Nonna Carla Alain Elkann
Bompiani Euro 14
“Per ognuno di noi, pur se in modo diverso, la malattia della mamma è diventata il punto centrale, il perno attorno al quale ruotano le nostre vite. La sua lotta tenace contro la morte ci tiene tutti con il fiato sospeso. La sua è stata una vita vissuta tra speranza, delusione, mortificazione, impotenza”. Sono parole di Alain Elkann, quasi al centro di quel tessuto di parole che egli dedica oggi, dieci anni dopo, all’ultimo scorcio di vita trascorso da sua madre, in un mesto e lento andirivieni dalla sala di rianimazione, fra le mura di un ospedale.
Carla Ovazza era una donna speciale, una lega magica di mitezza e determinazione che stava dentro una figura minuta e un sorriso talmente dolce che proprio non te lo dimentichi più. E’ morta troppo presto, ed è stato un peccato che quel suo sorriso non abbia attraversato quest’ultimo decennio insieme a figli, nipoti e pronipoti. Il suo primogenito le ha dedicato un libro che racconta questi ultimi, tristissimi mesi. Ma anche e soprattutto, quella cosa sempre enigmatica e inafferrabile che è il rapporto fra un figlio e una madre. Il legame più “biologico” che ci sia, il più primordiale, senza il quale la storia dell’uomo non esisterebbe (e non certo a caso in ebraico “storia” si dice toledot, cioè “generazioni”, termine ricavato dalla radice che significa “partorire”).
Ma anche il più complesso, il più carico di cose dette e taciute, di intese e incomprensioni, di affetto e reticenze. Sarà forse fuori contesto, ma è così eloquente, e in fondo anche struggente, quella vecchia storiella della Yidishe mame tutta fiera del suo bambino quarantenne che le vuole talmente bene, talmente bene….da spendere duecento dollari alla settimana dallo strizzacervelli…e soltanto per parlare di lei. Soltanto di lei…Questa battuta contiene egual dose di sarcasmo, verità e sentimento.
Non c’è infatti amor materno, non c’è filiale devozione, che sfuggano a questa condanna alla complessità. E più che mai quando si tratta di una madre che porta in sé la bellissima, ma gravosa eredità dell’ebraismo – dove le parole e la nostalgia, i gesti e la speranza sono stati per millenni l’unico, grande patrimonio che una madre aveva da affidare ai propri figli. Fors’anche per questo, Alain Elkann scrive ora di e per lei, sua madre, a dieci anni da quel giorno in cui “nonna Carla” se n’è andata. Perché conosce e sente il valore aggiunto che le parole hanno, insieme ai silenzi sospesi fra l’una e l’altra, nel rapporto fra una madre e un figlio.
Tanto è vero che il libro è diviso in due parti. Dapprima un diario, triste e concitato, smarrito e rassegnato, degli ultimi mesi trascorsi con lei. E poi una riflessione che viene dopo, quando lei non c’è più, e tornano i ricordi, insieme ai rimpianti e a uno sguardo nuovo su quel che c’è stato e quel che non c’è stato fra madre e figlio lungo la vita. Non c’è titubanza, né prima né dopo, nell’entrare dentro il dolore. Nel provare a dargli forma attraverso le parole, vivendolo sulla propria pelle. Una volta precipitato dentro la perdita – “sono orfano, adesso”, dice l’autore a se stesso, quasi incredulo -, arriva il ripensamento, una sorta di lucida rivisitazione del rapporto madre e figlio. Intorno a loro, la famiglia, custode dei ricordi e delle nostalgie.
Elena Loewenthal
Tuttolibri – La Stampa