newyorkese della storica organizzazione non governativa. Se preferisce aspettare notizie certe per commentare i nuovi scontri di piazza, Ghaemi ragiona invece volentieri sulle sanzioni economiche che, sostiene, «finiscono sempre per colpire la popolazione e rafforzare i regimi».
Da quando il presidente iraniano Ahmadinejad ha alzato la posta minacciando l’arricchimento dell’uranio oltre il 20%, la comunità internazionale sembra decisa a inasprire le sanzioni. Chi vincerà il braccio di ferro?
«Di sicuro a perdere saranno gli iraniani, la gente. Qualsiasi sanzione economica è controproducente perché si ritorce contro la popolazione. Abbiamo l’esempio dell’Iraq, sappiamo che bloccare i rapporti commerciali con un Paese non serve a piegare il suo governo a più miti consigli. Bisogna colpire in alto, i vertici politici, la guardia rivoluzionaria».
La Casa Bianca sta compilando una lista nera di aziende direttamente collegate ai pasdaran. Sarà sufficiente a isolare il regime dal resto dell’Iran?
«Nel mercato internazionale ci sono molte compagnie che fanno riferimento alla guardia rivoluzionaria, identificarle e colpirle una a una nei loro interessi non è impossibile. Le uniche sanzioni che funzionano sono quelle finanziarie. Saddam Hussein non è caduto per l’embargo: strangolare l’economia ordinaria di una nazione alimenta il mercato nero e arricchisce solo i pochissimi che lo controllano, ossia gli uomini del governo».
L’opposizione combatte il regime. Ma i suoi leader, Mousavi e Karrubi, si sono sempre dichiarati favorevoli al nucleare a fini pacifici. Non c’è il rischio che gli iraniani reagiscano alle pressioni internazionali ricompattandosi con orgoglio nazionale?
«Tutti i giornalisti occidentali che sono andati a Teheran in questi anni hanno raccontato che la popolazione è favorevole al nucleare a fini pacifici. Può darsi che sia vero, ma in Iran in questo momento non esiste libertà di dibattito né di opinione. Bisognerebbe che finisse la repressione perché la gente parlasse senza paura e discutesse dei diversi possibili modi per produrre anche energia nucleare».
Rispondendo alle sollecitazioni del governo italiano l’Eni sembra davvero intenzionato ad abbandonare l’Iran. Dopo tante minacce è volta che il diritto internazionale la spunterà su gas e petrolio?
«Credo che in questo momento il settore privato europeo dovrebbe evitare d’espandersi in Iran. Se poi ci sono aziende che sono direttamente in affari con il governo del presidente Ahmadinejad dovrebbero andarsene immediatamente».
La Russia si è allineata alla politica delle sanzioni. Pechino invece continua a fare orecchie da mercante. È possibile che il blocco economico o finanziario abbia qualche effetto se la Cina insiste a remare contro?
«Mi auguro che la Cina la smetta di fornire un riparo al regime iraniano. Ma al tempo stesso confido che Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite capisca che colpire l’economia ordinaria è sbagliato e soprattutto controproducente».

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