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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - Libero - La Stampa - La Repubblica Rassegna Stampa
10.02.2010 Iran: dopo l'attacco, le reazioni in Occidente
Cronache e interviste di Viviana Mazza, Alessandra Farkas, Maurizio Caprara, redazione di Libero, Emanuele Novazio, Aldo Baquis, Andrea Tarquini, Vanna Vannuccini

Testata:Corriere della Sera - Libero - La Stampa - La Repubblica
Autore: Viviana Mazza - Alessandra Farkas - Maurizio Caprara - La redazione di Libero - Emanuele Novazio - Aldo Baquis - Andrea Tarquini - Vanna Vannuccini
Titolo: «Iran, attacco all’ambasciata 'Morte all’Italia e a Berlusconi' - Non piangerei se Ahmadinejad fosse ucciso - La linea di Roma: reazione a mente fredda evitando l’escalation»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 10/02/2010, a pag. 2, la cronaca di Viviana Mazza dal titolo " Iran, attacco all’ambasciata 'Morte all’Italia e a Berlusconi' ", a pag. 3 l'articolo di Alessandra Farkas dal titolo " Non piangerei se Ahmadinejad fosse ucciso " con le dichiarazioni di Elie Wiesel e l'articolo di Maurizio Caprara dal titolo " La linea di Roma: reazione a mente fredda evitando l’escalation ". Da LIBERO, a pag. 6, l'articolo dal titolo "  Ma l’Eni e altre 20 aziende vogliono fare nuovi contratti". Dalla STAMPA, a pag. 3, l'articolo di Emanuele Novazio dal titolo " Obama: adesso basta, sanzioni al più presto ", l'intervista di Aldo Baquis ad Ephraim  Asculai, ricercatore israeliano, dal titolo " Servono misure paralizzanti come per Saddam ". Da REPUBBLICA, a pag. 4, l'articolo di Andrea Tarquini dal titolo "  Iran a un passo dalla bomba pronti i missili per lanciarla ", a pag. 2, l'intervista di Vanna Vannuccini all'ambasciatore Alberto Bradanini dal titolo "  Venti minuti di grida e tensione per lanciare un segnale politico ".

Le dichiarazioni di Silvio Berlusconi in Israele hanno provocato da una parte l'ira del regime iraniano, dall'altra il consenso totale in Israele.
Sul RESTO del CARLINO di pochi giorni fa, in occasione della visita del premier in Israele, è stata pubblicata un'intervista a A. B. Yehoshua, intellettuale esponente della sinistra israeliana fondatore di 'Pace adesso' molto favorevole a Berlusconi.

Yehoshua ha dichiarato, tra le altre cose : "
Quando Berlusconi, l'altro giorno, è andato al Memoriale dell'Olocausto ho sentito che la sua partecipazione era sincera, che riusciva a trasmettere un'autentica emozione. Ma a convincermi sono state soprattutto le sue dichiarazioni (...) Un ottimo discorso. E soprattutto, un discorso sincero. Il premier italiano ama Israele. Ama davvero questa terra: senza finzioni, non per comodità diplomatica o per tornaconto. E questo è raro, anzi unico nel caso dei leaders europei(...)Perchè i capi di governo europei, e prima di Berlusconi anche quelli italiani, hanno verso Israele un atteggiamento che non sopporto. Ne parlano bene come per obbligo, come per un dovere non sentito, privo di ogni sincerità (...) Berlusconi ha maggiore spontaneità ".

Ecco gli articoli:

CORRIERE della SERA - Viviana Mazza : " Iran, attacco all’ambasciata 'Morte all’Italia e a Berlusconi' "

Una pioggia di uova e sassi contro il portoncino e la facciata in mattoni rossi dell’ambasciata italiana. Grido di battaglia: «Morte all’Italia!», «Morte a Berlusconi!». Decine di giovani avvolti nella bandiera iraniana hanno manifestato ieri pomeriggio contro la sede diplomatica italiana in viale Neauphle-le-Château a Teheran. A urlare gli slogan, a giudicare dalle foto diffuse dalle agenzie, c’erano anche donne velate di nero e uomini di mezza età. All’angolo di una stradina che corre a fianco dell’ambasciata, un paio di uomini barbuti si sono arrampicati su un palo per strappare la targa con la scritta «Via Roma». «Il nome di Roma non apparirà mai più su una strada di Teheran», ha proclamato uno di loro, secondo l’agenzia Fars. Sono state prese di mira anche le sedi diplomatiche di Francia, Germania e Olanda.

Manifestazioni come quella di ieri, ha detto l’ambasciatore italiano a Teheran Alberto Bradanini a Radio Capital, «sono orchestrate dal regime». Ma ha precisato che «non si è trattato di un assalto» e dopo una ventina di minuti «tutto è rientrato, non c'è stato nessun danno a persone o a cose». L’ambasciata resta aperta. Dietro la protesta, ha detto il ministro degli Esteri Franco Frattini, c’erano «quasi certamente i basiji», i fedelissimi del regime, gli stessi che nelle manifestazioni massacrano l’opposizione. Erano un centinaio, ha aggiunto, in abiti civili. La polizia iraniana in assetto antisommossa ha formato un cordone «sventando un assalto vero e proprio». I suoi commenti hanno provocato nuove accuse. Secondo i media pro regime sarebbero stati gli studenti a manifestare in risposta alle «interferenze negli affari interni dell’Iran». Accusare i basiji, afferma la Press tv, è «un’offesa agli iraniani» e prova che i «membri dell’Ue mancano di rispetto al più importante corpo di difesa popolare».

La tensione cresce fra Teheran e Roma. Il premier Berlusconi in visita in Israele la scorsa settimana ha appoggiato «sanzioni più dure» e promesso che l’Italia ridurrà gli investimenti nel Paese, ha definito «nostro dovere aiutare e sostenere l’opposizione» e paragonato il presidente iraniano Ahmadinejad a Hitler. È stato accusato d’essere servo di Israele, e domenica Bradanini è stato convocato per una protesta formale dal ministero degli Esteri iraniano. Cresce la tensione tra l’Iran e l’Europa a causa delle dichiarazioni che giungono anche da Francia e Germania sull’imminenza delle sanzioni. Ieri gli scienziati iraniani hanno avviato nell’impianto di Natanz il processo di arricchimento dell’uranio al 20%. Il presidente Usa Barack Obama chiude la mano aperta in un pugno chiuso: in una conferenza stampa a sorpresa ha detto ieri che i tentativi di dialogo sono falliti, annunciando «un significativo regime di sanzioni» nel giro di settimane (anche se resta l’opposizione della Cina).

Non è la prima volta che l’ambasciata italiana a Teheran è nel mirino. È accaduto ad esempio nel 2005 dopo una protesta a Roma contro Ahmadinejad (e in prima linea in viale Neauphle-le-Château, ufficialmente, c’erano le organizzazioni estremiste studentesche, non i basiji) e nel 2006, dopo che l’ex ministro leghista Calderoli indossò una maglietta con le caricature del profeta Maometto. E nel 2008 Berlusconi aveva già paragonato Ahmadinejad a Hitler, e il numero due dell’ambasciata fu convocato per una protesta formale. Ma il clima a Teheran è adesso tesissimo sia sul fronte interno che su quello esterno. Domani, 11 febbraio, è l’anniversario della rivoluzione islamica. Da una parte sono previste grandi celebrazioni pro regime. Dall’altra l’opposizione ha annunciato le proprie manifestazioni. I basiji sono già stati mobilitati: armati non di uova, ma di coltelli e bastoni. E le autorità iraniane mostrano di essere pronte ad alzare il tono dello scontro verbale anche con l’Italia. La radiotv di Stato ha ripetuto ieri contro la nostra ambasciata l’accusa di aver ospitato manifestanti dell’opposizione (definiti «facinorosi»). Più volte, nei mesi passati, il regime ha indicato l’esistenza di «legami» tra ambasciate straniere e opposizione: un modo per screditare sia i diplomatici come «complottatori» sia i dissidenti come marionette dell’Occidente.

CORRIERE della SERA - Alessandra Farkas : " Non piangerei se Ahmadinejad fosse ucciso "


Elie Wiesel

NEW YORK — «Cari presidenti Obama, Sarkozy e Medvedev, caro primo ministro Brown e cancelliera Merkel, per quanto tempo ancora possiamo restare a guardare con le mani in mano il compimento dello scandalo in Iran?». Comincia così l’accorato appello pubblicato ieri sull’International Herald Tribune dalla Elie Wiesel Foundation for Humanity, nello stesso giorno in cui, intervistato dalla Radio militare israeliana, l’82enne premio Nobel dichiara che «se il presidente iraniano Ahmadinejad fosse assassinato, non verserei una sola lacrima».

Mentre Teheran alza i toni dello scontro, minacciando direttamente i leader occidentali, lo scrittore e attivista sopravvissuto alla Shoah non esita a proporsi come guida morale nella crociata per fermare «il crudele e oppressivo regime iraniano». «Le minacce a Berlusconi confermano l’urgenza del mio messaggio», spiega Wiesel, che promette di «rivolgersi presto anche alla Cina, grande ostacolo alle sanzioni Onu e per noi un caso a parte».

La lezione dell’Olocausto, quando il mondo stette inerte a guardare, percorre l’inserzione a tutta pagina sottoscritta da ben 45 premi Nobel. «In nome della coscienza e dell’onore — recita la lettera — da Washington, Parigi, Mosca, Londra, Berlino e dal Consiglio di sicurezza Onu deve levarsi una condanna più forte e inequivocabile contro le ripugnanti pratiche di Teheran». Una dittatura, precisa l’appello, «che ha imprigionato, torturato, stuprato e impiccato migliaia di innocenti». Nell’intervista alla Radio militare israeliana Wiesel definisce Ahmadinejad «un pericolo per il mondo e un pazzo patologico», accusandolo di essere «un antisemita», «negatore dell’Olocausto», che vuole «apertamente la distruzione di Israele, cioè la distruzione di altri sei milioni di ebrei». Non è la prima vota che Wiesel cerca di usare la sua influenza per sensibilizzare il mondo sul pericolo iraniano. Nel settembre 2006, in occasione dell’apertura dell’Assemblea generale Onu, si era unito alla protesta di un gruppo di studiosi di diritto israeliani e americani — tra cui il docente di Harvard Alan Dershowitz — chiedendo che Ahmadinejad fosse espulso dall’Onu per le sue affermazioni negazioniste sulla Shoah.

Nel maggio 2008, durante la conferenza indetta dal presidente Peres per il 60esimo anniversario dello Stato d’Israele, affermò di fronte alla platea di capi di stato e vip quali Blair, Gorbaciov e Kissinger che è «una vergogna» che Ahmadinejad sia ricevuto nelle capitali mondiali, dal momento che minaccia Israele di attacco nucleare.

Nell’agosto 2009, durante la conferenza di Durban II a Ginevra, un membro dell’entourage di Ahmadinejad si avvicinò a Wiesel urlandogli «Sio-Nazi». L’incidente fu videoregistrato da un rappresentante latinoamericano del centro Simon Wiesenthal. Negli stessi giorni, la Elie Wiesel Foundation for Humanity pubblicò una lettera aperta «a Shirin Ebadi, agli altri dissidenti iraniani e al coraggioso popolo iraniano», invitandoli «a non sentirsi soli e a non perdere la speranza» e condannando in pieno «le evidenti violazioni dei diritti umani seguite alle elezioni presidenziali in Iran».

CORRIERE della SERA - Maurizio Caprara : "La linea di Roma: reazione a mente fredda evitando l’escalation "


Franco Frattini

ROMA — «Non dobbiamo assecondare l’escalation. Dobbiamo reagire a mente fredda», diceva ieri al Corriere il ministro degli Esteri Franco Frattini. Si accingeva a salire in macchina verso la fine di un pomeriggio nel quale si era dovuto occupare parecchio dalla manifestazione contro l’ambasciata d’Italia a Teheran. Tra i problemi aperti ai quali prestava più attenzione c’era la missione decisa all’improvviso dal suo collega turco Ahmed Davidoglu, un tentativo di convincere gli iraniani a far arricchire uranio in Turchia riducendo per l’Europa e per il resto dell’Asia i rischi di un suo uso militare. «Con l’Iran bisogna essere chiari. Allo stesso tempo, è importante che se ci sono possibilità di negoziato si perseguano. Davidoglu va a Teheran ed è un bene», osservava Frattini.

Per quanto nei mezzi di informazione italiani l’annuncio del raduno aggressivo di ieri contro l’ambasciata abbia innescato concitazione, la diplomazia segue altri schemi di comportamento e spesso ha bisogno di cercare ritmi diversi dal botta e risposta in tempo reale. La prossima mano della partita in corso da almeno sei anni sui piani nucleari iraniani alla quale ci si prepara è prevista per domani, quando la Repubblica presieduta da Mahmoud Ahmadinejad celebrerà il 31° anniversario della vittoria della Rivoluzione islamica.

La valutazione della Farnesina è che i raduni sotto le ambasciate di Italia, Francia, Olanda e Germania servissero alla nomenclatura fondamentalista islamica di Teheran per far scattare reazioni internazionali per favorire compattezza nel Paese in vista di possibili dimostrazioni di oppositori durante la festa nazionale. La vecchia tattica dell’indicare un nemico alle porte per serrare i ranghi dentro le mura. La stessa che avrebbe indotto Ahmadinejad a far avviare ieri, e non tra tre giorni, l’arricchimento di uranio al 20% nell’impianto di Natanz.

L’Unione europea, ieri, non aveva ancora adottato una decisione comune sul livello di rappresentanza di ciascuno dei suoi Stati membri nelle cerimonie di regime di domani. «Non manderemo il nostro ambasciatore. Manderemo il numero due dell’ambasciata, come credo anche molti degli altri Paesi europei», ha spiegato Frattini. Dunque, davanti a picchetti d’onore e dignitari con i turbanti non ci sarà il capo della sede diplomatica Alberto Bradanini, convocato al ministero degli Esteri iraniano domenica scorsa in segno di protesta contro le dichiarazioni pronunciate da Silvio Berlusconi in Israele a favore dell’opposizione verde. Alle celebrazioni andrà il primo consigliere Alessandro Monti. Frattini ha dato disposizioni che rendono retrattile la sua presenza: se la retorica supererà determinate linee rosse, il diplomatico lascerà le cerimonie.

Sono innanzitutto tre, in base alle disposizioni, gli elementi che potrebbero indurre il rappresentante dell’Italia ad abbandonare le celebrazioni. Primo: se chi parlerà al microfono negherà la Shoah, lo sterminio di quasi sei milioni di ebrei da parte dei nazisti. Secondo: insulti a Paesi dell’Ue. Terzo: apologie dei piani nucleari con rivendicazioni della violazione delle diffide dell’Onu.

La prudenza indica che non tutte le strade sono considerate chiuse prima che siano concordate nuove sanzioni verso L’Iran. Frattini sostiene che se il tentativo turco non riuscirà, sarà più facile convincere la Turchia, membro temporaneo del Consiglio di sicurezza dell’Onu, ad appoggiarle.

Da Israele il ministro dell’Energia Benjamin Ben Eliezer ha criticato «Paesi occidentali che di giorno denunciano la politica dell’Iran, mentre di notte ci fanno affari». Che la partita resti troppo aperta non piace all’intero arco di Stati preoccupati da una bomba atomica di Teheran. In Italia, il ministro per le Politiche europee Andrea Ronchi appoggia la richiesta israeliana di mettere le Guardie rivoluzionarie tra le organizzazioni ritenute terroriste dall’Ue e dichiara: «Se l’Europa non riesce a trovare una soluzione con Usa e Onu sull’Iran, falliscono la nuova politica estera europea e il nuovo corso del Trattato di Lisbona».

LIBERO - "  Ma l’Eni e altre 20 aziende vogliono fare nuovi contratti"

Nel 2008 l’interscambio tra Italia e Iran è aumentato dell’1,2%. Poi è arrivata la crisi globale e nonostante nell’ultimo anno il giro d’affa - ri sia sceso del 30% vale ancora più di 5 miliardi di euro. Tanto più che le esportazioni italiane crescono, mentre calano le importazioni. tanto che le aziende italiane presenti a Teheran sono più di venti e hanno come capofila l’Eni. Il Cane a sei zampe sta guidando la seconda fase dello sviluppo del giacimento di Darkhovin per portare la produzione da 50mila a 160mila barili al giorno (valore dell’operazione: un miliardo di dollari). E secondo la compagnia petrolifera statale Nioc «Le trattative con l’Eni per lo sviluppo della terza fase del giacimento di Darkhovin continuano». Quindi non sarebbe in corso nessun ritiro politico dal Paese di Ahmadinejad. Tutt’altro. Edison e la stessa Nioc hanno firmato un contratto di esplorazione del valore di 107 milioni di dollari per il centro di estrazione offshore Dayyer, situato nel Golfo Persico. A gennaio di quest’anno, è stata la volta della Maire Tecnimont che ha siglato un accordo da 220 miliardi di euro per il gas. La Carlo Gavazzi Space, invece, starebbe costruendo il satellite Mesbah. Iveco, gruppo Fiat, sarebbe il fornitore dei camion dell’esercito. La Seli vende i mezzi di movimentazione terra alla iraniana Ghaeme più in generale a fare affari con l’Iran c’è pure la DanieliDuferco, Telecom, Capitalia, Montedison, Falck. Le aziende italiane, ha precisato ieri l’Istituto per il commercio estero, sono «attive in prevalenza nei settori petrolifero, siderurgico, energetico, petrolchimico, automobilistico e delle costruzioni». Valutando di fatto negativamente l’ipotesi di sanzioni internazionali contro l’Iran, perché «ostacolano pesantemente gli investimenti », ha sottolineato l’Ice, «stranieri nel settore dell'energia (petrolio e gas) limitando anche la presenza dei gruppi italiani interessati».

La STAMPA - Emanuele Novazio : " Obama: adesso basta, sanzioni al più presto "

La comunità internazionale ha fatto i salti mortali» per convincere l’Iran a «un dialogo costruttivo». Di fronte al persistente rifiuto di Teheran, e all’avvio di un nuovo programma di arricchimento dell’uranio a una percentuale (il 20%) che ne consente impieghi militari, gli Stati Uniti «stanno lavorando a un significativo pacchetto di sanzioni». Per la prima volta Obama parla di «sanzioni» anziché di «conseguenze», e lascia intendere che gli Stati Uniti sono pronti a procedere da soli: «Queste sanzioni riguarderanno soltanto in parte l’Onu, vi saranno azioni nazionali». È soltanto un caso se la politica della mano tesa, inaugurata l’anno scorso da Obama, viene a scadenza nel giorno in cui l’Iran alza il tono con alcuni Paesi europei, Italia in testa. Ma, come spesso accade, le coincidenze diffondono forti segnali politici: le parole di Obama sono un impegno anche per il governo italiano, che di recente ha riaffermato la disponibilità a seguire l’esempio di Washington, si nota in ambienti diplomatici, e assumono un significato particolare di fronte a segnali di intimidazione che aprono una fase difficile nelle relazioni con Teheran.
È stato Franco Frattini a dare notizia del tentato assalto alla nostra legazione, mentre riferiva in Senato: «Siamo preoccupati ma l’ambasciata resta aperta», ha assicurato, con parole che sembrano alludere alle manifestazioni annunciate dall’opposizione iraniana per domani, anniversario della rivoluzione khomeista del ’79, e al possibile rifugio che la nostra sede potrebbe offrire ai feriti. «Non tollereremo scene di civili innocenti picchiati dalla polizia», ha affermato il ministro, annunciando che alle cerimonie ufficiali l’ambasciatore Bradanini non ci sarà. Sul «tentato attacco» alla nostra ambasciata, tuttavia, il ministro smorza: «I basiji non hanno provocato danni seri, l’intervento della polizia ha scongiurato l’assalto», e «quelli con l’Iran non sono rapporti tesi». La Repubblica islamica «ha rapporti problematici con tutta la comunità internazionale perché la palla (nella disputa sul dossier nucleare, ndr) è nel campo di Teheran». Ma la tensione fra Italia e Iran torna rapidamente a salire.
In serata la tv di Stato reagisce con stizza alle parole di Frattini, definendole «un altro deliberato tentativo di demonizzare il più importante corpo di difesa popolare iraniano, i basiji, un’offesa a tutti gli iraniani». Contemporaneamente, l’agenzia ufficiale Irna diffonde un comunicato dei manifestanti nel quale si sostiene che «l’ambasciata italiana, come quella francese, è diventata il rifugio dei dissidenti che negli ultimi mesi hanno sfidato il governo», e si chiede ad Ahmadinejad di «ridurre i rapporti con questi due Paesi». Nel caso «la congiura anti iraniana di Berlusconi con Israele dovesse continuare», è la minaccia, «la Repubblica islamica prenderà seri provvedimenti contro il suo governo».
Gli slogan gridati ieri contro l’Italia sono quelli usati d’abitudine contro «il diavolo americano» e «l’entità sionista», Israele. Nel «linguaggio dei dimostranti» controllati dal regime segnalano un’irritazione suscettibile di sviluppi legata, con tutta evidenza, alle parole pronunciate dal presidente del Consiglio la scorsa settimana a Gerusalemme: «E’ nostro dovere sostenere l’opposizione iraniana», aveva detto Berlusconi, «auspico sanzioni efficaci contro Teheran», «l’Iran ha una guida che ricorda personaggi nefasti». La prima reazione era stata - domenica scorsa - la consegna di una «nota di protesta» a Bradanini, come si è appreso da fonti della Farnesina.
Quanto al dossier nucleare, l’Italia è pronta a seguire Obama ma, afferma Frattini, conta ancora sulla mediazione avviata dal governo di Ankara per ottenere il trasferimento in Turchia dell’uranio iraniano a basso arricchimento: «Se questo non avvenisse non ci sarebbero margini se non per un’azione del Consiglio di sicurezza», che dovrebbe decidere per l’appunto le sanzioni. Mentre anche la Russia si schiera apertamente contro Teheran, resta l’incognita di Pechino: ma «un Paese ricco e pragmatico come la Cina», sostiene il ministro degli Esteri, «prima o poi lo capirà: il nucleare iraniano costituisce un problema anche per i suoi interessi».

La REPUBBLICA - Andrea Tarquini : " Iran a un passo dalla bomba pronti i missili per lanciarla "

BERLINO - L'Iran è molto più avanti di quanto non si pensi sulla via della costruzione di un'arma atomica. Grazie alla collaborazione di uno scienziato reclutato nell'ex Unione Sovietica, lo stato maggiore segreto che, guidato dal generale dei pasdaran Mohsen Fakrizadeh, si dice lavori allo sviluppo della bomba, è in possesso delle tecnologie per costruire un'ogiva (o testata) nucleare miniaturizzata, cioè delle dimensioni di una palla per esercizi ginnici o medici, del diametro tra i 30 e i 35 centimetri. Quindi abbastanza piccola e leggera per essere montata su uno Shahab-3, il missile balistico ritenuto dalle potenze occidentali come il futuro vettore delle bombe atomiche di Teheran. Lo scrive l'autorevole Sueddeutsche Zeitung in un ampio reportage investigativo, secondo cui i servizi segreti tedeschi sarebbero riusciti a far trafugare le informazioni con documentazione e a passarle agli alleati e all'Aiea.

Quanto tempo serve ancora all'Iran, dunque, per avere missili operativi armati con una testata nucleare? «Forse 18 mesi, forse 24, forse tre anni, in fin dei conti è solo una scelta politica del leader spirituale Ali Khamenei», dicono esperti indipendenti citati dal quotidiano di Monaco, e spiegano: «Il fattore decisivo è che non esistono più difficoltà tecniche di fondo che possano impedire all'Iran di costruire la bomba». Sullo sfondo, l'annuncio che l'arricchimento dell'uranio è iniziato rende le notizie sulla testata ancora più allarmanti.

Possedere la tecnologia per costruire una testata atomica operativa e funzionante, e abbastanza piccola da essere montata sul 'naso' del missile, è un progresso decisivo. Finora, si sapeva infatti che gli iraniani disponevano di piani per la costruzione di una bomba nucleare, forniti loro a quanto pare dallo scienziato pakistano Abdul Qadir Khan. Ma si tratta di progetti cinesi degli anni Sessanta, risalentia quando Mao Zedong volle la bomba. Erano cioè piani tecnici per una testata rudimentale, pesante e troppo grossa per un missile. Negli anni sessanta infatti la Cina, quando divenne potenza atomica, non aveva i missili come vettori, bensì solo lenti bombardieri, copie di vecchi Tupolev sovietici. Aerei subsonici, facilmente identificabili dai radar e abbattibili da moderni caccia. Ben diversa è la minaccia posta da un velocissimo missile balistico.

Dello scienziato ex sovietico, si conosce solo lo pseudonimo: Viktor Cerenkov. Avrebbe lavorato per le forze strategiche dell'Urss nel laboratorio segreto Celjabinsk-70. Dopo la fine dell'Unione era in difficoltà economiche, e un agente iraniano, il "dottor Shahmorradi", lo reclutò. Grazie al russo gli iraniani avrebbero costruito una testata munita di due moderni detonatori, denominati in gergo " exploding bridgewire detonators ". L'Iran disporrebbe anche di knowhow per costruire la testata secondo il principio dell'implosione. Per cui serve uranio arricchito come combustibile della fissione nucleare. E sarebbero molto, molto avanti anche nel progetto-costruzione del "veicolo di rientro", cioè l'ultima parte del missile, che dopo il lancio rientra nell'atmosfera con una precisa traiettoria balistica cadendo sul bersaglio prescelto.

La STAMPA - Aldo Baquis : " Servono misure paralizzanti come per Saddam "


Ephraim Asculai

Ephraim Asculai è un ricercatore del Centro di studi strategici (Inss) dell’Università di Tel Aviv che segue abitualmente l’evoluzione della politica iraniana, compreso l’improvviso peggioramento dei rapporti con l’Italia.
Qual è il significato delle manifestazioni di fronte all’ambasciata di Italia?
«In passato anche l’ambasciata della Gran Bretagna ha patito qualcosa del genere. Negli ultimi tempi questo è il comportamento del regime. Non si tratta certo di manifestazioni spontanee, o popolari. Sono dimostrazioni organizzate dal regime, servono ad esprimere il suo senso di insoddisfazione per le posizioni dei dirigenti italiani, o anche francesi, o anche di altri Paesi che cominciano ad irrigidirsi verso Teheran».
Sembra che dietro alle manifestazioni ci siano i Guardiani della rivoluzione. Nella visita a Gerusalemme di Silvio Berlusconi è stata evocata la proposta della loro inclusione in una lista nera internazionale. A che punto è questa proposta?
«Non saprei dire con esattezza. Di certo sarebbe auspicabile che i Guardiani della rivoluzione fossero inclusi in una lista del genere. Ma sanzioni nei loro confronti sono quasi impossibili da realizzare».
Il premier Benjamin Netanyahu ha invocato «sanzioni paralizzanti» nei confronti dell’Iran. È un progetto realizzabile?
«Quando si parla di sanzioni non si sa mai in partenza quale sarà il loro esito finale. D’altra parte non si può non agire perché ciò significherebbe che il mondo, e almeno gli Stati Uniti, è disposto ad accettare tacitamente un Iran nucleare. E questo avverrà senz’altro, in assenza di azione. Sì, è possibile pensare a sanzioni forti, paralizzanti, per esempio sul tipo “iracheno”. Occorre vietare all’Iran qualsiasi tipo di importazione, fatta eccezione per cibo, medicine e prodotti umanitari. In particolare vietare la importazione di benzina e di prodotti tecnologici. Impedire anche agli iraniani di muoversi nel mondo, annullare loro i visti di ingresso».
Ma non provocherebbe un compattamento fra il regime di Ahmadinejad e il popolo?
«Al popolo iraniano dovrebbe essere spiegato che queste misure sono adottate proprio per la politica del suo governo. Cambiando il governo, o la sua politica, il popolo verrebbe a trovarsi in condizioni migliori».
Il ministro israeliano Silvan Shalom ha previsto che il prossimo mese sarà di «importanza critica». Lei è d’accordo ?
«Purtroppo il 2009 è trascorso senza che i progetti nucleari iraniani fossero ostacolati. La politica di “engagement”, la politica della “mano tesa” annunciata da Barack Obama non ha dato proprio alcun risultato positivo. Il presidente Ahmadinejad è stato bravo a guadagnare tempo. La data-limite del dicembre 2009, enunciata dagli americani, è passata senza alcuna conseguenza per il regime. Il presidente Usa sembra averlo capito, finalmente. Adesso ogni mese può dirsi critico».

La REPUBBLICA - Vanna Vannuccini : " Venti minuti di grida e tensione per lanciare un segnale politico "


Alberto Bradanini

AMBASCIATORE, ci racconti come è andata. Lei era dentro l'ambasciata insieme ai suoi collaboratori. Che cosa è successo? C'è stato un assalto? «C'è stata una manifestazione ostile che è durata esattamente venti minuti - risponde al telefono Alberto Bradanini, mentre si rincorrono da Teheran le notizie dell'attacco all'ambasciata italiana - I senza uniforme da una parte, la polizia con scudi e manganelli dall'altra.

È una coreografia abusata, come sappiamo. Prima di arrivare da noi il gruppo di manifestanti si era fermato davanti all'ambasciata di Francia. Dicevano che i loro obiettivi sarebbero stati anche le sedi diplomatiche di Germania e Olanda, ma non so se poi le abbiano raggiunte».

Urlavano anche slogan contro l'Italia? «Questo è solo l'inizio!, gridavano. Se non cambierete politica il governo prenderà misure serie. E urlavano: morte all'America, morte a Israele, morte all'Italia, morte a Berlusconi. Poi dopo venti minuti sono andati via. Si erano ammassati sulla stradina laterale più che su quella principale, lasciando libero il passaggio di fronte al portone principale, e prima di andar via hanno tentato di demolire l'insegna via Roma, ma non gli è riuscito del tutto».

Teme che questi atti di ostilità possano ripetersi o allargarsi alla comunità italiana che vive a Teheran? «La comunità italiana è molto ben vista dagli iraniani, non ci sono sentimenti di ostilità nella popolazione, al contrario. Ma certamente si tratta di un segnale politico secondo i rituali che conosciamo. E poi non c'è dubbio che più la tensione internazionale cresce, più il governo pensa di potersi rafforzare. Diventa più facile marginalizzare l'opposizione e fare appello alla coesione nazionale».

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