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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Stampa-Il Foglio Rassegna Stampa
06.02.2010 Siria,Israele, Iran: analisi e prospettive- In Romania lo scudo anti missile Usa
Aldo Baquis, Maurizio Molinari, le redazione del Foglio

Testata:La Stampa-Il Foglio
Autore: Aldo Baquis, Maurizio Molinari, la Redazione del Foglio
Titolo: «Siria-Israele,una mediazione targata Italia-Pace con Damasco per poi colpire l'Iran-Obama: in Romania lo scudo anti-missile-La garrota in Iran è una anonima gru-Che succede all'Iran se Khamenei è l'ultima Guida Suprema»

Dalla STAMPA e dal FOGLIO di oggi, 06/02/2010, cronache  e analisi sui rapporti Israele-Siria-Iran, dopo la visita di Berlusconi, mentre a Teheran continuano le impiccagioni. Maurizio Molinari analizza anche la stregia Usa verso l'Europa, coinvolgendo la Romania sui problemi della sicurezza europea di fronte ai missili iraniani. Protesta la Russia, che dimostra così la continuità del legame con Teheran.
Ecco gli articoli:

La Stampa-Aldo baquis: " Siria-Israele,una mediazione targata Italia "


Ahmadinejad con Assad, il Golan

Un messaggio destinato al presidente Bashar Assad in cui viene ribadita la volontà israeliana di rilanciare negoziati di pace con la Siria, senza precondizioni, è stato affidato dal premier Benyamin Netanyahu al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi durante la sua visita a Gerusalemme. Lo hanno riferito fonti qualificate, mentre fra Israele e Siria negli ultimi giorni si è avuto invece un aspro scambio di minacce.
In parallelo Netanyahu ha consegnato un analogo messaggio al ministro degli Esteri spagnolo Miguel Moratinos, che l’ha subito recapitato a Damasco. Di fronte al grande scetticismo dei dirigenti siriani, Moratinos ha dichiarato: «Vengo da Gerusalemme e là non ho sentito affatto tamburi di guerra, bensì tamburi di pace». Secondo le fonti, Netanyahu manda a dire ai dirigenti siriani che è giunto il momento di riprendere le trattative, non necessariamente dirette nella fase iniziale. Tramontata per screzi personali con Tayyp Erdogan la mediazione della Turchia (che nel 2008 aveva fatto da tramite fra l’allora premier Ehud Olmert e Assad) sarebbe adesso possibile - secondo Netanyahu - avvalersi invece dei canali diplomatici di Italia e Spagna.
Se dietro le quinte si cerca di rimettere in moto il dialogo, in pubblico è in corso invece una dura schermaglia. Già a gennaio una importante esercitazione militare israeliana sulle alture occupate del Golan aveva destato apprensione a Damasco. Questa settimana il ministro israeliano della difesa Ehud Barak ha poi avvertito che in assenza di trattative con la Siria si profila il rischio di un nuovo conflitto.
Barak è, nel governo israeliano, il più convinto assertore delle necessità prioritaria di allontanare la Siria dalla alleanza con l’Iran, anche a costo di un ritiro dalle strategiche alture del Golan. Ciò anche nella persuasione che invece sul fronte palestinese non sia possibile raggiungere, nel prossimo futuro, alcun accordo. Barak avverte anche un nuovo atteggiamento di interesse alla Siria da parte degli Stati Uniti, che vogliono assicurarsi la cooperazione di Assad nel contesto dei tentativi di stabilizzazione in Iraq. Si torna così a parlare del ritorno Damasco dell’ambasciatore degli Stati Uniti.
Eppure le parole di Barak sono state intese in Siria come una minaccia. «Se Israele attaccherà noi, o anche gli Hezbollah, siamo in grado di colpire tutte le sue maggiori città», hanno replicato i dirigenti siriani. Di conseguenza il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman ha dato fuoco alle sue polveri. Pensando a Barak, ha rilevato: «Chi pensa che mediante concessioni territoriali sia possibile separare la Siria dall’Asse del Male si sbaglia di grosso». Poi, rivolto allo stesso Assad, è passato al contrattacco: «In una prossima guerra, non solo perderai, ma la tua stessa famiglia perderà il potere».
Secondo Lieberman, la Siria dovrebbe rinunciare definitivamente alle alture del Golan (occupate da Israele nel 1967) «cosi come ha dovuto rinunciare al sogno della Grande Siria lasciando il controllo sul Libano nonché la zona di Alessandretta, contesa con la Turchia». La roboante sortita di Lieberman - ha titolato ieri Maariv a tutta pagina - era un tentativo di sabotare sul nascere l’iniziativa di Netanyahu con i buoni uffici di Italia e Spagna. In serata Lieberman ha replicato: «Non c’è alcuna iniziativa segreta e non c’è assolutamente niente da sabotare. Minacciando apertamente le nostre città la Siria ha oltrepassato una linea rossa. E Netanyahu la pensa come me».

La Stampa-Maurizio Molinari: " Pace con Damasco per poi colpire l'Iran "


David Schenker

Israele persegue un solido negoziato con la Siria e Berlusconi è il leader europeo di cui si fida di più». Parola di David Schenker, fino al 2006 titolare del dossier siriano al Pentagono e analista al centro studi Washington Institute.
Cosa pensa delle indiscrezioni sulla volontà di Netanyahu di affidare a Berlusconi o allo spagnolo Miguel Moratinos il ruolo di mediatore con Damasco?
«Dimostrano che Netanyahu è intenzionato ad accelerare i tempi del negoziato con Damasco e che si fida molto di Berlusconi. Moratinos lo ha aggiunto perché è gradito a Bashar Assad».
Incominciamo dal negoziato. Perché Netanyahu accelera?
«Per il motivo che sta diventando verosimile un attacco militare contro l’Iran. Che sia Israele o l’America a lanciarlo poco importa. Potrebbe avvenire e il rischio maggiore è che inneschi una guerra regionale, con gli Hezbollah che attaccano Israele dal Libano e la Siria che entra in guerra con loro. Per scongiurarlo Netanyahu vuole accelerare l’accordo con la Siria».
Washington che posizione ha?
«L’amministrazione Obama sta tentando di staccare Damasco da Teheran. Ha profuso molti sforzi ma non è un’opera facile perché i due Paesi hanno un’alleanza trentennale assai solida, basti pensare che nel 2007-2008 la Siria ha acquistato un avanzato sistema antimissile russo grazie al fatto che è stata Teheran a pagare il conto: 750 milioni di dollari. Ci sono due modi per allontanare Damasco da Teheran: spingerla a rompere i legami con gli Hezbollah, Hamas e i pasdaran oppure un accordo di pace con Israele. Obama prova la prima carta, Netanyahu la seconda».
Perché Netanyahu punta sul premier italiano?
«È il leader europeo che più condivide la visione strategica di Israele. La sua recente visita a Gerusalemme lo ha confermato».
Quali i punti di forza o debolezza di una mediazione italiana?
«Berlusconi è credibile per Netanyahu ed è al tempo stesso un importante partner commerciale di Assad. La Siria da tre anni è afflitta dalla siccità e soffre per una crisi economica pesante. Berlusconi è nella posizione migliore per aiutare Damasco a risollevarsi».
Lei è un veterano del negoziato israelo-siriano. Può ripartire?
«Bashar Assad ha negoziato con Ehud Olmert, quando era premier d’Israele, sulla base della bozza d’accordo discussa da Netanyahu col padre Hafez Assad nel 1998-1999. Ma la situazione è molto diversa dal 1998».
Quali le differenze?
«Israele non si accontenta più di uno scambio sul Golan basato sul principio della pace in cambio di territori. Netanyahu vuole che Assad cambi strategia, cessi di aiutare i terroristi, abbandoni Teheran e diventi un partner a tutto campo. Per ottenere questo risultato non serve la mediazione di una nazione come la Turchia, che guarda all’Iran. Molto meglio l’Italia».
Quali potrebbero essere le mosse di Bashar Assad?
«Assad ci ha dimostrato in passato che negozia con Israele solo quando gli serve per ottenere dell’altro. E al momento ha tre problemi che gli causano seri grattacapi: la crisi economica, il tribunale internazionale sull’omicidio a Beirut dell’ex premier libanese Hariri e l’indagine dell’Agenzia atomica dell’Onu sul reattore nucleare distrutto dagli israeliani nel settembre 2007».

La Stampa-Maurizio Molinari: " Obama: in Romania lo scudo anti-missile "

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La Romania accetta di ospitare gli intercettori del sistema di difesa antimissile ridisegnato da Barack Obama e Mosca, colta di sorpresa, reagisce con irritazione, facendo presente che «in questa maniera si mette a rischio il sistema di sicurezza dell’intera Europa».
La scelta di Bucarest è arrivata con una decisione del Consiglio supremo di difesa, comunicata dal capo dello Stato Traian Basescu, a favore dell’accoglienza sul territorio nazionale di un imprecisato numero di intercettori «Standard Missile 3» (SM-3) come «primo passo» nella realizzazione dello scudo teso a proteggere l’Europa del Sud dai missili a medio e corto raggio in possesso di Teheran. Gli intercettori saranno operativi a partire dal 2015 e P.J. Crowley, assistente Segretario di Stato, ha parlato di «sviluppo per difendere l’Europa» riferendosi alla revisione dello scudo antimissile che vide nel settembre 2009 il presidente Obama rinunciare alla precedente versione di George W. Bush - che includeva la protezione da missili intercontinentali - per preferire una linea di difesa costituita da postazioni a terra e in mare degli SM-3.
Era stato il vicepresidente Joe Biden a recarsi a Bucarest nell’ottobre scorso per concordare il dispiegamento dopo aver annullato i precedenti progetti di Bush per posizionare gli intercettori in Polonia e i radar nella Repubblica Ceca. «Vogliamo proteggere i nostri alleati e le basi della Nato dalle minacce iraniane - ha sottolineato Crowley - e dunque lo scudo non ha nulla a che vedere con la Russia».
Ma la risposta di Mosca non si è fatta attendere e il ministro degli Esteri, Sergei Lavrov, si è augurato di ricevere una «spiegazione esauriente dall’amministrazione americana» in considerazione «degli accordi internazionali che proteggono in Mar Nero» ed anche dell’esistenza di «una intesa fra i due presidenti per studiare assieme i rimedi alle minacce comuni coinvolgendo l’Unione Europea». Se Lavrov si limita a far sapere a Washington di essere in attesa dei dettagli dell’accordo con la Romania Viktor Zavarzin, presidente della commissione Difesa della Duma, ricorre a ben altri toni: «In questa maniera si mette a rischio la sicurezza dell’intera Europa» perché «si fanno prevalere gli interessi della Nato su quelli di altre nazioni dell’area euro-atlantica».
Il colonnello Igor Korotchenko, direttore del magazine «Difesa nazionale» aggiunge: «Gli SM-3 sono un tipo di armamento che riduce la deterrenza dell’arsenale russo» e dunque schierarli in Romania nuoce all’interesse nazionale del Cremlino. «La Russia deve ammonire la Romania sul fatto che accettando questi elementi dello scudo missilistico americano diventa un obiettivo di possibili attacchi preventivi russi».
È in tale cornice che Leonid Slutsky, vice di Zavarzin, si è spinto anche oltre prevedendo che «questa decisione è destinata ad avere delle conseguenze sui negoziati in atto fra Mosca e Washington per la redazione del nuovo trattato Start. Proprio nei giorni scorsi Obama e il collega russo Dmitry Medvedev hanno avuto una lunga conversazione telefonica nel tentativo di accelerare la conclusione delle trattative per rimpiazzare il trattato strategico scaduto a inizio dicembre. A spiegare le irate reazioni russe all’annuncio giunto da Bucarest è Dmitri Trenin, direttore del Centro Carnegie a Mosca, secondo il quale «si è trattato di una completa sorpresa per i leader del Cremlino». \

Il Foglio
- " La garrota in Iran è una anonima gru "

Scompaiono. Per giorni, per settimane, a volte per mesi. La buona notizia per le famiglie è venire a sapere in quale carcere si trovano, almeno sono vivi, non sono stati ingoiati nelle segrete clandestine del regime islamico. Gli ultimi due sono stati impiccati senza neppure avvertire i parenti, che devono soltanto ritirare il cadavere e a volte pagare le spese di esecuzione. Degli studenti Alireza Firoozi e Sourena Hashemi non si sa più nulla. Ad altri nove dissidenti il regime sta per mettere il cappio. In Iran si scompare anche dentro il carcere. Un giorno vai a Evin per la visita settimanale e scopri che tuo figlio non c’è più. A decine sono gli accademici allontanati dalle università, così come molti diplomatici iraniani all’estero hanno chiesto asilo politico. Il regime si sta accanendo anche contro i semplici romanzieri. E’ stato condannato a quattro anni di reclusione Javad Mahzadeh, scrittore e critico letterario sostenitore del fronte riformista, l’autore di un romanzo di successo intitolato “Prendi da me il sorriso”, dedicato alla guerra Iran-Iraq. Mahzadeh non aveva mai risparmiato critiche al governo. Circa novanta intellettuali, scrittori e giornalisti, nei mesi scorsi, hanno inviato una lettera al capo del potere giudiziario, l’ayatollah Sadeq Larijani, chiedendo la sua immediata liberazione. Bene ha fatto l’Alto rappresentante europeo per la politica estera, Catherine Ashton, a chiedere di fermare questo “trend inquietante che serve a intimidire i dissidenti dell’opposizione”. Ma l’Iran non parla lo stesso linguaggio dei funzionari di Bruxelles. L’alto clero sciita ha riabilitato l’accusa di “eresia” sotto i nostri occhi. I nove saranno giustiziati perché “mohareb”, la peggior offesa agli occhi di Allah. Un gigantesco tribunale dell’inquisizione islamica è stato preparato per sedare, forse, l’ultima possibilità di cambiare quest’odioso regime fratricida. La garrota in Iran ha la forma di un’anonima gru su cui sono lasciati a ciondolare gli eretici.

Il Foglio- " Che succede all'Iran se Khamenei è l'ultima Guida Suprema "


Un augurio a Khamenei

 Roma. Una crisi così, in Iran, non c’era da tempo. La Guida Suprema, Ali Khamenei, s’arrocca nella repressione ma il suo stesso ruolo potrebbe essere in discussione. E se Khamenei fosse l’ultima Guida Suprema dell’Iran rivoluzionario? Geneive Abdo, ricercatrice esperta di storia iraniana presso la Century Foundation di Washington D.C., ha lanciato la provocazione su Newsweek. Abdo ha scritto molti libri, scrive su Foreign Policy, Middle East Report e New Republic, è stata corrispondente da Teheran per il Guardian e per l’Economist, il suo ultimo progetto, varato lo scorso settembre, è il sito web InsideIran. org, un’importante fonte di informazioni sulla politica interna iraniana. Al Foglio spiega che cosa è cambiato negli ultimi dieci anni in Iran. “Ci sono tre elementi da prendere in considerazione. Primo, i sostenitori della linea dura hanno conquistato notevole potere all’interno del governo, tanto che personaggi di grande autorità, come Mohammed Khatami e la sua cerchia, sono stati marginalizzati e forzati a passare all’opposizione. Secondo, le divisioni e le spaccature all’interno del regime sono diventate di dominio pubblico. Certo, anche dieci anni fa i religiosi erano divisi; ma ora queste rivalità interne sono diventate molto più feroci”. Le moschee di Teheran dimostrano concretamente questo sviluppo: “La scorsa estate abbiamo visto come la preghiera del venerdì sia diventata a Teheran la piattaforma da cui l’opposizione esprime le proprie rimostranze e, viceversa, da cui il regime cerca di diffondere la propria propaganda. Era una cosa che non si era mai vista prima, almeno non fino a questo livello. Il fatto che queste spaccature interne siano diventate di dominio pubblico è importante non solo per l’occidente, che ora può vedere con i propri occhi le falle all’interno del sistema, ma anche per gli stessi iraniani, perché offre la speranza che le cose Yapossano cambiare. Infine, bisogna tenere conto della militarizzazione della società iraniana, nella quale le Guardie della Rivoluzione stanno diventando la forza più potente del paese, scavalcando gli stessi militari, il clero e il presidente. Questa è sempre stata l’ultima opzione di Khamenei, e ora la vediamo diventare realtà. All’interno delle Guardie si sta formando un intelligence team che riferirà direttamente a Khamenei e non al ministro dell’Interno. In altre parole, Khamenei sta cercando di creare un’istituzione ombra che riferisca direttamente a lui, scavalcando altre istituzioni storicamente legate indissolubilmente al sistema”. Che cosa succederà dopo, dal momento che per motivi di salute Khamenei deve pensare alla sua successione? “Il grande interrogativo – dice al sistema”. Che cosa succederà dopo, dal momento che per motivi di salute Khamenei deve pensare alla sua successione? “Il grande interrogativo – dice Abdo – è se l’Iran sarà governato da un apparato delle Guardie della Rivoluzione o se invece si affermerà lo scenario immaginato da Ali Hashemi Rafsanjani, ossia quello di un consiglio di esperti o di una leadership fondata sul consenso. Appare improbabile che il paese continuerà a essere governato dagli stessi infami personaggi che hanno mantenuto il potere per gli ultimi trent’anni, in quanto le Guardie della Rivoluzione avranno un’influenza molto più decisiva sulla forma della successione”. Il presidente Mahmoud Ahmadinejad ha un gruppo di fedelissimi che lo difende, ma ha dovuto eliminare molti nemici, frammentando ancora di più il potere in Iran. Abdo vive a Washington, è stata la prima giornalista americana inviata a Teheran dopo la crisi degli ostaggi all’ambasciata statunitense nel 1979. Per questo è molto attenta alle mosse della leadership americana. Abdo sottolinea che Barack Obama ha capito che il negoziato con il regime di Teheran è fallito e ora vuole reagire con più durezza: molti chiedono più attenzione ai diritti umani, soprattutto dopo che – ricorda Abdo – “il dipartimento di stato ha tagliato i fondi per tre organizzazioni che svolgevano ricerche sull’Iran, una delle quali è l’Iran Human Rights Documentation Center della Università di Yale. Il governo ha deciso di tagliare i fon di a tutte le organizzazioni che potrebbero essere considerate dagli iraniani come organi per la promozione della democrazia o addirittura di un completo cambio di regime nel paese”. Ma perché? “L’approccio iniziale dell’Amministrazione Obama è stato quello di non dare all’Iran la possibilità di sostenere che gli Stati Uniti interferiscano negli affari interni del paese. Obama aveva detto che gli Stati Uniti sono disposti ad avere colloqui con chiunque, e sono pronti a riconoscere i governi al potere senza giudicare se siano legittimi oppure no. La sua posizione si fondava sui seguenti assiomi: a) non ci schieriamo in questo conflitto perché non sappiamo quale possa esserne l’esito; b) dobbiamo negoziare con il governo al potere, e in questo momento alla guida del governo ci sono Mahmoud Ahmadinejad e Ali Khamenei”. Poi qualcosa è cambiato, la leadership iraniana ha snobbato sprezzante ogni mano tesa, la Casa Bianca ha capito che che così non va, anche perché la repressione in Iran è sempre più feroce. Molti però sostengono che Obama si comporti come se la Repubblica islamica avesse già la bomba atomica. “Questa è senza dubbio la posizione di Gary Samore, ex vicepresidente del Council on Foreign Relations, che si occupa da anni del programma nucleare iraniano – spiega Abdo – Samore è convinto che l’Iran abbia già la bomba o sia ormai vicinissimo ad averla e che perciò bisogna passare al piano B. Samore è ascoltato da Obama sulle questioni nucleari, e ha una forte influenza sull’atteggiamento degli Stati Uniti nei confronti dell’atomica iraniana”. Abdo pensa che sia impossibile impedire che l’Iran diventi una potenza nucleare. “La cosa più saggia per gli Stati Uniti e l’Europa sarebbe cercare di trovare un modo concreto per limitare i danni di questo inevitabile esito, sia sul piano delle capacità iraniane sia su quello delle sue intenzioni”.

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