Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 04/02/2010, a pag. 6, l'analisi di Fiamma Nirenstein dal titolo " L’amore di Israele per Silvio? Lui sfida il politically correct ". Da LIBERO, a pag. 17, il commento di Angelo Pezzana dal titolo " Il successo di Silvio va di traverso a chi odia Gerusalemme", a pag. 18, l'analisi di Carlo Panella dal titolo " Silvio sempre più israeliano. Giusto attaccare Hamas ". Dal FOGLIO, in prima pagina, la rubrica dal titolo " Andrea's version ", a pag. 3, l'articolo di Carlo Panella dal titolo " Inserire i pasdaran sulla lista nera. Da lì passa la pace in Medio Oriente e a Teheran ". Dall' OPINIONE, l'articolo di Michael Sfaradi dal titolo " Berlusconi ha visto i dossier segreti sul nucleare iraniano prima del suo discorso alla Knesset ". Pubblichiamo il commento di Deborah Fait dal titolo " Non siamo più 'un piccolo paese di merda' ", seguito dal testo del discorso di Silvio Berlusconi alla Knesset. Ecco i pezzi:
Il GIORNALE - Fiamma Nirenstein : " L’amore di Israele per Silvio? Lui sfida il politically correct "
Fiamma Nirenstein
«Ma perché non resta da noi, cosa ha da fare in Italia?» ha esclamato il conduttore del telegiornale del Canale statale tv dopo aver parlato ieri di Berlusconi. «Dopo tre giorni con lui devo dirlo: è uno charmeur irresistibile» ha ripetuto il giornalista del secondo canale. Ma addirittura Shimon Peres lo ha definito Shimshì, solare, nel discorso alla colazione in cui ha anche suggerito in maniera semplice e diretta al leader italiano che «la stampa chiacchiera ma gli elettori scelgono». «Lei ci ha scaldato il cuore» ha sorriso Peres durante la colazione di saluto di ieri, e non si riferiva alla indubbia simpatia che il Premier italiano ha suscitato, ne alla storiella che ha raccontato, ma soprattutto alle prese di posizione sostanziali e coraggiose di Berlusconi in tutte le occasioni in cui si è espresso, e in particolare durante l’intervento alla Knesset. Berlusconi è stato diverso da tutti i leader europei, non ha cercato di insegnare niente a nessuno ma ha offerto la sua stima e la sua mediazione a un Paese che, ha detto, «bisogna ringraziare per il solo fatto di esistere». Non ha lasciato che restasse un esercizio retorico il titolo di «migliore amico di Israele» e la vicenda commovente della madre Rosa che salvò una donna ebrea, parte del discorso di benvenuto di Bibi Netanyahu: in una giornata in cui i nemici si sono fatti vivi in tutti i modi, con minacce di guerra da parte della Siria e con grosse bombe affidate al mare, probabilmente da Hamas, per esplodere sulle spiagge e sulle navi israeliane facendo stragi, ha fornito a Israele svariati motivi per sperare di essere compreso e di poter trovare sostegno alla ricerca di una pace che non sia tutta sulle sue spalle, in più condita da riprovazione come spesso fanno i leader europei. Berlusconi ha aperto una strada seria, ha fornito un esempio innovativo all’atteggiamento europeo, perché mentre ha lodato Netanyahu per aver scelto la strada di «due Stati per due popoli», nel contempo ha anche scelto di pronunciare cinque volte l’espressione di pieno riconoscimento di Israele, denominandolo con affetto per quello che è, «lo Stato ebraico», ciò che non lascia spazio alle ambiguità per cui in genere molti europei lasciano aperta, con molti palestinesi che sognano in un futuro in cui la demografia o lo scontro cancellino Israele, la vera soluzione definitiva. Berlusconi l’ha detto chiaramente: uno Stato Palestinese accanto a uno Stato Ebraico, in cui cioè vive la Nazione, non solo la religione ebraica. E di fatto i religiosi in Israele sono circa il 15 per cento. Il riconoscimento di Israele come Stato Ebraico fu nel discorso di Netanyahu a Bar Ilan sui «due Stati» la condizione per arrivare a concessioni territoriali decisive, e per ora nessun leader arabo ha mai pronunciato l’espressione. È evidente la scelta pedagogica di Berlusconi verso i palestinesi e i Paesi arabi insieme alla promessa di aiutare ogni iniziativa che renda migliore la vita dei palestinesi.
Altro tema fondamentale su cui Berlusconi ha detto cose decise e concrete: l’Iran. Berlusconi ha collegato l’impegno dell’Italia contro il programma atomico dell’Iran alla evidente intenzione genocida di Ahmadinejad, si è identificato senza esitazione con la preoccupazione fatale di Israele e ne ha dimostrato l’evidenza nel negazionismo iraniano, di cui ha parlato con orrore. Le scelte pratiche sono state enunciate in modo concreto: sanzioni molto dure, progressiva restrizione del business con l’Iran che ha assicurato essere già diminuito di un terzo e l’apertura di un lavoro per mettere nella lista Ue delle organizzazioni terroriste le Guardie della Rivoluzione.
Di grande importanza per l’opinione pubblica israeliana è che l’Italia abbia un curriculum speciale nell’aver preso posizione senza paura contro i più terribili momenti di aggressività ideologica, di diffamazione autentica nei confronti di Israele. Berlusconi ne ha elencato i momenti più importanti: l’Israel Day quando Israele era tartassata da un terrorismo micidiale, il «no» alla partecipazione alla conferenza detta di Durban 2 «inaccettabile» ha detto il premier nelle sue calunnie di Israele, e di nuovo il «no» al rapporto Goldstone, che di fatto impedisce a Israele di esercitare ogni diritto all’autodifesa. È stato molto importante e innovativo, nessun Paese aveva mai tanto aiutato Israele a sentirsi un Paese normale di fronte all’opinione pubblica, a una logica degna di questo nome, quella che ti consente di difenderti se ti vogliono uccidere. Israele è ossessionato dalla continua fioritura di calunnie e d accuse insensate nei suoi confronti: Stato di apartheid, razzista, sterminatore di civili, uccisore di bambini... Berlusconi ha fatto piazza pulita dei luoghi comuni antisemiti che in genere vengono ignorati per convenienza politica e per compiacere le maggioranze automatiche dell’Onu. Berlusconi ha insomma rifiutato il politically correct che impone di dare un colpo al cerchio e uno alla botte, che pretende sempre di tirare qualche stilettata a Israele per affibbiarle tutte le responsabilità mentre i palestinesi vengono assolti. A loro ha promesso un piano Marshall e ha chiesto di rinunciare alla violenza, oltre che di sedersi di nuovo al tavolo delle trattative.
E ha insistito nel riproporre un suo sogno che potrebbe finalmente fornire a Israele il suo naturale ambiente culturale, quello delle democrazie partorite dalle civiltà giudaico cristiana: la Comunità Europea. Berlusconi pensa che Israele se lo meriti. Il problema è se lo merita l’Europa. Ma questo Berlusconi non l’ha detto.
www.fiammanirenstein.com
LIBERO - Angelo Pezzana : " Il successo di Silvio va di traverso a chi odia Gerusalemme"

Angelo Pezzana
La visita di Silvio Berlusconi in Israele e il discorso di ieri alla Knesset devono aver mandato all’aria la digestione degli odiatori abituali dello Stato ebraico, un club dalla lunga tradizione, almeno dal 1948, i cui aderenti sono una perfetta rappresentazione bipartisan dell’odio antico verso gli ebrei. Quell’accoglienza, quegli applausi, quelle ovazioni, devono essere state altrettante fitte al cuore di chi augurava al Cavaliere un insuccesso. Invece Berlusconi ha dato prova di aver capito in quale situazione si trova Israele, esprimendo le sue valutazioni con il linguaggio abituale, forte e diretto, che ha trovato subito il consenso degli israeliani, che molto ci assomigliano in quanto a parlar chiaro. Che stizza sentire che la Knesset è il simbolo stesso della democrazia, quando è così comodo far finta che Israele sia il paese dell’Apartheid, che fastidio quel richiamo alle leggi razziali del ’38, quando lamaggior parte delle forze politiche autonominatesi democratiche e antifasciste dopo la Liberazione erano state in silenzio quando venivano approvate, che rabbia sentire Bibi che lo chiama grande leader coraggioso, che invidia per quelle 12 interruzioni con applausi scroscianti, e poi Israele, una presenza intollerabile per i fanatici di tutto il mondo, chissà quanti avranno cercato di non sentirsi in quella categoria. E Ahmadinejad paragonato a Hitler, mentre i fautori del dialogo ad oltranza sono anni che ci rimproverano l’accostamento. E il problema della sicurezza, un aspetto di solito dimenticato dai sapientoni che si preoccupano soprattutto che i controlli ai check point non siano troppo rigidi, anche se hanno ridotto a zero gli attentati del terrorismo palestinese. Per Berlusconi è stato un punto fondamentale del suo discorso, definendo la difesa di Israele un imperativo morale per tutti. Se questa volta Abu Mazen, che ha incontrato Berlusconia Betlemmenon approfitterà dell’oc - casione, unica e credo ultima, che gli si presenta per uscire dall’intransigenza fin qui dimostrata, allora si metta il cuore in pace, dica addio allo Stato palestinese se pensa che l’unico modo per averlo sia costruirlo al posto di Israele. Troverà, è vero, sempre appassionati difensori, come è accaduto sino ad oggi, nei media internazionali, dove gli “esperti” hanno quasi tutti la tessera del club degli odiatori, ma il risultato sarà sempre lo stesso. IeriRepubblica, seguendol’abituale linea dei giornali dell’Ing. Carlo de Benedetti, ha affidato a Sandro Viola il compito di buttare acqua sul fuoco del successo berlusconiano, inunpezzo dal titolo “Chi vuole la pace”, nel quale si spiega che è Israele a non volerla, mentre i palestinesi non sognano altro. Che Israele viva il suo momento migliore dallo scoppio della prima intifada, che la sua difesa si sia rafforzata, che l’econo - mia vada a gonfie vele, che il turismo sia tornato ai livelli del 2000, che il suo high-tech sia fra i primi nel mondo, tutti citati da Viola, in realtà sono per lui la spiegazione del perduto interesse verso la pace, che interesserebbe ormai solo più il20% della popolazione. Un sondaggio di sua invenzione, che contraddice quanto tutti sanno, gli isareliani, pur di avere la pace, sono disposti ai sacrifici più alti, come dimostrano gli accordi con Egitto e Giordania. Berlusconi la smetta, scrive Viola, di definire Israele «paese leader per la libertà e la pace», perché, spiega il grande esperto «non è vero, e perché è inaccettabile per gli interlocutori palestinesi ». Viola, e gli altri iscritti al club, si diano una calmata, il colpo più duro lo riceveranno, ancora una volta, proprio da Berlusconi, se gli riuscirà, come ci auguriamo, di far ragionare Abu Mazen e l’Anp, un’impresa quasi impossibile, finora, per tutti quelli che ci hanno provato.Ese il Cavaliere ci riuscisse ?
LIBERO - Carlo Panella : " Silvio sempre più israeliano. Giusto attaccare Hamas "

Abu Mazen con Silvio Berlusconi
Silvio Berlusconi ha rotto con energia e sincerità il clima buonista che da un anno circonda con critiche l’operazione “Piombo Fuso” con cui l’esercito israeliano nel gennaio del 2009 colpì tutte le basi di Hamas che da anni lanciavano razzi - e facevano morti tra i civili - verso Ashkelon e altre città israeliane, dichiarando che fu “giusta”. Ha fatto di più, ha detto con chiarezza che l’Italia si è opposta in sede Onu al rapporto Goldstone - che criticava duramente l’esercito di Gerusalemme - «perché Israele dispiegò una giusta reazione ai missili di Hamas». In questa definizione “giusta reazione” vi è tutta la distanza che separa chi, come Berlusconi e il suo governo, ritiene che sia indispensabile una risposta ferma al terrorismo - e quei razzi di Hamas questo erano - mentre l’ipocrita definizione di “reazione spropositata”, che fu di D’Alema e di altri governi europei, non solo isola pericolosamente l’uni - ca democrazia del Medio Oriente, ma sottintende anche una disposizione a colloquiare con i terroristi, anche quando rifiutano ogni dialogo (che Israele tentò per mesi, prima di lanciare Piombo Fuso). Tutto questo - è una caratteristica tipica del premier - mantenendo alta la pietà nei confronti delle vittime palestinesi, così che poche ore dopo, lo stesso Berlusconi a Ramallah, dopo il colloquio con Abu Mazen ha voluto continuare così il suo ragionamento: «Come è stato giusto piangere le vittime della Shoah così è giusto manifestare dolore per quanto che è successo a Gaza». Rabbiosa, ovviamente, la reazione di Hamas, che per bocca di Salah al Bardawil ha dichiarato che «l’estremismo di Berlusconi su Gaza e Piombo Fuso, è più grave di quello della leadership israeliana e giova al terrorismo di stato esercitato dall'occupante sionista». Ovviamente, l’avallo da parte del premier italiano all’operazione più discussa dell’esercito israeliano, non è stata molto gradito da Abu Mazen (il suo consigliere Nemer Hammad ha ribadito che «quella di Gaza fu un’aggressione»), ma questo non ha influito sull’andamento del vertice italo-palestinese perché Berlusconi, definito da Netanyahu «il leader europeo più amico di Israele», ha anche difeso con forza in questi giorni con i leader israeliani e alla Knesset la richiesta - che è di AbuMazen - di un congelamento degli insediamenti israeliani in Cisgiordania per permettere l’apertura di un nuovo round negoziale. Sta qui la grande innovazione della politica estera italiana operata da Berlusconi rispetto al passato (che vedeva Roma spesso equivocamente “equidistan - te”) e rispetto a quella di molti paesi europei: solidarietà totale con Israele, riconoscimento della dolorosa necessità di una risposta anche armata al terrorismo, quando ogni strada negoziale sia preclusa, ma anche fermissimo richiamo a Israele perché sappia fare rinunce, con rafforzamento evidente delle posizioni negoziali della parte palestinese. Berlusconi, poi, è uno dei pochi leader mondiali che insiste da anni per incentivare i palestinesi ad un accordo, proponendo un piano Marshall che convogli in Palestina centinaia di miliardi e che «possa favorire lo sviluppo e il progresso economico della Terra Santa e possa offrire un’ulteriore spinta per far ripartire i negoziati, perché non c’è pace senza benessere». Nel corso del vertice, Berlusconi ha anche incitato Abu Mazen a sottrarsi all’alta - lena di dichiarazioni sulle elezioni palestinesi da tenersi da qui a breve (che il presidente dell’Anp ha indetto, e poi sconvocato), seguendo un percorso più coraggioso e proficuo: «Abu Mazen raggiunga prima con gli israeliani un accordo che gli pare conveniente per il suo popolo e solo dopo lo renda pubblico per essere sottoposto al referendum dei cittadini palestinesi».
INFORMAZIONE CORRETTA - Deborah Fait : " Non siamo più 'un piccolo paese di merda' "

Deborah Fait
Permettetemi di ridere.
Qui in Israele abbiamo passate tre giorni camminando a un metro da terra, eravamo tutti sulla nuvoletta con un sorriso beato sul volto, soprattutto noi di origine italiana abituati a vergognarci e a morire di rabbia per l'odio italiano per Israele, odio durato 40 e piu' lunghi anni.
Questi tre giorni della visita di Berlusconi in Israele ci hanno fatto sognare.
Perche' rido?
Rido perche' i sinistri italiani, verdi di rabbia, stanno facendo il nostro lavoro, il lavoro di noi giornalisti quando i loro esponenti politici sputtanavano Israele. Loro ridevano e noi che amavamo Israele scrivevamo con vergogna e dolore le parole di odio degli esponenti della sinistra Italiana.
Rido perche' , oggi, sono loro, i sinistri, a dire "Ecco, Berlusconi ha detto che dovete restituire il Golan. Non protestate? Ecco Berlusconi ha detto che e' giusto addolorarsi per le vittime di Gaza dopo aver pianto per le vittime della Shoa'. Perche' non protestate per il paragone?"
Io rido perche' a queste persone non interessa niente degli ebrei e mettono in evidenza gli scivoloni di Berlusconi per puro odio contro di lui, non per amore e rispetto per gli ebrei, vivi o morti.
Per questo rido, perche' sono falsi e ipocriti.
La frase incriminata detta a Betlemme davanti a Abu Mazen per ovvi motivi e' stata , azzardo, probabilmente concordata con Bibi perche' in Israele nessuno si e' meravigliato o si e' scandalizzato per quelle parole, chiaramente diplomatiche, chiaramente politicamente corrette.
Berlusconi era circondato da palestinesi, doveva dire forse "delle vostre vittime non ce ne frega niente?"
Ha fatto un discorso da politico scafato che esprime quello che sa cosa gli altri si aspettano da lui.
Allora, direte, ha fatto la stessa cosa anche con voi!
Ehhhhh No, vi rispondo, perche' qui Berlusconi ha pianto, si e' commosso, allo Yad va Shem si e' fermato davanti ad ogni fotografia o filmato, sinceramente sconvolto.
A Betlemme, davanti a Abu Mazen, era serio e compassato, molto freddo e professionale.
A Gerusalemme era come un fratello, rideva, piangeva, si divertiva, quando Rita, la miglior voce di Israele, ha cantato per lui nella residenza del Presidente Peres, Berlusconi era sinceramente ammirato e divertito e alla fine c'e' stato un abbraccio generale, tra lacrime, barzellette e sorrisi ed e' stato a questo punto che il giornalista che era presente ha esclamato "Ma perche' un uomo cosi' deve ritornare in Italia? Lasciatecelo qui!"
"Vi ringrazio di esistere" , ha detto Berlusconi nel suo discorso alla Knesset, " Ogni paese libero del mondo deve ringraziare per la vostra esistenza. Siete la dimostrazione che la democrazia e' possibile anche al di fuori dell'Occidente"
Cito a memoria perche' il suo discorso con le parole esatte lo trovate dovunque, voglio citare a memoria come il mio cuore ricorda le sue parole e per l'emozione che mi hanno dato: miele e dolcezza dopo aver sopportato tanto odio e amarezza.
Vi chiederete perche' tanta ammirazione per Berlusconi che in Italia odiano.
Facile, per noi Berlusconi e' come l' angelo della consolazione dopo aver avuto di fronte dei demoni per tanti e tanti anni.
I politici italiani della prima e seconda Repubblica hanno odiato e sbeffeggiato Israele al di la' di ogni limite.
Per Craxi Israele era il demonio combattuto dal novello Garibaldi e Mazzini, tutti e due insieme, uniti nel brutto corpo di Arafat.
Craxi e Andreotti , due leader tanto innamorati degli arabi da far fuggire dall'Italia gli assassini mandati da Arafat che avevano ammazzato italiani.
Occhetto e Lama che, maledicendo Israele, portavano Arafat , nel tripudio generale, ad Assisi, subito dopo gli attentati terroristici organizzati dal mostro palestinese.
La bara nera gettata da Lama e suoi seguaci davanti al Tempio Maggiore e pochi giorni dopo l'
assassinio di Stefanino Gay Tache' di due anni.
Agnoletto e Dalema che correvano ad abbracciare Arafat, prigioniero a Ramallah, mentre Israele veniva colpito da 25.000 attentati, dicendo alle telecamere che Israele, che stava morendo, era un paese nazista.
E i pacifinti? Ve li ricordate? Ricordate qualcuno di loro in Israele per solidarieta' mentre qua si moriva bruciati vivi colpiti da tritolo, palle d'acciaio e veleno per topi e chiodi, materiale che componeva le cinture dei kamikaze, ve li ricordate?
Io no.
Nessun pacifinto e' venuto in Israele.
Sono passati di qua, correndo da Arafat come cagnolini obbedienti, Oliver Stone e Saramango per urlarci "Nazisti".
E noi morivamo
E i nostri bambini venivano linciati , sbranati, smembrati e nessuno ha detto mai una parola di pieta' per noi.
Odio e nient'altro che odio.
Parliamo anche di qualcuno non italiano, ricordiamo Chirac che a Gerusalemme, mentre i soldati israeliani lo proteggevano, si e' messo a urlargli contro "Andate via di qua, questa non e' casa vostra"
E che dire dell'ambasciatore francese a Londra che descrisse Israele come "Un piccolo paese di merda"
Dopo tutto questo e tanto altro, non parlero' ancora dei cortei che apostrofavano Israele come il demonio e auspicavano la sua fine fisica, volete che l'amicizia e l'affetto di un Berlusconi non ci facciano sognare?
Ha detto due frasi sbagliate?
Si, gliele perdoniamo per tutte le altre parole sono state parole d'amore e di rispetto.
Berlusconi non e' il Messia, e' un politico e come tale puo' sbagliare ma noi israeliani lo amiamo perche' ricordiamo con brividi di disgusto e schifo chi nei suoi discorsi non riusciva a inserire nemmeno due parole, non due frasi, buone nei confronti di Israele.
Israele, come un bambino che viene sempre bastonato e preso a calci, nel momento in cui trova chi gli fa anche un sorriso, si sente in paradiso, si sente finalmente amato.
Questo e' il sentimento che ci fa provare Silvio Berlusconi e per questo io gli dico
"Grazie, Amico Presidente".
Il FOGLIO - Carlo Panella : " Inserire i pasdaran sulla lista nera.Da lì passa la pace in medio oriente e a Teheran"

Carlo Panella
Roma. Silvio Berlusconi ha lasciato più di una porta aperta alla clamorosa richiesta avanzatagli formalmente dal ministro degli Esteri di Israele Avigdor Lieberman di inserire i pasdaran iraniani nella lista delle organizzazioni terroristiche: “E’ una decisione che bisogna prendere a livello europeo e comunque serve una istruttoria approfondita. Stiamo riflettendo su misure individuali che, se adottate da Onu o Ue, potrebbero limitare la circolazione e la concessione di visti ai componenti di quella organizzazione”. Il rimando al contesto Ue – ben più probabile di quello Onu – è d’obbligo e segnala le ragioni per cui Israele ha scelto proprio il premier italiano per avanzare questa richiesta. Fu infatti Franco Frattini a ottenere nel secondo semestre del 2003, sotto presidenza dell’Ue di Silvio Berlusconi, che Hamas fosse inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche dell’Ue. Un risultato insperato, che ha poi segnato positivamente le relazioni tra l’Europa e Hamas, bloccando tutti i tentativi di legittimare in pieno, e di finanziare, il governo jihadista di Ismail Haniyeh a Gaza (a scapito peraltro della periclitante Anp di Abu Mazen). Se l’Italia, come è auspicabile, si farà portatrice in tutte le sedi internazionali di questa iniziativa, la forza politica di pressione delle sanzioni internazionali su Teheran prenderebbe tutt’altra piega. Innanzitutto perché centrerebbe in pieno un risultato urgente e coprirebbe una straordinaria mancanza: colpire i pasdaran significa infatti schierarsi in toto a fianco del movimento dell’Onda Verde e della prospettiva di regime change che questo persegue. Questo, sfuggendo peraltro al rischio di una “indebita ingerenza” di dichiarazioni di solidarietà agli oppositori che potrebbero rischiare di essere usate da Ahmadinejad e Khamenei per accreditare la tesi di manifestanti eterodiretti da Israele e Stati Uniti. Sono i pasdaran a dirigere la repressione nelle strade iraniane; sono i pasdaran a chiedere e ottenere le forche per gli arrestati. Sono i pasdaran infine, a fondere in un tutto unico una componente militare di base (sono volontari) e il “clero combattente”, quella parte della gerarchia religiosa che pratica il jihad. Certo, i pasdaran sono una struttura ufficiale delle forze armate iraniane e non è facile – per le inerziali cancellerie mondiali – compiere questo passo, dalle evidenti conseguenze dirompenti. Ma è proprio la loro storia a offrire tutte le motivazioni, anche formali, per compierlo. Un fatto per tutti: l’attuale ministro della Difesa di Teheran, Ahmad Vahidi, è stato comandante della “Forza al Qods”, l’unità responsabile delle operazioni estere che è oggi inseguito da mandato di cattura internazionale Interpol, quale mandante dell’attentato al centro ebraico di Buenos Aires del 18 luglio 1994, in cui furono sterminati 85 ebrei. Ancora, la Forza al Qods è al centro di molte operazioni terroristiche in medio oriente, dall’invio delle armi sequestrate sulla Karine A verso la Palestina nel gennaio 2002, all’attuale armamento di Hezbollah in Libano, agli innumerevoli attentati portati a segno in Libano dal 1983 al 2008 da Imad Mughnyeh (ucciso in un attentato a Damasco), comandante operativo all’estero della “Forza al Qods”. Ma oltre al palese schieramento a fianco dei manifestanti massacrati dai pasdaran nelle strade iraniane, oltre al riconoscimento del dato di fatto indiscutibile delle loro attività terroristiche all’estero, questa decisione avrebbe un impatto immediato proprio sullo sviluppo del programma nucleare e del programma missilistico. Tutte le strutture industriali e militari nucleari e balistiche iraniane infatti, non sono solo sotto il controllo operativo dei Pasdaran, ma in larga parte sono da loro controllate anche dal punto di vista azionario attraverso le Boyand, le Fondazioni che a loro fanno riferimento che hanno profittato delle privatizzazioni per incamerare le industrie e più alta tecnologia (i pasdaran controllano il 51 per cento della Azienda di telecomunicazioni). Seguendo infatti il modello dello stato nazista che intrecciava i corpi militari d’élite con il controllo azionario di larga parte dell’industria bellica (Konzern H. Goering Werke e WVHA delle Ss). Inserire i pasdaran nella lista delle organizzazioni terroriste sarebbe quindi un deterrente eccezionale per tutte le tante aziende, anche italiane- che aggirano con facilità con triangolazioni (ad esempio col Venezuela e la Bolivia alleate di Teheran), fornendo all’Iran materiale destinato ai programmi militari.
Il FOGLIO - " Andrea's version "
Dodici applausi scroscianti hanno interrotto il suo formidabile discorso. Una standing ovation finale come non se ne sentivano dai tempi di Davide contro Golia ha decretato il trionfo dell’Amor nostro alla Knesset. Tiè. Il popolo eletto è andato in brodo di giuggiole. La gente di Israele sorrideva al suo passaggio. I dirigenti del popolo gli hanno tributato omaggi e riconoscimenti. Benjamin Netanyahu, l’attuale leader, l’ha accolto rivolgendosi al “carissimo amico”, l’ha accompagnato con accenti commossi, si è congedato da lui pronunciando parole altissime: “Silvio, tu sei un grande leader coraggioso”. La dolce Tzipi Livni, dolce ma capace di durezze, gli faceva gli occhioni. La memoria storica del paese, il grande laburista diventato presidente, la ieraticità in persona, Shimon Peres, ha voluto esaltare il buon gusto degli italiani che lo votano e ha concluso con un elogio prezioso: “E’ il leader più solare che abbia mai conosciuto”. Il più solare. Da Sole, non da sòla.
L'OPINIONE - Michael Sfaradi : " Berlusconi ha visto i dossier segreti sul nucleare iraniano prima del suo discorso alla Knesset "

Michael Sfaradi
ll discorso di Silvio Berlusconi alla Knesset è stato il momento centrale, e sotto certi aspetti il più emozionante, dei tre giorni di visita ufficiale del governo italiano a Gerusalemme.
Il premier, visibilmente commosso e a tratti preoccupato, ha pronunciato il suo discorso, come da lui stesso dichiarato, davanti all´unico parlamento democratico del Medio Oriente.
La commozione ha fatto la sua parte nelle parole di sincera amicizia nei confronti di Israele.
Ha lodato la democrazia israeliana che è l´unico esempio di democrazia oltre i confini dell´Occidente ed ha sottolineato che la vicinanza dell´Italia
allo Stato ebraico si è concretizzata, ad esempio, quando il governo italiano ha rifiutato la sua partecipazione alla conferenza Durban 2, dove si attaccava lo Stato ebraico selvaggiamente ed ingiustamente, ed anche nel voto contrario al rapporto Goldstone che vuole mettere Gerusalemme nella condizione di non potersi difendere.
La preoccupazione è apparsa poi sul volto di Silvio Berlusconi nel momento in cui si spingeva oltre.
Ha messo in chiaro in due passaggi, senza se e senza ma, ciò che fino ad oggi nessun altro capo di Stato o primo ministro europeo ha avuto il coraggio di dire. "Non è accettabile l´armamento atomico a disposizione di uno Stato in cui i leader hanno proclamato apertamente la volontà di distruggere Israe-
I le, hanno negato la Shoah e il diritto all´esistenza dello Stato ebraico.
Su questo punto non si possono ammettere cedimenti, occorre ricercare l´intesa a livello internazionale per impedire e sconfiggere i disegni pericolosi
del regime iraniano Questa impresa vedrà in me un assiduo protagonista.
"Mi impegno davanti al vostro Parlamento ad agire quotidianamente in questa direzione".
E´ facile, a questo punto, spiegare la pronta reazione del regime di Teheran, che contesta al governo Berlusconi una "aperta interferenza
negli affari interni di un Paese indipendente".
L´Italia non solo potrebbe essere soggetta a ricatti economici, ma diventare un obiettivo privilegiato del terrorismo islamico.
A questo punto c´è da chiedersi perché Berlusconi abbia dimenticato il "politicamente corretto" e cosa lo abbia convinto ad assumere nei confronti dell´Iran delle posizioni così rigide.
La risposta a questi due quesiti va ricercata nello scambio di informazioni avvenute nelle riunioni ristrette e a porte chiuse, dove oltre ai due primi ministri hanno partecipato un ristretto numero di esperti di intelligence.
Le informazioni, raccolte dai servizi segreti israeliani sul numero e il progresso dei lavori nelle centrali nucleari iraniane provano, senza ombra di dubbio, lo sforzo di Teheran per arrivare all´arma nucleare. Si tratta di un insieme di documenti, prove di acquisto di materiali sensibili un po´ in tutto il mondo,
fotografie aeree sia delle centrali conosciute che di quelle ancora segrete e informazioni sull´avanzamento della tecnologia missilistica degli Ayatollah che, con l´ausilio di tecnici provenienti dalla Corea del Nord, è riuscita a realizzare vettori che presto potrebbero mettere sotto scacco anche nazioni
del bacino del Mediterraneo.
La speranza israeliana, a questo punto, è che il premier italiano possa convincere i suoi partner europei sia ad assumere un atteggiamento
meno critico nei confronti di Israele, sia e soprattutto a pretendere giuste garanzie da parte di Teheran i più fermi controlli da parte delle agenzie a questo preposte.
Che Silvio Berlusconi sia un grande amico di Israele, anche se nei colloqui con il presidente Abu Mazen ha corretto un po´ la sua posizione sulla guerra a Gaza dello scorso anno e ha ribadito il suo punto di vista sulle colonie, è chiaro a tutti.
Come è altrettanto chiaro che l´amicizia e l´appoggio italiani dipendono molto dal colore della coalizione che siede al governo.
In passato si è assistito a repentini dietro-front nei confronti dello Stato ebraico e nessuno si stupirebbe, se dovesse cambiare l´inquilino di palazzo Chigi, nel rivedere un ministro degli esteri italiano mentre va a spasso a braccetto insieme ai terroristi di Hezbollah.
Silvio Berlusconi : " Discorso alla Knesset "

Signor presidente dello stato di Israele, signor presidente della Knesset, signor primo ministro, signori deputati, autorità e invitati, è per me un grande onore, è un grande onore per l’Italia parlare in questa nobile assemblea che è il simbolo stesso dei valori democratici su cui si fonda il vostro paese. Questo Parlamento rappresenta la più straordinaria vicenda del Novecento. Questo Parlamento testimonia la nascita nel 1948 di uno stato ebraico, libero e democratico che raccolse finalmente, dopo l’orrenda esperienza della Shoah, cittadini del mondo che parlavano tutte le lingue e che accorsero da ogni angolo del mondo. Voi rappresentate ideali che sono universali, siete il più grande esempio di democrazia e di libertà nel medio oriente, un esempio che ha radici profonde nella Bibbia e nell’ideale sionista. Per noi, come hanno detto sia il Papa Giovanni Paolo II sia il Rabbino Elio Toaff, il popolo ebraico è un “fratello maggiore”. Le origini della nostra amicizia, della nostra fratellanza, sono in una comunanza di civiltà e di destino, in un comune amore per la comprensione e la convivenza pacifica tra i popoli della terra. Purtroppo nel 1938, lo voglio ricordare, l’Italia si macchiò dell’infamia delle leggi razziali, che contraddissero secoli di civiltà cosmopolìta e di rispetto umanistico della persona e della sua dignità; ma il popolo italiano trovò la forza di riscattarsi attraverso la lotta di liberazione dal nazi-fascismo e trovò anche il coraggio di molti eroi civili, tra cui Giorgio Perlasca, che agì da giusto fra le nazioni mettendo in salvo numerosissimi ebrei. E nel recente incontro tra il Papa Benedetto XVI e la comunità ebraica di Roma il presidente della comunità ha ricordato il convento di Santa Marta, a Firenze, dove le suore cattoliche accolsero e salvarono decine di ebrei dalla persecuzione nazista. Oggi, la sicurezza di Israele nei suoi confini e il suo diritto di esistere come stato ebraico sono per noi una scelta etica e un imperativo morale contro ogni ritorno dell’antisemitismo e del negazionismo e contro la perdita di memoria dell’occidente. La nostra amicizia per Israele è franca, aperta e reciproca, non è solo vicinanza verbale, non è solo diplomazia, è un moto dell’anima e viene dal cuore. I rapporti bilaterali fra Italia e Israele sono eccellenti. Su ogni questione vige la regola della sincerità e della ricerca di un accordo completo, utile e produttivo. La nostra cooperazione è un vanto del mio governo e un fattore di orgoglio e soddisfazione per l’opinione pubblica italiana. Sono fiero di ricordare in questa solenne occasione che l’Italia seppe reagire con un grande “Israel Day” di solidarietà e di amore quando le bombe umane seminavano morte ad Haifa, a Tel Aviv, a Gerusalemme sui vostri autobus, nei vostri luoghi di ritrovo, nelle vostre feste nuziali, nelle vostre cerimonie religiose. L’Italia è orgogliosa di molti gesti di solidarietà verso il vostro paese, come ad esempio il rifiuto del nostro governo a partecipare alla Conferenza “Durban II” di Ginevra, che voleva sanzionare Israele con intollerabili accuse di razzismo e di violenza. Come il nostro voto contrario al rapporto Goldstone, che intendeva criminalizzare Israele per la reazione giusta ai missili di Hamas lanciati da Gaza. Noi combattiamo insieme a voi ogni possibile rigurgito di antisemitismo in Europa e nel mondo, e insieme a voi ci preoccupiamo di rendere inseparabili la battaglia per l’esistenza e la sicurezza dello stato d’Israele e quella per la pace. L’estensione della democrazia a tutti i popoli della terra, nelle forme possibili, e la difesa della libertà come bisogno insopprimibile di ogni uomo sono un imperativo che ci accomuna e che deriva dalla nostra fede, dalla nostra cultura giudaico-cristiana, dalla nostra comune concezione dell’uomo e della storia. Noi siamo uniti nella difesa della democrazia libera dal fanatismo, dal pregiudizio, dalla superstizione, dall’uso della violenza strumentalizzando il nome di Dio. A questa battaglia ci spinge la consapevolezza che ogni uomo e ogni donna nel mondo, quale che sia il loro credo, il loro colore, la loro etnia, ambiscono alla libertà. Israele, il vostro stato è davvero il simbolo di questa possibilità di essere liberi e di far vivere la democrazia anche al di fuori dei confini dell’occidente, ed è proprio per questo che risulta una presenza intollerabile per i fanatici di tutto il mondo. Per queste ragioni i liberali di ogni parte del globo vedono nel vostro paese il simbolo positivo, doloroso e orgoglioso di una grande storia che parla di amore, di libertà, di giustizia, di ribellione al male. E noi, liberali di tutto il mondo, vi ringraziamo per il fatto stesso di esistere. Cari amici, dopo l’11 settembre abbiamo capito il carattere ultimativo e globale della sfida al nostro modo di vivere e alla nostra pratica della libertà, alla nostra pratica dell’eguaglianza tra i sessi, del diritto universale alla vita, alla libertà e alla sicurezza. Dieci anni prima era stata Tel Aviv a essere colpita dai missili Scud di Saddam Hussein e dal 2000 è stata l’ondata terroristica della Seconda Intifada a mettere a dura prova il grande spirito di resistenza del vostro popolo. Noi italiani siamo stati consapevoli fin dal primo momento che la sfida del terrorismo era rivolta non soltanto contro gli Stati Uniti e contro Israele, ma contro tutti i paesi democratici dell’occidente e contro gli stessi paesi arabi moderati. Da allora abbiamo fatto la nostra parte, dall’Iraq all’Afganistan, dalla Bosnia al Libano, per combattere il terrorismo e favorire la pace. Con i nostri soldati e le nostre missioni di pace, abbiamo contribuito a rendere il mondo più sicuro e più giusto, pagando un alto tributo di vite umane. Anche di fronte alle minacce contro Israele e contro la sicurezza del suo popolo, l’Italia non è indifferente. L’efferatezza antisemita, a differenza di quanto è avvenuto alla vigilia e durante la Seconda guerra mondiale, non potrà e non dovrà più nutrirsi della complice indifferenza dei governi. In una situazione che può aprirsi alla prospettiva di nuove catastrofi, l’intera comunità internazionale deve decidersi a stabilire con parole chiare, univoche e unanimi che non è accettabile l’armamento atomico a disposizione di uno stato i cui leader hanno proclamato “apertamente” la volontà di distruggere Israele e hanno negato insieme la Shoah e la legittimità dello stato ebraico. Su questo punto non si possono ammettere cedimenti: occorre ricercare la più ampia intesa a livello internazionale per impedire e sconfiggere i disegni pericolosi del regime iraniano. La via da percorrere è quella del controllo multilaterale sugli sviluppi militari del programma nucleare iraniano, quella del negoziato risoluto, quella delle sanzioni efficaci: bisogna esigere garanzie ferree dal governo di Teheran, impegnando in modo determinato l’Agenzia internazionale per l’energia atomica al controllo ispettivo e alla verifica continua dei progressi del negoziato. Certo non si deve respingere alcun segnale di buona volontà da parte iraniana, ma occorre dire apertamente che gli sforzi di dialogo non possono essere frustrati dalla logica dell’inganno e della perdita di tempo. Signori deputati, autorità, cari amici, venendo alla questione medioorientale, la nostra azione, come sapete bene, è stata sempre indirizzata verso la soluzione che prevede due stati, quello ebraico di Israele e quello palestinese, che vivano in pace e in sicurezza l’uno accanto all’altro. Oggi questa soluzione – due stati, due popoli – appare condivisa, oltre che da voi e dalla leadership palestinese, anche dall’Unione europea, dagli Stati Uniti e dai più importanti partner del mondo arabo e devo dare atto al primo ministro Netanyahu del coraggio con cui ha deciso di seguire, spiegandone le ragioni al suo popolo, tale strada. Sin dal 1994, come capo del governo italiano, ebbi a proporre un “Piano Marshall” per lo sviluppo economico dei territori palestinesi: vedo, oggi, il mio paese sempre più impegnato nell’aiuto umanitario ai palestinesi, nella cooperazione in materia sanitaria, culturale, infrastrutturale, turistica, e continuo a essere convinto che la pace economica sia un elemento chiave per offrire speranza e futuro al popolo palestinese che ha sofferto e aspira a una pace duratura e globale. La strategia della pace nel benessere è uno strumento prezioso per lo smantellamento delle premesse psicologiche e ideologiche di ogni forma di violenza. Mi rendo conto delle mille difficoltà sulla strada del processo di pace che tutto il mondo auspica. Ma noi speriamo in una svolta che metta da parte per sempre la cultura della violenza, che induca il popolo palestinese a guardare con fiducia al suo futuro e al rapporto con lo stato ebraico come a un’opportunità per il proprio sviluppo e non come a un impedimento da superare. Oggi mi rivolgerò, con un appello che viene dal cuore, al presidente Abu Mazen affinché torni al tavolo del negoziato e consegni alla storia un accordo per la pace e lo sviluppo economico del suo popolo, della sua terra, dando vita così a quello stato palestinese che la comunità internazionale attende. E mi rivolgo al caro amico primo ministro Netanyahu per chiedergli di confermare, con coraggio, le sue proposte e le sue offerte per far ripartire il dialogo, tenendo conto degli auspici e degli incoraggiamenti dei paesi amici di Israele, come l’Italia, o gli Stati Uniti, e di tutti i partner europei. Noi preghiamo e pregheremo affinché questa speranza possa realizzarsi. Cari amici, vi ringrazio per la splendida accoglienza e per l’affetto che mi avete riservato. Considerateci accanto a voi per costruire e difendere i valori che ci accomunano e che fanno di Israele un avamposto della cultura europea e occidentale. Quella cultura che si basa sul primato della persona umana e sulla grandezza dell’uomo fatto a immagine e somiglianza di Dio. Quella cultura e quei valori che fanno del vostro paese una vera democrazia, una società libera e orgogliosa della sua libertà, uno stato libero e democratico in tutto eguale alle democrazie europee. Questo sentimento, che avverto profondamente, mi fa dire da anni, e non da oggi, che il vostro posto, il posto di Israele deve essere tra le nazioni dell’Europa, come membro a pieno titolo dell’Unione europea. Questo è il mio sogno, questo è il mio augurio. Vi ringrazio ancora e di cuore per la vostra accoglienza e per la vostra amicizia. In nome del popolo italiano auguro pace, serenità e benessere a voi e a tutto il popolo di Israele. Viva Israele. Viva l’Italia. Viva la pace e la libertà.
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