Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 04/02/2010, a pag. 8, l'articolo di Claudio Gallo dal titolo " Teheran lancia un razzo spaziale. Gli Usa: provocate ". Da REPUBBLICA, a pag. 9, gli articoli di Pietro Del Re e Giampaolo Cadalanu titolati " Teheran: Basta interferenze in Iran " e " Giallo sui progetti petroliferi l´Eni: rispettiamo impegni già presi ". Dal GIORNALE, a pag. 17, l'articolo di Marcello Foa dal titolo " E per fermare il potere di Pechino la Casa Bianca tratta con Teheran ". Ecco i pezzi:
La STAMPA - Claudio Gallo : " Teheran lancia un razzo spaziale. Gli Usa: provocate "

Sembra uno schema diabolico: quando l’opposizione attira troppo l’attenzione, com’è successo per le dichiarazioni di fuoco di Mousavi contro «il regime dittatoriale», ecco che Teheran dice il suo «a me gli occhi»: spara qualche bengala legato più o meno apertamente al programma nucleare e i riflettori dei media si volgono per riflesso condizionato. La storia che ha rubato i titoli ai verdi è una favola triste: un topo, due tartarughe e una manciata di vermi sparati su un razzo nello spazio per «scopi scientifici». Ma nell’Iran, a torto o a ragione accusato di volersi costruire l’atomica, non è soltanto una stralunata citazione di La Fontaine.
Il ministro degli Esteri francese Kouchner è stato didascalico: «I vettori spaziali e i vettori militari utilizzano la stessa tecnologia. I Paesi non devono contribuire, con il loro programma spaziale, alla diffusione di missili che possono essere convertiti per il trasporto di armi di distruzione di massa». Il Dipartimento di Stato americano ha digrignato i denti e offerto la mano. «Un lancio di questo tipo - ha commentato un portavoce - è una provocazione. Ma Obama crede ancora che non sia troppo tardi perché l’Iran venga al tavolo con la comunità internazionale e rispetti i suoi impegni».
Il ministro della Difesa Ahmad Vahisi ha detto alla tv di Stato che il razzo si chiama Kavoshgar-3, Esploratore-3 in persiano, ma non ha dato spiegazioni né sul vettore né sugli scopi di ricerca. Negli ultimi due anni, l’Iran ha sparato un paio di razzi nello spazio che portavano apparecchiature per raccogliere informazioni sui venti e sulle temperature. Un anno fa era stato lanciato il primo satellite iraniano: Omid, speranza. La sua missione si è conclusa dopo 40 giorni di orbita. I razzi iraniani sono tutti in qualche modo derivati dai quelli nordcoreani. Una tecnologia non particolarmente avanzata: il satellite Omid misurava 40 centimetri quadri e pesava 27 chili. Ieri però Ahmadinejad ha presentato un nuovo tipo di vettore, il Simorgh che sarebbe capace di portare un satellite di cento chili.
Sul fronte nucleare, resta la prudenza dei governi di fronte all’ennesima piroetta di Ahmadinejad che ha detto in un’intervista che il governo si è deciso a fare arricchire il proprio uranio all’estero, così come chiedeva l’Aiea. Le dichiarazioni di Angela Merkel sintetizzano quelle degli altri partner occidentali: «Giudicheremo sulla base delle azioni che seguiranno». Favorevoli ma sospettosi. L’Aiea infatti ha subito chiarito di non essere ancora stata contattata da Teheran.
Alcuni particolari tuttavia non tornano, sollevando il dubbio che Ahmadinejad voglia solo prendere tempo per evitare nuove sanzioni: ha detto di essere disposto a cedere l’uranio per 4-5 mesi mentre gli esperti concordano sul fatto che il tempo tecnico dell’operazione è di almeno un anno. Inoltre, non ha citato la quantità di uranio che intende inviare all’estero. L’accordo di Ginevra prevedeva il 70 per cento del magazzino.
Ieri il portavoce della commissione Esteri e Sicurezza nazionale del Parlamento iraniano, Kazem Jalali ha commentato le parole del presidente del Consiglio italiano in Israele: «Sono dichiarazioni che non potranno aiutare a risolvere i problemi, ma al contrario li renderanno più complicati». E il direttore dell’Agenzia nazionale iraniana per il petrolio, Seifollah Jashnsaz ha smentito l’Eni che sostiene di aver in corso soltanto attività legate a vecchi contratti del 2000 e 2001. «I negoziati con l’Eni - ha detto Jashnsaz - per la terza fase di sviluppo del giacimento petrolifero di Darkhovin» sono tuttora in corso».
Mentre l’Iran incorreva negli strali di Berlusconi, la Turchia diceva ieri di voler aprire «un’età dell’oro» nelle relazioni con l’ingombrante vicino. L’obbiettivo è di portare ad almeno 30 miliardi di dollari il volume dell’interscambio. Il ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoglu ha detto che c’è spazio per una soluzione diplomatica del nodo nucleare iraniano. Parole che echeggiano quelle del collega cinese Yang Jiechi: «Proseguire il dialogo». Ieri il generale americano più duro con Teheran, David Petraeus, ha ammesso che un raid contro l’Iran «potrebbe avere la conseguenza indesiderata di cementare intorno al nazionalismo il consenso per il governo».
La REPUBBLICA - Pietro Del Re : " Teheran: Basta interferenze in Iran "

Ogni volta che sente la presenza di una mano straniera, l´Iran si chiude a riccio. Così il portavoce della commissione Esteri del parlamento di Teheran, Kazem Jalali, ha risposto alle parole pronunciate da Silvio Berlusconi alla Knesset, dove il presidente del Consiglio aveva esortato la comunità internazionale a sostenere l´opposizione in Iran, invocando sanzioni per impedire agli ayatollah di dotarsi dell´arma nucleare. «La sua è una aperta interferenza negli affari interni di un Paese indipendente», ha tuonato Jalali. «Sono dichiarazioni che non potranno aiutare a risolvere i problemi, ma al contrario li renderanno più complicati».
Sulle affermazioni di Berlusconi riguardo la pericolosità dell´Iran a livello internazionale, in particolare per il suo programma nucleare, Jalali ha detto che ciò rientra in «una propaganda dei Paesi occidentali per creare un clima di "Iranofobia" nella regione al fine di soddisfare il regime sionista, cioè Israele». La Repubblica islamica non è un pericolo, ha aggiunto il portavoce, né rappresenterà un pericolo per la comunità internazionale o la regione.
Due giorni fa, il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad era intervenuto a sorpresa sulla questione del nucleare sostenendo che l´Iran è pronto a far arricchire in paesi terzi parte del suo uranio, così come proposto dalle Nazioni Unite. Immediata la reazione dell´Ue, che si è detta disposta a dare credito alle aperture di Teheran: il capo della diplomazia europea Catherine Ashton ha insistito sulla linea della prudenza raffreddando l´impeto degli Stati che vorrebbero una nuova stretta sulle sanzioni, mentre Gran Bretagna, Francia e Germania hanno immediatamente sollecitano gli iraniani a ritornare al tavolo dei colloqui e a comunicare al più presto all´Agenzia Aiea l´annunciata disponibilità a cooperare con la comunità internazionale.
È dunque in questa sia pure fragile speranza per una ripresa dei negoziati che è arrivato il discorso di Berlusconi, in cui il premier è tornato a invocare "sanzioni efficaci" contro Teheran. «Parole pronunciate solo per fare contento il regime sionista», ha commentato il portavoce Jalali.
Sempre ieri, l´Iran ha lanciato con successo un razzo vettore per satelliti di fabbricazione autarchica, il Kavoshgar-3, con agganciata "una capsula sperimentale". Da quanto annunciato dalla tv di stato, che ha trasmesso le immagini del lancio e del distacco della capsula che è entrata in orbita, il razzo è in grado di ritrasmettere "dati empirici". A bordo del Kavoshgar (esploratore) sono stati caricati, per la prima volta, anche animali vivi: un topo, vermi e tartarughe.
In tv il presidente Ahmadinejad ha poi svelato alla stampa tre nuovi satelliti e un nuovo razzo, il Simorgh, in grado di trasportare un satellite di 100 chili in un´orbita di 500 chilometri dalla terra. Intanto, per l´11 febbraio, nel giorno del 31mo anniversario della fine della rivoluzione khomeinista, sono attese nuove manifestazioni dell´opposizione. Mehdi Karroubi ha esortato i suoi sostenitori a scendere in piazza. Ma stavolta a farlo con «calma e fermezza, con pazienza e senza violenze fisiche e verbali».
La REPUBBLICA - Giampaolo Cadalanu : " Giallo sui progetti petroliferi l´Eni: rispettiamo impegni già presi "

ROMA - Più che mettere in imbarazzo gli ayatollah, l´uscita israeliana di Silvio Berlusconi, sulla necessità di rompere con l´Iran, sembra aver creato scompiglio in patria. Il primo a ritrovarsi spiazzato è il ministro degli Esteri: appena pochi giorni fa Franco Frattini aveva invitato l´Europa a «non chiudere i ponti con l´Iran» e a «evitare sanzioni che possano offendere l´orgoglio nazionale degli iraniani». Per la Farnesina il rapporto con la Repubblica islamica è prezioso: perché dà all´Italia un peso diplomatico in ogni tipo di trattativa che coinvolge Teheran, e poi perché da quei canali aperti dipende in parte anche la sicurezza dei militari italiani schierati a Herat, nella zona dell´Afghanistan più esposta all´influenza dei religiosi sciiti d´oltre confine.
Ma inevitabilmente l´annuncio di un ridimensionamento di quei rapporti tocca anche i protagonisti economici, in primo luogo l´Eni. L´azienda a partecipazione statale ieri si è limitata a ricordare che «al momento ha in corso in Iran attività legate ai contratti firmati nel 2000 e nel 2001. Non sono stati firmati nuovi contratti». Silenzio assoluto sulle dichiarazioni del viceministro iraniano del petrolio, Seifollah Jashnsaz, il quale con l´agenzia Irna aveva parlato di negoziati in corso con la compagnia italiana sullo sviluppo della terza fase dello sviluppo del giacimento di Darquain. Il premier aveva parlato espressamente di rinuncia alla possibilità di sviluppare «la terza fase di un importante giacimento».
L´impegno dell´azienda italiana è tutt´altro che trascurabile. Il petrolio iraniano estratto in quota Eni è pari a 28 mila barili al giorno: in percentuale è una cifra modesta (circa l´1,5 per cento dell´intera produzione dell´ente italiano, pari a 1.787 mila barili), ma gli esperti sottolineano che con il petrolio in diminuzione ogni ritocco alle quote attuali, anche minimo, rischia di mettere in serie difficoltà il bilancio energetico dei paesi sviluppati. In più, l´Iran può contare su riserve ancora da sfruttare fra le più ricche del mondo: annunciare in anticipo la rinuncia a quei giacimenti equivale a ipotecare sin d´ora una scelta futura, legata a esigenze tutte da valutare.
L´Eni è presente in Iran da oltre cinquant´anni. La produzione è garantita principalmente dai due giacimenti South Pars 4&5, nell´offshore del Golfo Persico, e Darquain nell´onshore. Da questi due giacimenti nel 2008 è stato estratto il 91 per cento della produzione iraniana dell´Eni. Un´altra partecipazione minore della compagnia italiana è nel giacimento di Dorood.
Ma la presenza delle aziende italiane nel paese degli ayatollah non si limita al colosso dell´energia: in Iran operano gruppi industriali come Tecnimont, Edison, Ansaldo, Fiat, Danieli, oltre a numerose compagnie medio-grandi. La presenza è talmente diffusa - si parla di un migliaio di aziende - che qualche settimana fa il Wall Street Journal ha parlato apertamente di "Asse Roma-Teheran", sottolineando che anche i militari iraniani si servono di tecnologia italiana. È il caso dei satelliti del progetto Mesbah, destinati formalmente alle comunicazioni ma facilmente convertibili per scopi bellici, fra cui per esempio un eventuale puntamento di missili nucleari. Il giornale economico contesta anche la fornitura di camion e barche, perché già riconvertiti per altri utilizzi. I camion gru dell´Iveco, per esempio, sono utilizzati per le impiccagioni.
Se il disimpegno dall´Iran sia un programma preciso o solo un progetto ancora da definire se lo è chiesto anche Alessandro Maran, vicepresidente del gruppo democratico alla Camera, che ha chiesto al premier di chiarire le sue dichiarazioni. «Purtroppo è una vecchia abitudine di Berlusconi», sottolinea Maran, «dice sempre quello che gli interlocutori si aspettano di sentire».
Il GIORNALE - Marcello Foa : " E per fermare il potere di Pechino la Casa Bianca tratta con Teheran "

La solita sceneggiata iraniana o, più probabilmente, l’indizio concreto di una svolta, negoziata in gran segreto con gli Stati Uniti nel quadro della nuova grande sfida strategica: quella che oppone Washington a Pechino.
I fatti, innanzitutto. L’altra sera il presidente Mahmoud Ahmadinejad ha annunciato, in un’intervista tv di essere pronto a far arricchire all’estero gran parte dell’uranio prodotto in Iran, come proposto dalle Nazioni Unite. Non è la prima volta che Teheran si dice pronta a concessioni, che dopo un po’ ritratta. È possibile, data l’imprevedibilità del regime iraniano, che finisca così anche questa volta; ma un’analisi accurata della situazione avvalora l’ipotesi di una svolta, considerando innanzitutto un elemento che la stampa internazionale non ha colto. La coscienza pubblica è ferma alle consuete schermaglie verbali e diplomatiche tra i due Paesi. In realtà da settimane gli emissari americani stanno trattando nell’assoluto riserbo con quelli iraniani, come ha rivelato il sito Politico. La trattativa verte sul nucleare, ma in realtà ha ambizioni più ampie ed è ispirata alla lettera che Barack Obama inviò alla Guida Suprema Ali Khamenei pochi giorni dopo il suo insediamento, nella quale offriva trattative senza condizioni su tutto, allo scopo di aprire una nuova era nelle relazioni tra i due Paesi. La rivolta degli studenti iraniani ha bloccato per molto mesi il dialogo, imbarazzando la Casa Bianca. Ahmadinejad era convinto che la ribellione fosse stata preparata dalla Cia. E Washington ha dovuto faticare non poco per dimostrare la propria estraneità. Se ci fossero stati i servizi segreti americani dietro gli studenti, la protesta non si sarebbe spenta rapidamente, ma avrebbe assunto un peso politico che non è mai riuscita ad avere. L’incidente che avrebbe potuto affossare il dialogo tra i due Paesi è diventato il perno sul quale costruire un nuovo rapporto. Avendo avuto la prova che Washington non vuole rovesciare il regime fondamentalista sciita, Khamenei ha dato il via libera al negoziato.
Ed è in questo contesto che è maturata l’apertura di Ahmadinejad sull’arricchimento dell’uranio, accolta positivamente da Washington. Il Dipartimento di Stato inizialmente l’ha respinta, ma dopo pochi minuti la Casa Bianca ha corretto il tiro, dicendosi «pronta ad ascoltare la nuova proposta», ed evitando di alzare la voce sul test missilistico avvenuto ieri. Nessuno può prevedere fino a che punto si spingeranno Iran e Stati Uniti, ma non è difficile capire le ragioni della svolta americana. I motivi di fondo dell’ostilità verso Teheran, a cominciare dalla preoccupazione per la sorte d’Israele, sono immutati, ma diventano secondari in un contesto più ampio: quello della grande guerra strategica con la Cina. Che c’entra Teheran con Pechino? C’entra, eccome. Perché l’Iran è uno dei suoi tre grandi fornitori di gas e petrolio nell’ambito di una collaborazione che sembrava destinata a intensificarsi. Non è un caso che Pechino abbia impedito l’adozione di nuove sanzioni da parte dell’Onu: proteggeva il suo fornitore energetico.
Washington mira a strappare Teheran alla sfera di influenza cinese, mettendo sul piatto un accordo ben più allettante dei milioni di remimbi promessi da Pechino: l’accesso al mercato mondiale e la revoca di tutte le restrizioni internazionali, che hanno portato l’economia iraniana al limite dell’asfissia. La rivolta degli studenti è il segnale di un malcontento profondo, che non potrà essere represso in eterno. Khamenei, Ahmadinejad e i loro consiglieri sono consapevoli che per restare al potere devono dare respiro alla popolazione, composta per lo più da giovani. E considerano la soluzione americana: permetterebbe all’Iran di rimanere una Repubblica islamica, agganciata però al grande carro dell’economia mondiale. Un piano che irrita la Cina.
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