Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 08/02/2010, a pag. 2, la cronaca di Maurizio Molinari dal titolo " Ahmadinejad: arricchiremo uranio da soli ", a pag. 3, l'articolo di Claudio Gallo dal titolo "Arrestati sette legati alla CIA ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 6, l'articolo di Francesco Battistini dal titolo "Armi segrete e diplomazia. Così Israele gioca d’anticipo " e l'articolo di Maurizio Caprara dal titolo " Ma Gates frena su azioni di forza ", a pag. 5, l'intervista di Ennio Caretto a Marvin Cetron, l’autore del «Rapporto 2000» sul terrorismo per la Cia e l’Fbi, dal titolo " America ed Europa sono rassegnate: Teheran otterrà la bomba atomica ". Da REPUBBLICA, a pag. 8, l'intervista di Candy Crowley a Hillary Clinton dal titolo " Teheran, un pericolo costante ma il vero nemico è Al Qaeda ". Da LIBERAL del 05/02/2010 l'analisi di Daniel Pipes dal titolo " Caro presidente Obama, è il momento di attaccare ", la risposta alla situazione esposta nella cronaca di Maurizio Molinari. Ecco gli articoli:
La STAMPA - Maurizio Molinari : " Ahmadinejad: arricchiremo uranio da soli "

Il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad ha ordinato all’agenzia atomica nazionale di portare l’arricchimento dell’uranio dal 3,5 al 20 per cento rafforzando i timori della comunità internazionale sulla corsa segreta all’arma atomica.
Intervenendo ad una cerimonia sui successi della tecnologia laser, Ahmadinejad ha collegato la decisione all’impossibilità di un accordo con l’Onu sul nucleare: «Gli abbiamo offerto uno scambio pur potendo arricchire l’uranio da soli al 20 per cento, gli abbiamo dato 2-3 mesi di tempo per concludere l’intesa ma loro hanno iniziato un nuovo gioco e dunque ho chiesto a Ali Akbar Salehi di iniziare a far lavorare le centrifughe per produrre uranio arricchito al 20 per cento», ha detto, riferendosi al direttore del programma nucleare iraniano.
Poco dopo l’agenzia di stampa Irna ha precisato che «la decisione presa» da Ahmadinejad «viene lasciata in sospeso» in attesa di verificare la possibilità di un accordo in extremis con Usa, Europa, Russia e Cina. In questa maniera Teheran fa capire alla comunità internazionale di voler comunque arrivare alla soglia del 20 per cento ed è questo il motivo di preoccupazione dell’Aiea perché per usare l’uranio a fini civili basta arricchirlo al 3 per cento e il balzo in avanti avvicinerà Teheran alla soglia dell’80 per cento, che consente l’uso per fini militari.
Dietro il passo di Ahmadinejad c’è l’attuale fase di stallo nelle trattative. I mediatori internazionali, guidati in questo caso dalla Russia, hanno offerto a Teheran di arricchire all’estero il suo combustibile nucleare - portandolo proprio alla soglia del 20 per cento - ponendo però delle condizioni sulla percentuale che dovrà essere temporaneamente esportata e sulle modalità di rientro mentre Ahmadinejad persegue uno «scambio senza condizioni». È proprio questa contro-offerta che il ministro degli Esteri iraniano, Manouchehr Mottaki ha recapitato a Yukiya Amano, direttore dell’Agenzia atomica dell’Onu (Aiea), ma Washington, Mosca e Berlino ritengono che in realtà Teheran stia tentando solo di prendere tempo, per allontanare la possibilità di un voto sulle sanzioni al Consiglio di Sicurezza dell’Onu nel mese di febbraio, che vede la presidenza di turno della Francia di Nikolas Sarkozy, fra le nazioni più inquiete sul programma nucleare iraniano.
Dagli ambienti dell’Aiea trapela invece l’ipotesi che Teheran non voglia esportare gran parte del combustibile nucleare - Parigi chiede che sia il 75 per cento del totale - perché avrebbe carenza di materia prima, come testimonierebbero i recenti tentativi di acquistarne in Kazakhstan, Venezuela e Guyana. Il Segretario di Stato, Hillary Clinton, ha risposto all’offerta di Ahmadinejad dagli schermi della Cnn affermando che «è il comportamento degli iraniani a svelare le loro intenzioni» perché «hanno costruito a Qom un impianto segreto e hanno rifiutato le ragionevoli offerte presentate da Russia, Francia e Usa attraverso l’Aiea».
Sempre nella giornata di ieri l’aviazione militare di Teheran ha fatto sapere di aver testato con successo il prototipo di un velivolo in grado di evadere la sorveglianza di qualsiasi tipo di radar. L’aereo è stato chiamato «Pesce Spada» e il generale dell’aviazione Aziz Nasirzadeh ha assicurato per «presto sarà messo in produzione» per assicurare la possibilità di «colpire il nemico a sorpresa» con gli ordigni che potrà portare.
LIBERAL - Daniel Pipes : " Caro presidente Obama, è il momento di attaccare"

Daniel Pipes
Abitualmente non offro consigli a un presidente alla cui elezione ero contrario, che persegue degli obiettivi che temo e delle linee politiche che non condivido. Ma qui ho un'idea affinché Barack Obama salvi la sua traballante amministrazione, facendo un passo a tutela degli Stati Uniti e dei suoi alleati. Se la personalità, l'identità e la celebrità di Obama incantarono nel 2008 la maggioranza dell'elettorato americano, nel 2009 queste stesse qualità si sono dimostrate inadeguate per governare. Obama non è riuscito a mantenere l'impegno per quanto riguarda il problema dell'occupazione e la riforma sanitaria, ha fallito nei tentativi di politica estera tanto piccoli (per esempio assicurarsi le Olimpiadi del 2016) quanto di vasta portata (rapporti con Cina e Giappone). L'operato del controterrorismo a malapena supera il test della risata. Questa esigua performance ha provocato un crollo senza precedenti nei sondaggi e la sconfitta in tre importanti elezioni suppletive, culminando due settimane fa in una sorprendente sconfitta senatoriale in Massachusetts. I tentativi di Obama di "resettare" la sua presidenza probabilmente falliranno se egli si concentrerà sull'economia, dove lui è solo uno degli innumerevoli attori. Obama ha bisogno di un gesto plateale per cambiare l'immagine che l'opinione pubblica ha di lui come campione dei pesi leggeri, raffazzonando ideologi, preferibilmente in un'arena dove la posta è molto alta e dove lui può battere le aspettative. Una simile opportunità esiste: Obama può dare ordini all'esercito di distruggere la capacità di produzione delle armi nucleari di Teheran. Le circostanze sono propizie. Innanzitutto le agenzie di intelligence Usa hanno ribaltato i contenuti dell'assurdo National Intelligence Estimate (NIE) del 2007, quel rapporto che asseriva con «un ampio margine di probabilità» che Teheran aveva «sospeso il suo programma di armamento nucleare». Nessuno (a parte i governanti iraniani e i loro agenti) nega che il regime si sia buttato a capofitto nella costruzione di un ampio arsenale nucleare. In secondo luogo, se i leader di Teheran dalla mentalità apocalittica avessero la Bomba, essi renderebbero il Medio Oriente ancor più instabile e pericoloso. Potrebbero utilizzare le loro armi nella regione, portando a eccidi e distruzione. E alla fine, potrebbero lanciare un attacco a impulsi elettromagnetici contro gli Stati Uniti, devastando completamente il Paese. Eliminando la minaccia iraniana, Obama protegge la patria e invia un messaggio agli amici e ai nemici degli americani.
In terzo luogo, i sondaggi d'opinione mostrano un sostegno americano di lunga data per un attacco nucleare iraniano. Secondo il Los Angeles Times/Bloomberg del gennaio 2006, il 57 per cento degli americani è a favore di un intervento militare qualora Teheran perseguisse un programma in grado di permetterle la costruzione di armi nucleari. Secondo Zogby International dell'ottobre 2007, il 52 per cento dei potenziali elettori appoggia un attacco militare Usa per impedire all'Iran di costruire delle armi nucleari; il 29 per cento si oppone a una simile misura. Nel maggio 2009 viene chiesto agli intervistati da McLaughlin & Associates se siano d'accordo con «l'impiego dell'esercito [Usa] per attaccare e distruggere gli impianti in Iran che sono necessari per produrre un'arma nucleare», il 58 per cento di 600 potenziali elettori si dice a favore dell'uso della forza e il 30 per cento si dichiara contrario. Da Fox News, nel settembre 2009, viene chiesto «Sei favorevole o contrario all'impiego da parte degli Stati Uniti di un'azione militare che impedisca all'Iran di avere delle armi nucleari?» Il 61 per cento dei 900 iscritti alle liste elettorali si dice favorevole all'azione militare e il 28 per cento si dichiara contrario. Il Pew Research Center chiede nell'ottobre 2009 se è più importante «impedire all'Iran lo sviluppo di armi nucleari, pur implicando ciò l'impiego di un'azione militare» oppure «evitare un conflitto militare con l'Iran, pur implicando ciò il possibile sviluppo di armi nucleari». Il 61 per cento degli intervistati si dichiara favorevole della prima opzione e il 24 per cento mostra una preferenza per la seconda.
Non solo una forte maggioranza – il 57, il 52, il 58, il 61 e ancora il 61 per cento – è già favorevole all'uso della forza, ma dopo un attacco gli americani si stringeranno presumibilmente intorno alla bandiera, facendo salire rapidamente queste percentuali. In quarto luogo, se l'attacco americano si limitasse a distruggere gli impianti nucleari iraniani e non ad ambire a un cambio di regime, ciò richiederebbe pochi "scarponi sul terreno" e implicherebbe delle perdite piuttosto esigue, rendendo un attacco politicamente più appetibile.
Proprio come l'11 settembre ha indotto gli elettori a dimenticare i primi mesi di distrazione della presidenza di George W. Bush, un attacco contro gli impianti iraniani manderebbe l'inefficiente primo anno del mandato di Obama giù nel dimenticatoio e trasformerebbe la scena politica interna. Inoltre, un attacco accantonerebbe la riforma sanitaria, indurrebbe i repubblicani a lavorare con i democratici, farebbe protestare i netroots, provocherebbe un ripensamento negli indipendenti e farebbe andare in brodo di giuggiole i conservatori. Ma l'opportunità di fare benissimo è fugace. E dal momento che gli iraniani rafforzano le loro difese e parlano di armamenti, la finestra dell'opportunità è chiusa. Il momento di agire è adesso oppure il mondo diventerà presto un luogo molto più pericoloso.
CORRIERE della SERA - Francesco Battistini : " Armi segrete e diplomazia. Così Israele gioca d’anticipo "

HERZILYA (Israele) — L’ultima arma segreta per battere l’Iran è l’acqua. Acqua di mare. Serve al posto del combustibile e fa funzionare un modello ultramoderno di sottomarino: i tedeschi hanno promesso di venderlo agl’israeliani, gl’israeliani non vedono l’ora d’immergerlo nel Golfo Persico, assieme ai cinque Dolphin che già solcano Mediterraneo e Mar Rosso. «La guerra psicologica è cominciata — spiega Amir Menashe, esperto israeliano di cose iraniane — e si gioca su chi controlla meglio l’altro: coi satelliti, l’intelligence, gli aerei, la Marina. Questo nuovo sommergibile ha un’autonomia illimitata, perché va solo ad acqua. Può stare in azione anche un anno di seguito. Senza smettere di puntare su Teheran».
L’arricchimento dell’uranio non si sa a che porterà: finora sta arricchendo, e bene, i venditori d’armi. Alle mosse via mare del nemico, l’Iran risponde dall’aria con la nuova versione dello Swordfish, l’aereo che inganna i radar. E mentre Berlusconi parlava a Gerusalemme, la settimana scorsa, le notizie uscivano dalla Conferenza di Herzilya, think tank fuori Tel Aviv dove si ragionava di strategie: «Le truppe non hanno ancora cominciato a muoversi — dice Alex Fishman, analista militare molto ascoltato —, ma gli americani hanno cominciato a studiare il terreno. E il primo passo è lo spiegamento d’una rete di difesa da missili balistici». Le manovre militari europeo-americane Juniper Cobra. La visita segreta in Israele di Leon Panetta, il direttore della Cia, che avrebbe portato nuove mappe militari e, forse, perfino una deadline. Il viaggio del generale americano numero 2 in Europa, John Gardner, che sulle pendici israeliane del Keren ha visitato «Blue Eyes», il più occhiuto sistema satellitare Usa che spii gli ayatollah: con 15 minuti d’anticipo, un’eternità, è capace d’accorgersi se qualcosa s’alza da qualsiasi angolo dell’Iran. «Nel Golfo — spiega Fishman — gli americani hanno piazzato la più avanzata batteria difensiva mai vista: i Patriot Pac-3, i Sa-3, i missili sulle navi Ajax...». Anche le corvette israeliane, passate l’altro giorno per il Canale di Suez, resteranno un bel pezzo da quelle parti. «Americani e israeliani ormai hanno capito che le sanzioni non funzionano — è la teoria di Menashe —. I militari s’adeguano e si preparano. Non ci sono molte opzioni: Washington non vuole sobbarcarsi un altro Afghanistan o un altro Iraq, a Israele serve un appoggio più largo»: ed ecco le nuove aperture del premier Netanyahu alla Siria; ecco la strategia del sorriso del suo vice Ayalon, che in Baviera stringe platealmente la mano a un imbarazzatissimo principe saudita; ecco i moniti iraniani agli Emirati, perché non diano asilo a un’altra guerra dal Golfo... A Herzilya, gli esperti militari rassicurano che nel 2010 sarà basso il rischio d’un conflitto diretto e così sarà fino a metà 2011. Ma, pure questo, lo garantirono pochi mesi prima del Libano o di Gaza: «E non è detto— chiosa Fishman— che l’Iran non agiti altre acque: gli Hezbollah, che continuano a ricevere armi, o Hamas che per fare i razzi incassa 200 milioni di dollari l’anno, la metà del suo budget». Per calmare quelle, di acque, a Israele non servirà il sottomarino senza benzina: «basterà» un altro conflitto indiretto. Con altre migliaia di morti.
CORRIERE della SERA - Maurizio Caprara : " Ma Gates frena su azioni di forza"

Robert Gates
ROMA— Può suonare rassicurante ascoltare dal capo del Pentagono, ossia da chi sovrintende al braccio armato degli Stati Uniti, che la diplomazia ha ancora spazio per sbloccare la pericolosa paralisi nei negoziati sui piani nucleari di Teheran. «Se la comunità internazionale rimane unita nei confronti dell’Iran, credo che siamo ancora in tempo perché le pressioni sul governo dell’Iran e le sanzioni possano avere l’effetto sperato», ha dichiarato ieri a Roma Robert Gates, il segretario americano alla Difesa. Queste parole portano a escludere un’azione militare a breve. «Non l’abbiamo minimamente presa in considerazione», ha riferito il ministro della Difesa Ignazio La Russa dopo aver ricevuto Gates. «Il mondo non ha certo bisogno di una nuova guerra», ha ribadito il rappresentante di Barack Obama al Tg1. Ma le sue affermazioni non significano che l’Italia possa sentirsi autorizzata dal suo principale alleato a essere morbida con Teheran. Anzi.
Tra i legni antichi e gli stucchi di Palazzo Marina, l’ex capo della Cia messo alla testa del Pentagono da George W. Bush e confermato nella carica da Barack Obama ha aggiunto un «però» alla sua valutazione sul tempo valido per trattare con l’Iran. «Però dobbiamo davvero lavorare tutti insieme», ha sottolineato Gates, raccomandando compattezza agli alleati di fronte al rischio di una Repubblica degli ayatollah dotata di bomba atomica. E quando il Corriere gli ha domandato se crede che l’Italia faccia abbastanza per porre l’Iran sotto pressione dal punto di vista economico, la risposta del segretario alla Difesa è stata: «Piuttosto che parlare di un Paese in particolare, vorrei dire semplicemente che tutti noi possiamo fare di più». Modo garbato per far capire che dal nostro Paese, diventato di recente secondo partner commerciale europeo dell’Iran dopo esserne stato il primo, a Washington ci si aspetta di più. Un di più traducibile in meno affari con Teheran.
È sull’Afghanistan che il governo di Silvio Berlusconi conta su piena considerazione da parte dell’Amministrazione Obama. La Casa Bianca, in dicembre, ha deciso di mandare altri 30 mila americani nel Paese insidiato dai talebani. Gli alleati stanno offrendo circa diecimila militari in più, meno di quanto gli Usa desideravano. Per questo Gates, venerdì scorso, in Turchia, ha chiesto agli Stati della missione Isaf di aumentare, nei rinforzi, gli istruttori per esercito e polizia afghani. Il vicepresidente degli Usa Joe Biden, la settimana scorsa, ha fatto presente a Gianfranco Fini di assegnare a dieci carabinieri il valore di cento soldati.
Gates ha offerto a La Russa mezzi tecnici e informazioni segrete per ridurre le insidie dovute a bombe sulle strade pattugliate dagli italiani, e ha ottenuto che nei mille militari in più annunciati dall’Italia per la seconda metà del 2010 salirà il numero degli istruttori. Nel frattempo il capo del Pentagono, che oggi incontrerà il ministro degli Esteri Franco Frattini e poi andrà a Parigi, ha ringraziato il nostro Paese perché con i mille si è impegnato al «contributo più alto di qualsiasi alleato da quando Obama in dicembre ha annunciato la nuova strategia per l'Afghanistan».
La STAMPA - Claudio Gallo : " Arrestati sette legati alla CIA "

Ali Khamenei
A tre giorni dalla data cruciale dell’11 febbraio (22 Bahman in Iran), il giorno della festa nazionale in cui l’opposizione ha promesso di tornare in piazza, Il ministero dell’Intelligence ha annunciato l’arresto di un gruppo di oppositori «sostenuti dall’America e da Israele». Con le parole ufficiali: «Sette persone legate dal punto di vista organizzativo ai controrivoluzionari, ai media sionisti e ad elementi della sedizione, sono stati arrestati...Alcuni di loro lavorano ufficialmente per la Cia».
Non si conosce il nome degli arrestati che dovrebbero essere collaboratori di Radio Farda, emittente in persiano sostenuta dal governo americano. Secondo le autorità iraniane sarebbero stati addestrati a Istanbul e a Dubai «per turbare l’ordine pubblico diffondendo voci e compiendo sabotaggi». I sette avrebbero svolto un ruolo nelle «rivolte post elettorali» e specialmente nei disordino della festa dell’Ashura. In queste circostanze, è possibile che sarà applicata anche a loro la designazione di «mohareb», nemico di Dio. Un’accusa che è già valsa il capestro a due persone e la condanna a morte per altre nove.
A un livello meno pubblicizzato proseguono, a tappeto gli arresti di studenti, politici e giornalisti: tra gli ultimi Akbar Montajab di «Etemad e Melli», Mahsa Jazini, Amileh Darolshafaie e sua sorella, insegnante di musica, Banafsheh Darolshafaie.
Forse non del tutto casualmente, Teheran ha spiegato che in questi giorni che le connessioni Internet nel Paese saranno molto rallentate «perché il network sottomarino delle fibre ottiche è rimasto danneggiato». Il ministro delle Comunicazioni Reza Taghipour ha poi ammesso che in questo momento è difficile inviare Sms a causa «di un cambiamento di software» della compagnia telefonica.
Mentre la polizia si prepara ad affrontare le manifestazioni dell’11 febbraio, continuano le manovre politiche all’interno della cittadella del potere. Il noto parlamentare Ali Motahhari, vicino al presidente del Parlamento Ali Larijani, ha scritto l’altro giorno una lettera al leader dei verdi Mir Hossein Mousavi con una proposta che sembra mettere a nudo lo scontro tra i vecchi conservatori e neocon di Ahmadinejad. In sostanza, diceva con un tono tra la minaccia e l’esortazione: tu e Karroubi dovete tornare all’interno del sistema e riconoscere l’autorità della Guida Suprema Ali Khamenei, allora qualcuno si occuperà degli abusi del governo. Ma fino a dove Motahhari intente spingersi non è chiaro. Fino ad Ahmadinejad?
CORRIERE della SERA - Ennio Caretto : " America ed Europa sono rassegnate: Teheran otterrà la bomba atomica "

Marvin Cetron
WASHINGTON— Secondo Marvin Cetron, l’autore del «Rapporto 2000» sul terrorismo per la Cia e l’Fbi, il servizio segreto e la polizia federale americani, è troppo tardi per evitare che l’Iran produca armi atomiche. «Entro tre o quattro anni, nel migliore dei casi poco di più— dichiara— gli ayatollah disporranno delle prime armi nucleari operative, a meno che Israele non ne distrugga gli impianti». Cetron, reduce da un lungo viaggio nel Golfo persico, aggiunge che «America ed Europa si sono rassegnate a fare i conti nel prossimo futuro con un Iran diventato potenza nucleare». L'esperto di antiterrorismo sostiene che alla Nato si stia discutendo un contingency plan, un piano d’emergenza, per isolare e contenere il regime degli ayatollah, come l'Urss durante la guerra fredda.
Lei esclude che la diplomazia e le sanzioni possano fermare Teheran e che l’America la bombardi?
«Con un regime che reprime i cittadini e sfida il mondo la diplomazia e le sanzioni non otterranno alcun effetto. Non credo che la Nato abbia lo stomaco per un bombardamento preventivo dell’Iran, anche se protesterebbe solo pro forma se Israele ne eseguisse uno. Al contrario, ame risulta che il Pentagono stia allestendo contro gli ayatollah — che vogliono missili di media e lunga gittata capaci di colpire Israele e l’Europa— le difese antimissilistiche più efficaci oggi esistenti. Ritengo che siano stati già ammoniti che, se mai usassero armi atomiche, parte dell’Iran scomparirebbe dalla faccia della terra».
Ma alla «resa» della Nato, di cui lei parla, non potrebbe subentrare il ricorso alla forza in caso di crisi?
«Qualsiasi strategia può cambiare. Ma l’Occidente deve badare a non alienarsi ulteriormente il mondo islamico, a non innescare conflitti— sarebbe esagerato immaginare una terza guerra mondiale — che non sarebbe in grado di sedare. Sospetto che soprattutto i leader europei preferiscano negoziare con un Iran con le armi nucleari, come negoziarono con l'Urss, che non esporre il mondo a sussulti incontrollabili. E che abbiano dalla loro la maggioranza dell’opinione pubblica».
A suo parere Israele potrebbe intervenire senza tenere conto dell’opinione pubblica internazionale?
«Se ne avesse tenuto conto in passato oggi non esisterebbe. Israele farà ciò che è necessario alla sua sicurezza, come ha sempre fatto contro il terrorismo. Non escludo che abbia già uomini in Iran pronti a fare saltare gli impianti del nemico e so che dispone di missili e bombe per penetrare a grandi profondità nei bunker atomici. In caso estremo, attaccherebbe da terra e dal cielo. L’unica alternativa possibile è un rovesciamento del regime a Teheran, l’avvento di una democrazia. Ma al momento non mi sembra molto realistica: gli oppositori vengono assassinati».
Non è possibile che il mondo islamico, la Russia, la Cina cerchino di dissuadere l’Iran?
«Anche se tentassero, non otterrebbero nulla. Temo che alla Russia e alla Cina facciano comodo un’America e una Europa in difficoltà, e il mondo islamico è diviso, molti sono segretamente schierati per l’Iran. I paesi del Golfo persico no, sono spaventati, e l'America ha promesso di proteggerli con uno scudo antimissilistico. È possibile invece che qualcuno di loro voglia procurarsi armi nucleari scatenando una corsa al riarmo. L'Arabia Saudita a esempio potrebbe chiederle al Pakistan o alla Corea del Nord, ha i soldi per pagarle».
La REPUBBLICA - Candy Crowley : " Teheran, un pericolo costante ma il vero nemico è Al Qaeda "

Hillary Clinton
SIGNOR segretario di Stato Clinton, vorrei che lei commentasse le parole di Obama nel suo discorso inaugurale di una mattina di un anno fa: "Noi tenderemo la nostra mano se voi sarete disposti a dischiudere il vostro pugno". Ritiene che l'Iran abbia allentato il pugno? «Purtroppo no...».
E che mi dice della Corea del Nord? «No, non come vorremmo che facessero, ma in questa questione entra in gioco anche altro.
In ogni caso il nostro sforzo ci ha portati decisamente più avanti in questo anno. Il fatto che paesi come la Corea del Nord o l'Iran abbiano l'arma nucleare è sicuramente una minaccia per il mondo intero, anche se è vero che Teheran non possiede la bomba atomica. Ma secondo le nostre stime la minaccia principale viene dalla rete transnazionale, cioè da Al Qaeda, e non dagli Stati. Ciò non toglie che gli Stati Uniti d'America devono sempre restare vigili. Quanto alla Corea del Nord, siamo riusciti a far approvare un regime di sanzioni molto dure anche dalla Cina e anche dalla Russia. E oggi questo regime di sanzioni è applicato in ogni parte del mondo». Ma la mano tesa degli Usa è servita in qualche modo? «Certo, è stato proprio perché noi abbiamo teso la mano che un Paese confinante con la Corea del Nord come la Cina ha capito che eravamo disposti a uno sforzo più serio, più che in passato, tanto da iniziarea dire: "Ok, non ce ne staremo qui a lanciare soltanto insulti contro di loro, ci adopereremo anche noi per questoe tenuto conto chei nordcoreani non hanno risposto a quello che è stato intimato loro, anche noi sottoscriviamo questo regime di sanzioni più dure".
Adesso la minaccia dell'Iranè diventata ancora più pressante.
«Come per la Corea del Nord, in Iran non so quale sarebbe stato l'esito se il governo di Teheran non avesse preso provvedimenti così repressivi dopo il risultato elettorale. Ma in ogni caso, proprio perché noi abbiamo deciso di occuparcene, anche il resto del mondo ha iniziato a vedere le cose dalla nostra prospettiva.
Quando abbiamo iniziato l'anno scorso a spiegare la minaccia che il programma nucleare iraniano rappresenta, la Russia e altri paesi in un primo tempo hanno affermato che non la pensavano come noi. Ma grazie a lenti progressi e incessanti sforzi diplomatici, e grazie anche al fatto che abbiamo fatto ricorso a un duplice approccio - un processo con iter veloce, che consiste nel negoziare direttamente con l'Iran, ma anche uno completamente diverso, che consisteva nel dire "dobbiamo far sì che la comunità internazionale condivida un regime di sanzioni più dure se gli iraniani non si adegueranno" - abbiamo fatto indubbi passi avanti.
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