Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Se l'Iran avrà la bomba sarà merito delle indecisioni di Obama Intanto Khamenei minaccia l'occidente. Analisi di Carlo Panella, cronaca del Foglio
Testata:Libero - Il Foglio Autore: Carlo Panella - La redazione del Foglio Titolo: «L’indecisione di Obama darà l’atomica all’Iran - Il 'cazzotto' di Teheran all’occidente inizia a fare male già in Iraq»
Riportiamo da LIBERO di oggi, 09/02/2010, a pag. 21, l'analisi di Carlo Panella dal titolo " L’indecisione di Obama darà l’atomica all’Iran ". Dal FOGLIO, in prima pagina, l'articolo dal titolo " Il “cazzotto” di Teheran all’occidente inizia a fare male già in Iraq ". Ecco i pezzi:
LIBERO - Carlo Panella : " L’indecisione di Obama darà l’atomica all’Iran "
Ormai Ahmadinejad e l’ayatollah Khamenei si prendono il gusto di prendere in giro gli Usa, senza riserbo, certi come sonochealla Casa Bianca siedaunuomo incapace di far loro danno. E purtroppo i fatti danno loro ragione. Questa la successione delle ultimissime dichiarazioni iraniane. Ahmadinejad, domenica annuncia di avere dato ordine di arricchire l’uranio al 20 (non più al 3,5%), in una chiara escalation verso l’arricchimento al 90%, necessario per la bomba atomica. Lunedì mattina, sempre Ahmadinejad, rassicura il mondo che «Teheran è pronta a cooperare con la comunità internazionale nel campo dell’arricchimento» e rilancia la trattativa. Passano due ore e l’ayatollah Khamenei chiarisce quale sia la “cooperazione” a cui è disposto il regime: «La distruzione di Israele è imminente ». Poi aggiunge: «L’11 febbraio, la nazione iraniana, unita e con la grazia di Dio, sferrerà un cazzotto tale all’arroganza dell’Occidente, che lo lascerà stordito». Previsione facile da mantenere, perché l’Occidente, a causa della politica di Barack Obama, non è oggi in grado di reagire a nulla, neanche all’annuncio che Teheran ha già una bomba atomica (probabilmente Khamenei annuncerà invece il successo del lancio di un nuovo missile intercontinentale che può raggiungere Parigi e Londra). Il segretario alla Difesa americano RobertGates sta facendo il giro d’Europa per concordare nuove sanzioni (ieri ha visto Frattini e Kouchner, convintissimi), ma queste non saranno prese dall’Onu, o saranno addolcite sino a renderle inutili, perché Obama ha fatto di tutto per dare ragioni ulteriori a Pechino per esercitare il diritto di veto nel Consiglio di Sicurezza. L’Europa nel suo insieme (nonostante le prese di posizioni chiare dei governi inglese, francese e ora anche italiano) sembra da parte sua rassegnata: pensa che nessuno sia in grado di fermare la corsa dell’Iran verso l’ato - mica. Né Mosca, né Pechino sono alleati del regime di Teheran (e nel caso venisse attaccato militarmente, non si sentirebbero minimamente vincolate a reagire al suo fianco), ma usano cinicamente della politica eversiva degli ayatollah per indebolire la superpotenza americana, per evidenziare la sua crescente debolezza. Mosca fornisce a Ahmadinejad irresponsabilmente tutta la tecnologia nucleare, ma ora pare aver compreso di avere giocato col fuoco e sembra accetti nuove, dure sanzioni. Pechino, invece, era già intenzionata a fare fuoco di sbarramento, quando Washington ha fatto tre mosse che l’hanno definitivamente portata su posizioni di pieno fiancheggiamento di Teheran. Obama infatti ha concentrato in due giorni queste mosse: ha venduto armamenti modernissimi a Taiwan, che la Cina considera territorio nazionale illegalmente occupato; ha dichiarato che riceverà personalmente il Dalai Lama e infine ha duramente criticato la politica monetaria cinese, accusandola di barare sottovalutando il Yuan. Tutte e tre le mosse, si badi bene, potevano essere spostate di uno-due mesi, sino a dopo la conclusione dell’accordo contro Teheran, e non sarebbe cambiato nulla. Ma il dilettantismo di Obama è infinito, così come enorme è il suo cinismo nei confronti della opposizione al regime di Teheran (massacrata di nuovo e preventivamente in questi giorni, per impedirle di manifestare l’11 febbraio, anniversario della rivoluzione), nei cui confronti continua a tacere (nonostante le forche) e che ha addirittura indebolito, levando ogni finanziamento alle organizzazioni americane che aiutavano l’Onda Verde. La conclusione quindi sarà che le trattative all’Onu sulle sanzioni saranno lunghissime e che alla fine Pechino toglierà il veto solo a fronte di una loro sterilizzazione quasi totale, così che Teheran potrà serenamente irriderle e aggirarle. In questo contesto, ha sempre più senso e peso la proposta che il ministro degli Esteri israeliano Lieberman ha avanzato a Berlusconi: l’Ue inserisca i pasdaran nella lista delle organizzazioni terroristiche. Berlusconi, che si è schierato all’avanguardia in Europa tra i paesi su cui Israele può contare, ha aperto più di uno spiraglio a questa prospettiva, che avrebbe un enorme impatto. Innanzitutto segnerebbe uno schieramento di campo dell’Europa a fianco dell’Onda Verde. Poi umilierebbe Teheran. Infine avrebbe enormi impatto proprio sui programmi nucleari: i pasdaran sono infatti proprietari delle industrie che lavorano l’uranio e i missili e se fossero considerati terroristi, anche le aziende –c omprese quelle italiane - che cinicamente li riforniscono, avrebbero enormi problemi, anche a organizzare triangolazioni di comodo con paesi alleati di Teheran.
Il FOGLIO - " Il “cazzotto” di Teheran all’occidente inizia a fare male già in Iraq"
Roma. Nella settimana della celebrazione della Rivoluzione d’Iran – giovedì, il 22 di Bahman secondo il calendario persiano – il regime sfodera il suo schema più rodato: escalation nucleare e militare, Guardie e bassiji schierati, retorica antioccidentale. Il presidente, Mahmoud Ahmadinejad, ha detto che l’arricchimento dell’uranio si intensificherà, sbugiardando nel giro di quarantott’ore il suo ministro degli Esteri, Manoucher Mottaki, arrivato venerdì a sorpresa alla Conferenza di Monaco sulla sicurezza per un colloquio “molto buono” con il capo dell’Agenzia atomica dell’Onu, il giapponese Yukiya Amano. Poche ore dopo anche il presidente dell’Organizzazione atomica dell’Iran, Ali Akbar Salehi, ha annunciato che nel prossimo anno saranno costruiti dieci siti nucleari e che a partire da oggi l’uranio sarà arricchito al 20 per cento (finora era al tre per cento), come è stato comunicato in una lettera arrivata ieri all’Aiea. La collaborazione con l’esterno è interrotta, ha sottolineato Salehi, “possiamo fermare i nostri impianti quando vogliamo”, basta che la comunità internazionale faccia quel che vogliamo noi. Altrimenti varrà la parola della Guida Suprema, Ali Khamenei: “Sferreremo un cazzotto tale all’arroganza dell’occidente, che lo lascerà stordito”. Per farlo ci saranno i nuovi droni e il sistema di “difesa, controllo e attacco” messo a punto da Teheran. La diplomazia americana, per bocca del segretario di stato Hillary Clinton, difende la politica dell’engagement, perché ha reso evidente il fatto che sia Teheran a non voler collaborare, non certo il contrario; il capo del Pentagono, Robert Gates, ha lasciato ieri l’Italia per andare in Francia a ribadire la linea: stiamo uniti sulle sanzioni. Questa settimana ci sarà il primo incontro al Consiglio di Sicurezza dell’Onu per definire la bozza delle misure economiche, si sa che la Cina è recalcitrante, ma ieri Russia, America ed Europa hanno condannato il regime per l’oppressione e chiesto misure forti contro i progetti atomici. Però Washington non può attendere oltre, ne va della credibilità della sua strategia – la mano non sarà tesa all’infinito, ha detto più volte Barack Obama –, della vita di migliaia di iraniani che subiscono la repressione del regime, e anche della tenuta della linea americana su altri fronti. Come sanno bene i soldati italiani in Afghanistan, la mancata collaborazione da parte dell’Iran nella lotta contro i talebani è pericolosa: sono sempre di più le infiltrazioni di armi e uomini sul confine tra Herat e la Repubblica islamica. Ma è soprattutto l’Iraq ad agitare gli Stati Uniti. I fuoriusciti e gli addestramenti Questo è l’anno del ritiro americano da Baghdad, Teheran lo sa, e così ha ricominciato con forza a far sentire la sua voce nella complicata rete di rapporti che tiene in piedi l’Iraq. Asaib al Haq (Lega dei giusti), una sigla che raggruppa i fuoriusciti dall’Esercito del Mahdi di Muqtada al Sadr, fiancheggiata da Teheran, ha rapito un contractor statunitense di cui ha mostrato il video (con il civile in tenuta militare) lo scorso fine settimana. Il sequestro arriva a un mese dalla liberazione da parte degli americani del capo di Asaib al Haq, Qais Qazali, all’interno di un processo di riconciliazione deciso insieme, ma evidentemente già violato. Asaib al Haq e le Brigate di Hezbollah, legate al Partito di Dio libanese, sono addestrati in campi in Iran. A fornire istruzioni, campi e armi – secondo i report statunitensi sdegnosamente smentiti da Teheran – sono le Forze di Quds, le forze speciali delle Guardie della Rivoluzione che operano fuori confine, la minaccia più pericolosa nella regione.
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