Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Iran: l'assalto all'ambasciata apre gli occhi all'Occidente Commenti di Fiamma Nirenstein, Angelo Pezzana, Carlo Panella, redazione del Foglio, Franco Venturini, Shirin Ebadi
Testata:Il Giornale - Libero - Il Foglio - Corriere della Sera - La Stampa Autore: Fiamma Nirenstein - Angelo Pezzana - Carlo Panella - La redazione del Foglio - Franco Venturini - Vittorio Emanuele Parsi - Shirin Ebadi Titolo: «L’Iran ci attacca? È un buon segno - La minaccia atomica di Teheran compatta Israele attorno a Bibi - Silvio ha colpito nel segno»
Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 10/02/2010, a pag. 9, l'analisi di Fiamma Nirenstein dal titolo " L’Iran ci attacca? È un buon segno ". Da LIBERO, a pag. 6, l'analisi di Angelo Pezzana dal titolo " La minaccia atomica di Teheran compatta Israele attorno a Bibi", a pag. 7, l'analisi di Carlo Panella dal titolo " Silvio ha colpito nel segno ". Dal FOGLIO, a pag. 3, l'editoriale dal titolo " La collera di Teheran ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 1-2, il commento di Franco Venturini dal titolo " La diplomazia all'ultimo giro ". Dalla STAMPA, a pag. 1-33, l'analisi di Vittorio Emanuele Parsi dal titolo " Il costo della fermezza " e la lettera aperta di Shirin Ebadi a Navi Pillay dal titolo "L'Onu ci aiuti a difendere la libertà ".
Solo il quotidiano comunista si discosta dalle interpretazioni degli altri giornali e, nell'articolo di Maurizio Matteuzzi (che non riportiamo) si legge " Ma quell’«assalto» può essere arrivato a tempo e a modo per il premier italiano. Perché dimostra, a parole, che la sua posizione politica «intransigente» rispetto all’Iran (isolamento, rifiuto di incontrare Ahmadinejad, sanzioni) asseconda le ossessioni di Usa e Israele. Mentre, nei fatti, il grande fiume di business che da mezzo secolo scorre fra l’Italia e l’Iran continua a fluire.". Che l'assalto all'ambasciata italiana non sia stato spontaneo, ma organizzato dal regime, è un dato di fatto. Arrivare a sostenere che questa mossa fa comodo a Berlusconi, però è ridicolo e solo un quotidiano come Il Manifesto poteva pubblicare una tesi simile. Israele e Usa non hanno nessuna ossessione riguardo l'Iran. Semplicemente sono consapevoli del pericolo che comporta il programma nucleare iraniano. Ormai solo Cina e Manifesto difendono il regime di Ahmadinejad e Khamenei. Ecco gli articoli:
Il GIORNALE - Fiamma Nirenstein : " L’Iran ci attacca? È un buon segno "
Fiamma Nirenstein
Non è una novità vedere l'Italia al centro dell'attenzione dell'integralismo islamico. Ci sono parecchi imam e mufti che a svariate latitudini inveiscono appena possono contro Roma, i crociati, il cristianesimo, la civiltà occidentale, e promettono la vittoria. L'attacco di ieri all'ambasciata italiana è parte dell'anima della rivoluzione iraniana e della guerra islamista contro l'Occidente: quel qualche centinaio di basiji che lanciavano pietre e gridavano morte all'Italia devono avere sentito echeggiare nei loro imi precordi sentimenti profondi, così come chi ha preparato la protesta contro il discorso di Berlusconi a Gerusalemme e ha chiamato a severo colloquio il nostro ambasciatore, è senz'altro convinto che si tratti di una tappa come tante altre di un conflitto alla lunga inevitabile, proprio per l'essenza laica e democratica del nostro Paese.
Perché l'Iran, che festeggia domani, il 22 di Bahman, 11 di febbraio, la rivoluzione del 1979, è aggressiva ontologicamente. Lo sciismo di Ahmadinejad e di Khamenei crede che, per facilitare l'arrivo del suo Messia, non il migliorare l'accordo e l'accomodamento siano necessari, ma che lo siano invece il conflitto, il confronto e anche la conflagrazione finale. Allora sarà garantita la redenzione e la supremazia islamica sulla storia.
È per un motivo che sembra astratto, ma che invece nelle menti della leadership iraniana è molto concreto, che si corre verso il disastro: solo questa può essere la spiegazione del perché Teheran ha rifiutato la proposta dell'ottobre scorso, la migliore possibile per l'Iran, di consegnare il suo uranio a stati amici perché lo arricchissero e glielo restituissero. Adesso invece, dopo mesi in cui ha seguitato nel suo progetto terrorista e nella repressione del suo popolo, Ahmadinejad ci annuncia come niente fosse che l'uranio se lo arricchisce da solo e al venti per cento: questo significa semplicemente che quella tonnellata virgola otto di uranio arricchito al 3 per cento, già più che sufficiente come quantità per la bomba atomica, adesso riceverà anche l'arricchimento in più. Non affrontando la realtà che l'Iran corre volontariamente verso la sfida totale, ci sembra un fatto minore che, insieme all'arricchimento, sia stata annunciata anche la produzione autonoma di sistemi «controllo attacco» S300, quelli che possono raggiungere le capitali europee, e di micidiali nuovi droni capaci di osservazione e di attacchi.
Intanto, si sa che sia gli Hezbollah che Hamas, insieme ai manipoli di terroristi fatti passare attraverso la Siria, sono un'arma di continua dimostrazione della determinazione dell'Iran a tenere aperto il fronte del terrore internazionale con una pistola alla tempia della democrazia israeliana, irachena, libanese. Il fatto che Khamenei parli di cazzotti da sferrare a destra e a manca, rimanda volutamente al tema della repressione interna, anch'essa sempre più feroce, sempre più sporca di un sangue. Ma questo sangue finalmente grida vendetta, si è visto, nonostante le cortine fumogene che oscurano i mezzi di comunicazione di ogni tipo: il tema della violazione dei diritti umani è solo apparentemente meno cruciale di quello degli armamenti. L'Europa è finalmente riuscita a sollevarsi dall'incertezza e dall'ignavia intervenendo proprio sui diritti umani. E America e Russia sono d'accordo, mentre solo la Cina, con la sua consueta insensibilità sul tema, si tiene da parte.
Il nostro Paese è stato attaccato diplomaticamente sulla frase di Berlusconi che affermava di fronte al Parlamento di Israele, l'unico Paese dell'Onu minacciato di morte da un altro Stato membro dell'Onu, che è nostro dovere sostenere l'opposizione iraniana e insieme, difendere la vita di Israele. Sinceramente, dà una bella soddisfazione che ciò sia avvenuto: è una conferma che l'Italia si è mossa con determinazione e pungendo nel vivo un Paese che impicca i dissidenti e gli omosessuali, che prepara la bomba atomica, che minaccia di distruzione il popolo ebraico. È una medaglia al valore. Dobbiamo aggiungere che, mentre si discutono le sanzioni, sia il ministro degli esteri Frattini che il presidente Berlusconi hanno dichiarato che il volume di affari con l'Iran è diminuito di un terzo nel giro di un anno: un'intrinseca adesione alla necessità - ormai finalmente presente anche nel resto dell'Europa, secondo le dichiarazioni di Westerwelle e di Kouchner - di procedere a sanzioni decise, che forse non piegheranno l'estremismo degli ayatollah, ma daranno il chiaro segnale all'opposizione che il mondo desidera un cambio di regime e che esige la fine della sfida atomica iraniana.
Adesso che gli anni, per la precisione dal 2003, ovvero dalle prime trattative con un cauto Solana, ci hanno detto che la politica della mano tesa non funziona, ci sono molte cose che possono dimostrare la nostra determinazione, prima che le cose prendano una strada definitiva. Ci indica una delle vie l'iniziativa del premio Nobel Elie Wiesel, che ha raccolto 40 firme di premi Nobel per chiedere che Ahmadinejad venga sottoposto al giudizio della corte penale internazionale dell'Aia con l'accusa di aperto incitamento al genocidio. È un segno di mobilitazione internazionale che, mentre l'Iran attacca l'Italia, la Germania, la Francia, l'Olanda, per ora solo con dimostrazioni davanti alle loro ambasciate, chiama in causa tutta la comunità internazionale ad una mobilitazione efficace contro quello che unanimemente viene ormai ritenuto il maggior pericolo dei nostri tempi. Non solo parole dunque e condanne rituali, ma atti politici, economici e, se sarà il caso, militari contro il tiranno di Teheran che ha dichiarato guerra anche all'Italia. www.fiammanirenstein.com
LIBERO - Angelo Pezzana : " La minaccia atomica di Teheran compatta Israele attorno a Bibi"
Angelo Pezzana
In Israele è scomparsa l’opposizione, ma la notizia non ne compromette l’anima democratica. Tecnicamente, il ruolo dovrebbe essere svolto da Kadima, il partito guidato da Tzipi Livni, ma lo spazio di manovra è poco, e di quel poco che è rimasto se ne è assunto il ruolo lo stesso premier Bibi Netanyahu, giocando su entrambi i tavoli. D’al - tronde l’origine dei due è la stessa, il Likud, e se ora la Livni si trova in una posizione difficile da gestire, la spiegazione è semplice, le idee dei due non sono poi così distanti. Non è facile gestire l’opposizione in queste condizioni. Perché Bibi è uomo di lotta ma anche di dialogo, e lo sta dimostrando su diversi fronti, quello iraniano, primo fra tutti, ma anche nei confronti di Siria e Usa. L’Iran minaccia l’Occidente dichiarando che continuerà a fare da sè per arrivare ad un arricchimento dell’uranio in grado da consentirgli la costruzione dell’arma atomica, e non è Bibi che risponde a muso duro, anzi, si direbbe che passi la mano a Ue e Usa, visto che le minacce sono rivolte a «cristiani e ebrei», un’occa - sione per dire, tacendo, che è ora di finirla con i “penul - timatum” che hanno caratterizzato l’assenza di leadership occidentale. Un’as - senza confermata dalla continuità della politica di appeasement obamiana. Pericolo comune Bibi non lancia proclami, si limita a far sapere che il pericolo è comune, e che una soluzione va trovata senza indugi, perché la politica delle sanzioni, applicata con i paraocchi, non ha dato alcun risultato. Si dedica, Bibi, piuttosto a migliorare le relazioni con i palestinesi di Abu Mazen, tenendosi in equilibrio fra quanti nel governo sono per l’abbandono del progetto “due stati per due popoli”, una posizione giustificata dal fatto che dopo il colpo di stato a Gaza di Hamas, i palestinesi sono divisi in due entità che hanno ben poco in comune, se si eccettua l’ostilità verso Israele. Nella ricerca del dialogo a tuti i costi, svolge anche la parte che dovrebbe essere di Tzipi Livni, pure nei confronti della Siria, un paese che continua ad essere coinvolto in tutti gli atti terrorismo contro lo Stato ebraico, dove sono di casa i caporioni di Hamas e nel quale passano i rifornimenti di armi iraniane verso il Libano degli Hezbollah. Ma una pace con Assad potrebbe essere una carta vincente per costringerlo a mollare Ahmadinejad e passare nel campo opposto, come fecero già Egitto e Giordania. Senza l’alleanza con la Siria, Hamas e Hezbollah, ma anche l’Iran, si troverebbero di fronte ad uno scenario completamente cambiato. La sicurezza L’abilità di Bibi si misurerà da come riuscirà ad accontentare Assad salvaguardando la sicurezza di Israele senza più il possesso delle alture del Golan, un territorio che è parte integrante di Israele dopo la vittoria nella guerra dei sei giorni. Ci vorrà un gran lavoro diplomatico, e non è detto che l’uomo giusto sia proprio Avigdor Lieberman, che ancora in questi giorni viene dipinto come il “cat - tivo”, responsabile dell’im - magine danneggiata di Israele nel mondo. Ma questo lo dicevano le cassandre anche dei governi di destra, quelli guidati da Begin, da Shamir, che sono poi stati quelli che hanno avuto la capacità di arrivare alla pace senza tante chiacchiere, come hanno fatto finora quasi tutti i leader della sinistra. Migliorerebbero persino i rapporti con Obama, che avrebbe così la possibilità di presentarsi all’opi - nione pubblica, non solo americana, come il presidente della pace, anche se in realtà ha sempre e solo ottenuto aria fritta dai suoi goffi tentativi. Verrebbe tolta anche molta acqua nel mare in cui ha sempre nuotato l’Iran, privandolo di quelle alleanze che finora hanno consentito al regime di Teheran di mantenere la leadership nella regione. Un progetto politico ambizioso, ma anche una buona soluzione per Israele e tutto il mondo democratico occidentale.
LIBERO - Carlo Panella : " Silvio ha colpito nel segno "
Carlo Panella
“Marg bar Italyà, marg bar Berlusconì!”: urlando questi slogan e lanciando sassi, decine di bassiji, le squadracce dei pasdaran, hanno tentato ieri mattina l’assalto all’ambasciata italiana di Teheran. Slogan sono chiari e inequivocabili: “Morte all'Italia!”, “Morte a Berlusconi!”. La polizia iraniana li ha lasciati fare, ma ha poi impedito gli sfondamenti veri e propri, seguendo una palese regia di regime, come ha confermato Franco Frattini: «Ci preoccupa il fatto che ci sono stati lanci di pietre e gli slogan, i cartelli, e soprattutto che siano riusciti a rimuovere il cartello con la scritta ViaRoma dicendo che la parola Roma non comparirà più in territorio iraniano ». I Paesi europei che più si sono schierati per la mano ferma nel contrastare i progetti atomici di Khamenei e Ahmadinejad hanno ricevuto il loro avvertimento mafioso, nell’unico Paese al mondo che non rispetta la sacralità delle ambasciatestraniere echeancora oggi si vanta dell’atto di pirateria internazionale del sequestro di 52 diplomatici americani dal 4 novembre del 1979 al 21 gennaio del 1981. A confermare la regia del governo iraniano, in contemporanea, il nostro ambasciatore in Iran è stato convocato dal ministro degli Esteri iraniano Mottaki per protestare contro le dichiarazioni di Silvio Berlusconi in Israele. Una convocazione che dimostra che il nostro premier ha perfettamente colpito nel segno quando ha confermato che la difesa senza esitazioni della sicurezza di Israele è interesse strategico dell’Italia, che l’Italia,come l’Europanon èminimamente disposta ad accettare un Iran dotato di bomba atomica e quando infine ha lasciato la porta aperta all’ipotesi di inserire i pasdaran nella lista delle organizzazioni terroristiche dell’Ue. Esattamente l’opposto della politica altalenante di Barak Obama, ancora impegnato in una dilettantesca azione di appeasement con gli ayatollah (ha anche mandato lettere private a Khamenei), che non sortisce risultati,ma che - e questo è un segnale inquietante - fa sì che i bassiji “dimenti - chino” di assediare l’ambasciata Usa e si concentrino solo su quelle europee. Il tutto, mentre le centrifughe iraniane hanno avviato il processo di arricchimento dell’uranio al 20% (vero e proprio schiaffo nei denti alle trattative che stanno tanto a cuore a Obama) e il giorno dopo che l’ayatol - lah Khamenei ha preannunciato che domani il suo Iran “darà un cazzotto all’Occidente”. È dunque una pessima vigilia dell’11 febbraio, 31° anniversario della rivoluzione guidata dall’aya - tollah Khomeini, le cui manifestazioni vengono “preparate” con questi assaggi pilotati di violenza intimidatoria. Fermissima è stata la reazione italiana, tanto che Franco Frattini ha dato mandato al nostro ambasciatore a Teheran di disertare il palco d’onore e di non presentarsi alle celebrazioni ufficiali di domani (probabilmente così faranno anche gli altri paesi dell’Ue, ma forse non tutti). L’attenzione del mondo deve dunque concentrarsi su domani e sarebbe bene che tutti i governanti, seguissero l’esempio del nostro ministro degli Esteri che ha preavvertitoTeheran- inpienasintonia con l’opposizione e in particolar modo del Pd - che l’Italia non tollererà di assistere ad ulteriori massacri nelle strade e a nuove violazioni dei diritti umani (Obama è invece in prima fila… nel tacere). Vedremo infatti l’ennesima prova di forza nelle strade di Teheran tra l’opposizione e non solo i pasdaran e bassiji, ma anche le grandi masse che scenderanno in piazza a sostegno di Ahmadinejad (e questo vero e radicato appoggio popolare al regime è il dato più grave della crisi iraniana). Si è facili profeti nel prevedere una nuova, terribile, giornata di violenze con l’angosciante certezza che dal giorno dopo le forche riprenderanno a funzionare, impiccando i nove giovani già condannati per le manifestazioni dei mesi scorsi. E poi chissà quanti altri.
IL FOGLIO - " La collera di Teheran"
Morte all’Italia, morte a Berlusconi” gridavano ieri i bassiji che hanno tentato di dare l’assalto all’ambasciata italiana a Teheran, prima di essere respinti dalla polizia. E’ il classico slogan usato contro i nemici della Repubblica islamica, morte all’America, morte agli ebrei, morte agli inglesi, morte a tutto l’occidente, una litania nefasta che ora colpisce anche noi – peraltro ancora più partner che rivali per via dei rapporti commerciali – perché il premier Berlusconi ha detto in Israele che l’Iran non può dotarsi di una bomba atomica e non può continuare a prendere in giro la comunità internazionale con le sue finte aperture, i suoi finti negoziati, il suo eterno bluff. L’assalto all’ambasciata è l’ulteriore segnale che le parole del premier – cui hanno fatto seguito quelle del capo di Eni, Paolo Scaroni – hanno innervosito il regime, in un momento in cui il regime ha da badare a tante cose, l’isolamento internazionale e le fratture interne, in un momento in cui le strade di Teheran si infiammano per pochissimo, tanta è la rabbia che cova, la paura e la ribellione, in vista delle celebrazioni di domani dell’anniversario della Rivoluzione. Ma la leadership iraniana non può pensare che gli sberleffi all’Aiea, l’arricchimento dell’uranio, i missili, la retorica antisemita accompagnati dalla repressione del proprio popolo non inneschino una reazione nell’odiato occidente. L’Italia ha scelto da che parte stare, lo ha fatto con l’onestà di chi sa che va a perderci ma non può fare altro, e l’ostilità all’ambasciata dimostra che ha fatto bene.
CORRIERE della SERA - Franco Venturini : " La diplomazia all'ultimo giro "
Franco Venturini
Indignano ma non sorprendono i sassi e gli insulti contro la nostra ambasciata a Teheran. I manifestanti, garbatamente contenuti da una polizia amica, volevano mettere sotto accusa non tanto il viaggio di Berlusconi in Israele quanto il suo appoggio a sanzioni severe per frenare le ambizioni atomiche iraniane. Per questo, malgrado i non pochi problemi che ci vengono dall'essere uno dei tre principali partner commerciali dell'Iran (con Germania e Cina), sarebbe un errore confinare il grave episodio di Teheran nell'ambito dei rapporti bilaterali. Ben più ampia, e ben più pericolosa, è la partita che si svolge tra le volpi diplomatiche iraniane e un Occidente stanco di farsi prendere in giro ma privo di opzioni facili.
Il lungo braccio di ferro sul nucleare iraniano, infatti, è arrivato a uno snodo decisivo. Dopo il sostanziale fallimento della «mano tesa» di Obama e la scoperta della centrale segreta di Qom, nello scorso ottobre l'Agenzia atomica di Vienna aveva offerto a Teheran una ennesima e consistente carota: l'Iran non avrebbe arricchito l'uranio oltre la soglia del 3,5% (adatta all'uso civile), ne avrebbe esportata una parte, e in cambio sarebbero state Mosca e Parigi a fornirgli l'uranio arricchito al 20% necessario per usi medico-farmaceutici.
Da quel momento è cominciata la doccia iraniana, a paragone alla quale, dicono i diplomatici, quella scozzese fa ridere. Prima una sostanziale tacita accettazione. Poi richieste che svuotavano il progetto originale. Poi ancora un'altra dose di ottimismo, e infine il colpo di scena: l'arricchimento dell'uranio al 20% l'Iran se lo farà da solo, anzi ha già cominciato a farlo davanti agli osservatori dell'Aiea.
Siamo ancora lontani dal livello di arricchimento richiesto per fabbricare un ordigno nucleare (attorno al 90%), ma passare dal 3,5 al 20, ammesso che l'Iran ne sia davvero capace, è evidentemente un campanello d'allarme da non sottovalutare. Perché Teheran ha preso questa decisione e l'ha resa pubblica? Forse perché tenta di dividere il fronte occidentale da quello russo-cinese. Forse perché il caldo e il freddo servono a guadagnare tempo mentre i veri progetti avanzano lontano da occhi indiscreti. Forse perché da quando le dimostrazioni di piazza hanno provocato profonde divisioni politiche a Teheran comanda la fazione del momento, pronta a essere contraddetta l'indomani da un diverso gruppo di potere.
Ma noi temiamo che il motivo sia ancora un altro. Temiamo che Ahmadinejad, con le sue provocazioni sull'arricchimento dell'uranio e con le minacce all'esistenza stessa di Israele, stia commettendo lo stesso errore di Saddam Hussein. Che si senta invulnerabile, e che per questo sia pronto a dar fuoco alle polveri con assoluta e suicida tranquillità.
Se tale è la sindrome iraniana, non si può dire che l'Occidente l'abbia scoraggiata. Indecisionista e attendista per molti mesi, soltanto ora lo schieramento occidentale pare deciso a promuovere all'Onu l'adozione di nuove e più severe sanzioni. Con un pattuglia di Paesi più fermi di altri: la Francia in testa, gli Usa anche per dimostrare che Obama non è un debole, la Gran Bretagna, la Germania e ora l'Italia. Il loro compito non è facile. Le sanzioni dovrebbero essere dure (il che vorrebbe dire mettere la benzina nel mirino) ma anche tali da colpire soltanto il potere e non il popolo. La Russia pare più favorevole di altre volte, ma la posizione finale sarà decisa da Putin e non da Medvedev. La Cina è contraria, vuole il proseguimento del dialogo ed è così che l'Iran, dietro le quinte, è diventato il maggior motivo di attrito tra Washington e Pechino.
Ai russi e soprattutto ai cinesi, in questi giorni, viene fatto dagli occidentali un discorso semplice. Tenete conto che se non si riuscirà a varare sanzioni serie e a convincere Teheran per questa via, sul tavolo resterà soltanto l'opzione militare. Che avrebbe prezzi altissimi, che potrebbe diventare un boomerang per tutti e che voi siete i primi a non volere. Aiutateci, dunque, a prevenire la tragedia che Ahmadinejad dà l'impressione di desiderare.
La STAMPA - Vittorio Emanuele Parsi : " Il costo della fermezza "
Vittorio Emanuele Parsi
Non c’è mai da star troppo tranquilli quando degli «studenti» iraniani prendono di mira un’ambasciata occidentale a Teheran. Il ricordo non può non tornare al ben più drammatico assalto del 1979 alla legazione americana, proprio agli albori di quella rivoluzione di cui domani ricorre il 31° anniversario.
Questa volta, a differenza di quanto accadde allora, le manifestazioni ostili non hanno portato a nessuna occupazione e a nessuna presa di ostaggi. Seppur tardivamente la polizia è intervenuta a «disperdere» i manifestanti, che più di un indizio fa ritenere fossero basiji, le stesse squadracce di miliziani utilizzate in questi mesi dal regime contro gli studenti dell’«onda verde». Lo stato delle relazioni tra Roma e Teheran, per tanti anni così buono da suscitare se non scandalo per lo meno imbarazzo presso altre più intransigenti cancellerie occidentali, è precipitato in pochi giorni, e difficilmente tornerà a volgere al sereno. Durante la sua visita a Gerusalemme era stato lo stesso premier italiano a dare un chiaro segnale che la musica stesse cambiando. Alla difesa a spada tratta del diritto alla sicurezza per Israele, Berlusconi aveva accompagnato l’appello alla comunità internazionale affinché adottasse dure sanzioni contro l'Iran, ed era giunto a rivendicare il dovere morale delle democrazie di sostenere l’opposizione iraniana. Contenuti così forti, proclamati con quei toni davanti alla Knesset, era difficile che potessero non incontrare una violenta risposta da parte iraniana. E infatti così è successo, in un crescendo di toni che ha visto prima intervenire la tv di Stato, poi la Guida Suprema, che ha promesso ceffoni all’Occidente in occasione della ricorrenza della Rivoluzione, quindi il suo sodale Ahmadinejad, che ha annunciato l’avvio del processo di ulteriore arricchimento dell’uranio, per culminare nell’espressione pubblica della «spontanea indignazione popolare». Con l’ultimo, veramente obliquo e di stampo gangsteristico, la gamma degli avvertimenti sembra, per adesso, completata. Staremo a vedere; nel frattempo l’Eni si è detto pronto a seguire le indicazioni del governo, ridimensionando il valore dei propri contratti in loco, e anche questo lascia ritenere che Roma abbia deciso di abbandonare ogni possibile ambiguità nelle relazioni con Teheran. Per un Paese che cerca di ritagliarsi un proprio ruolo internazionale, innanzitutto nel Levante e più in generale nel Mediterraneo, il peso dei buoni rapporti con Teheran era diventato insostenibile, tanto più che Roma vanta, secondo alcuni critici, rapporti fin troppo cordiali anche con Mosca. Ma se la rilevanza della Russia di Putin e Medvedev può giustificare la scelta di far innervosire Washington, non avrebbe avuto senso seguitare ad applicare la stessa filosofia con l’Iran. Del resto, quello di Khamenei e Ahmadinejad è ormai un regime totalmente screditato, che solo uno sciocco potrebbe sperare di riuscire a condizionare o indurre a più miti consigli attraverso il dialogo e le profferte di amicizia. Persino i cinesi, che si oppongono a un inasprimento delle sanzioni per ragioni meramente opportunistiche, non credono a una tale prospettiva. E non è detto che a Pechino non inizino a domandarsi se valga la pena rischiare di finire essi stessi isolati sulla vicenda iraniana. Se non può farlo la piccola Italia, a maggior ragione una potenza emergente come la Cina, che rivendica un ruolo globale, non può permettersi di apparire l’ultima degli opportunisti... La violenza e la scompostezza delle reazioni iraniane alle mosse italiane segnalano quanto queste brucino, e come la prospettiva di una totale solitudine sia temuta a Teheran più di quanto siano disposti ad ammettere. Ora è possibile che qualcuno accusi Silvio Berlusconi di aver agito sventatamente. Ma in questo caso l’accusa apparirebbe capziosa. Come ha ricordato il ministro degli Esteri Frattini, l’Iran ha problemi con il mondo e non con l’Italia o con il governo Berlusconi. Quest’ultimo ci pare abbia invece semplicemente fatto una scelta che non vanificasse l’azione che l’Italia ha responsabilmente deciso di svolgere in Libano e Afghanistan: fare la propria parte per contribuire alla sicurezza regionale e internazionale. Si tratta di una scelta di coerenza, costosa e non indolore, ma non per questo meno necessaria o apprezzabile.
La STAMPA - Shirin Ebadi : " L'Onu ci aiuti a difendere la libertà "
Shirin Ebadi
Gentile signora Pillay, sebbene io abbia più volte illustrato il deteriorarsi della situazione dei diritti umani in Iran, ritengo necessario attirare ancora una volta la sua attenzione sul tema, dato che lei il 15 febbraio esaminerà, nella sua funzione di rappresentante degli Stati membri dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti umani, il rapporto sulla Repubblica islamica dell’Iran.
I miei compatrioti hanno vissuto un periodo difficile. Le loro proteste pacifiche hanno avuto come risposta pallottole e prigioni. Fotografi e testimoni confermano la violenza del governo, in alcuni casi anche l’identità dei killer. Purtroppo però né la magistratura né i pubblici funzionari hanno mai fatto un passo per arrestare gli assassini o ridurre il livello di violenza. Attivisti politici, civili e culturali sono stati arrestati sulla base di accuse senza fondamento. Alcuni di loro sono stati condannati a morte dopo processi sommari a porte chiuse. Due sono già stati giustiziati e altri 25 attendono la stessa sorte. I prigionieri politici sono così maltrattati che alcuni sono morti in carcere o sotto le torture, privi di quei diritti che la legge concede ai detenuti comuni e pericolosi. Quelli in condizioni molto gravi perché anziani o malati non ricevono cure e, vivendo in condizioni malsane, potrebbero morire da un momento all’altro. Ce ne sono almeno sessanta che avrebbero bisogno di un ricovero in ospedale. L’Iran è diventato una gigantesca prigione per i giornalisti il cui unico crimine è quello di diffondere le informazioni. Attualmente in carcere ci sono 63 reporter e fotogiornalisti. Gli studenti alla minima critica vengono incarcerati o esclusi dall’istruzione. Le donne che chiedono la parità dei diritti sono accusate di cospirare per rovesciare la Repubblica islamica. Già più di cento sono state processate. Lavoratori e insegnanti sono stati accusati di sedizione perché erano iscritti ai sindacati e avevano protestato contro le paghe basse. Alcuni sono stati incarcerati, altri hanno perso il lavoro. Non sono perseguitati solo i non-musulmani, come i seguaci della fede Baha’i, che non possono più studiare all’università. Nemmeno i seguaci della religione ufficiale, l’Islam sciita, sono stati immuni dalla repressione del governo. Un esempio sono i dervisci, che seguono la tradizione sufi dell’Islam. E adesso c’è un nuovo mezzo di pressione psicologica sugli attivisti politici e sociali: prendere in ostaggio uno dei loro parenti. E’ già stato fatto con otto famiglie. Il risultato di tutto ciò è che quasi tutti gli attivisti noti o sono in carcere o sono costretti a nascondersi. In ogni caso, non possono andare all’estero. Pur in queste circostanze l’indifeso popolo iraniano continua a resistere e insistere nelle sue giuste richieste di democrazia e diritti umani, dimostrando la sua maturità politica attraverso proteste pacifiche. Ora la mia domanda a lei, signora Pillay, è questa: per quanto tempo ancora pensate di poter costringere i giovani a restare calmi? La pazienza e la tolleranza degli iraniani, per quanto grande, non è infinita. Una replica degli eventi dei mesi scorsi, il perdurare delle politiche repressive e l’uccisione di gente inerme potrebbero portare a una catastrofe che minerebbe la pace e la sicurezza in Iran, se non in tutta la regione. Così io la esorto, ancora una volta, a usare tutti i mezzi possibili per convincere il governo della Repubblica Islamica dell’Iran a rispettare le risoluzioni adottate dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, a permettere l’ingresso in Iran agli ispettori dei diritti umani, soprattutto a quelli che si occupano di arresti arbitrari, libertà di espressione, diritti delle donne e libertà di culto, e a collaborare con loro. La esorto anche a nominare un ispettore speciale per l’Iran, che tenga costantemente sotto controllo il comportamento del governo e, offrendo suggerimenti e consigli immediati, aiuti a mettere fine alla crisi politica e alla crescente repressione. Onorevoli amici! Per favore, tenete a mente che siamo tutti responsabili davanti al tribunale della storia. Dio non voglia che ci dobbiamo vergognare davanti a una nazione inerme delle nostre complicità politiche.
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