Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Afghanistan: ora i fondamentalisti islamici reclutano bambini per pochi $ Sta per partire l'operazione Moshtaraq (Insieme) contro i talebani
Testata:La Stampa - Il Foglio Autore: Francesco Semprini - La redazione del Foglio Titolo: «Kandahar: nelle strade dei bambini terroristi - Parte l’ultima offensiva anti talebani nella Fallujah afghana»
Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 09/02/2010, a pag. 11, l'articolo di Francesco Semprini dal titolo "Kandahar: nelle strade dei bambini terroristi ". Dal FOGLIO, a pag. 3, l'articolo dal titolo " Parte l’ultima offensiva anti talebani nella Fallujah afghana ".
La STAMPA - Francesco Semprini : " Kandahar: nelle strade dei bambini terroristi "
Dieci dollari per uno Ied. Tanto basta a convincere un ragazzino afghano a piazzare un ordigno sul ciglio della strada e farlo esplodere al passaggio delle truppe Isaf. E di ragazzini disposti a uccidere ce ne sono molti, specie nel Sud del Paese, nella provincia di Kandahar, dove l’influenza talebana è ancora forte e dove le truppe americane coadiuvate dai canadesi stanno concentrando i loro sforzi in vista di una massiccia offensiva. «Alcuni giorni fa ne abbiamo catturati due, avevano dodici e quattordici anni», ci dice il maggiore Hormann, vice comandante del 1° Battaglione del 12° Reggimento Fanteria Usa, attualmente dislocato nella base di Wilson a Nord-Ovest di Kandahar. «Erano stati convinti con dieci dollari – spiega - ma a volte basta anche meno». Una cifra notevole per la gente di questo Paese che vive con circa un dollaro al giorno, ma a volte è il prezzo della loro stessa vita, o nella migliore delle ipotesi, della cattura da parte delle truppe alleate. «Li abbiamo consegnati alla polizia afghana, come prevedono gli accordi tra noi e le forze di sicurezza locali», dice Hormann. Ma spesso vengono rilasciati a causa della pressione delle popolazioni locali e l’opera di proselitismo dei taleban che accusano gli occidentali di segregare i piccoli afghani innocenti. Gli Ied, Improvised Explosive Devices, rappresentando il rischio più grave per le truppe che operano in Afghanistan. Sono efficienti, economici e facili da realizzare, bastano alcuni tubi di metallo, una scatola di plastica e dei fili. «La guerra contro gli Ied è una partita a scacchi in cui solo uno dei due giocatori rispetta le regole», dice il Maggiore Chris Cotton, comandante della divisione artificieri della Task Force Kandahar. Nel 2009 ci sono stati settemila incidenti di Ied, tra esplosioni, disinneschi e tentate installazioni da parte di civili. «Venivano collocati soprattutto sulla superstrada nord per isolare il resto della provincia - dice Hormann - Dichiarare guerra agli Ied è stata la nostra priorità». Con la strada minata non solo erano a rischio le vite dei soldati ma non potevano passare i convogli dei rifornimenti e morivano i civili. Negli ultimi quattro mesi dell’anno scorso 117 afghani sono stati uccisi da Ied tra cui 30 saltati in aria mentre viaggiavano a bordo di un autobus. «Questo ha creato risentimento in una parte della popolazione - prosegue il capitano - stiamo cercando di conquistare la loro fiducia con la nostra opera di bonifica». Ma vincere la diffidenza e le paure del popolo di Kandahar è impresa difficile specie nella parte occidentale della provincia ad altissima densità Pashtun, la culla del Mullah Omar. «Se Kandahar cade, l’intero Afghanistan la segue, per questa gente è un gioiello che deve essere protetto», dice il Tenente Colonnello Reik Andersen, comandante del 1° Battaglione 12° Reggimento. A lui è stato affidata la sicurezza delle vie di accesso dal Nord-Ovest a Kandahar City, e consentire ai canadesi, con gli altri rinforzi attesi a marzo, di concentrarsi nel distretto sud-occidentale di Panjway. I suoi uomini sono di base a Wilson e si devono occupare in particolare del distretto di Zhari, per impedire ai taleban, quando in primavera scenderanno dalle montagne o rientreranno dal Pakistan, di varcare il fiume Arghandab che attraversa la provincia da Est ad Ovest ed entrare a Kandahar City. Wilson è una base operativa che prende il nome dal soldato canadese caduto in battaglia. Oggi conta tra i 1200 e i 1400 militari tra americani, canadesi e uomini dell’Afghan National Army, rispetto ai circa duecento che c’erano prima dell’arrivo delle truppe Usa, a metà dello scorso anno. «Pochi per mantenere le posizioni e garantire la sicurezza», ci dice il capitano Duke Reim comandante della compagnia Charlie. Sono i suoi uomini che si occupano dello «strongpoint» di Pashmul uno degli avamposti di prima linea assieme a quelli di Sanjaray e Asequeh. Si tratta di presidi di frontiera dai quali partono le azioni di «striking» contro le roccaforti taleban. «Abbiamo provato ad aprire un dialogo con la popolazione ma non c’è stato nulla da fare, per loro siamo nemici invasori», dice Reim, che nei mesi passati ha perso quattro dei suoi ragazzi a Pashmul. «In questi casi i numeri contano, i canadesi rischiavano di rimanere isolati, disporre di molti uomini è cruciale, - prosegue Reim - pochi giorni fa abbiamo avuto uno scontro di almeno quattro ore». E sembra che sia proprio Pashmul il Ground Zero della prima fase dell’offensiva Isaf nella provincia di Kandahar. Secondo fonti informate le prime manovre potrebbero avere inizio già intorno alla metà del mese, forse in contemporanea con l’operazione «Moshtarak», l’offensiva condotta da Marine ed Esercito Usa assieme ai britannici nella provincia di Helmand, in particolare nella città di Marja. Il generale Daniel Ménard, comandante della Task Force Kandahar al quale fanno capo tutte le truppe dispiegate nella provincia, spera che i soldati sotto il suo comando, già entro l’estate, potranno pattugliare parte di Kandahar City senza giubbetto antiproiettile ed elmetto. Secondo i militari americani, molto dipenderà dalla popolazione - gran parte della quale è ancora intimidita dai taleban - e da come la resistenza risponderà all’offensiva della Nato. «Sino a quando le cose non saranno chiare - dicono – non si schiereranno né con noi né contro di noi».
Il FOGLIO - " Parte l’ultima offensiva anti talebani nella Fallujah afghana "
Talebani
E’ tutto pronto per l’operazione Moshtaraq (Insieme) che le truppe anglo-americane e afghane stanno per lanciare contro la roccaforte talebana di Marjah, nella provincia di Helmand. L’obiettivo degli alleati – che hanno concentrato quattromila soldati britannici, duemila afghani e novemila marine – è ottenere una vittoria schiacciante in una delle rare occasioni nelle quali il nemico è su posizioni fisse ben individuate. Marjah, città di ottantamila abitanti a circa 30 chilometri a sud di Lashkar Gah, è sotto il controllo dei guerriglieri da quasi due anni ed è diventata il centro principale per la produzione e la lavorazione dell’oppio. Qui il mese scorso un’incursione britannica ha distrutto alcune raffinerie e 92 tonnellate di droga. Un successo militare contro il migliaio di talebani che, secondo le stime sono schierati a Marjah (affiancati forse da altrettanti miliziani narcos) potrebbe avere l’effetto di indurre molti gruppi della galassia talebana a negoziare la pace con Kabul. In realtà i combattenti jihadisti potrebbero essere di più perché a centinaia hanno lasciato negli ultimi mesi i distretti meridionali e settentrionali di Helmand sotto la pressione delle offensive britanniche e americane. Per ridurre il rischio di perdite civili in una battaglia casa per casa che potrebbe rivelarsi simile a quella combattuta nel 2004 nella città irachena di Fallujah, il comando alleato e le autorità afghane hanno preannunciato l’offensiva. Almeno cinquemila civili sono già fuggiti a Lashkar Gah e le autorità ritengono che gli sfollati potrebbero arrivare a 50 mila, ma il preavviso ha consentito anche ai talebani di prepararsi rafforzando bunker e gallerie e piazzando trappole esplosive nelle strade e negli edifici. Gli italiani riceveranno più sostegno dagli Stati Uniti nel settore dell’intelligence e della lotta agli ordigni esplosivi improvvisati in Afghanistan. Il vertice tra il capo del Pentagono, Bob Gates, e il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, ha consentito di mettere a punto una maggiore collaborazione tecnica. Gli italiani riceveranno la nuova tecnologia statunitense che consente di far esplodere preventivamente molti Ied: un jammer (disturbatore elettronico) che secondo il Pentagono ha già ridotto dell’80 per cento le vittime di questi ordigni. Gli statunitensi condivideranno con gli italiani anche la preziosa “banca dati elettronica” relativa a tutte le diverse tipologie di ordigni impiegati dai guerriglieri. “Una disponibilità – ha osservato La Russa – che ha consentito di eliminare i caveat”, cioè le limitazioni all’impiego delle truppe. Dopo l’esperimento dell’estate 2009, il ministero della Difesa ha dato il via libera alla cosiddetta “mini naja” destinata ai giovani che vorranno vivere per tre settimane l’esperienza militare. Approvata il 4 febbraio dal Consiglio dei ministri, coinvolgerà nei prossimi tre anni 15 mila giovani tra i 18 e i 30 anni è sarà finanziata da un emendamento al decreto sulle missioni all’estero con 7,5 milioni l’anno. Fortemente voluta da La Russa, la “mini naja” non sembra raccogliere molti consensi tra i militari a causa dei costi. Le Forze armate sono in gravi difficoltà nel gestire addestramento e manutenzione dei mezzi: manca il carburante per navi, aerei ed elicotteri, soltanto le unità destinate alle missioni all’estero riescono a mantenere un decente standard addestrativo grazie ai finanziamenti per le operazioni oltremare, ma molti mezzi sono fuori uso per carenza di pezzi di ricambio.
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