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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Foglio - Libero - Informazione Corretta - La Stampa Rassegna Stampa
03.02.2010 Berlusconi in Israele: 3° giorno - Si alle sanzioni all'Iran, Ahamadinejad = Hitler
Commenti: editoriale e redazione del Foglio, Angelo Pezzana, Piera Prister, A. B. Yehoshua

Testata:Il Foglio - Libero - Informazione Corretta - La Stampa
Autore: La redazione del Foglio - Angelo Pezzana - Piera Prister - A. B. Yehoshua
Titolo: «Nessuna opzione esclusa con l’Iran - Il regime iraniano accusa gli oppositori di essere 'come gli ebrei' - Ecco il lauto giro di affari Italia-Iran, ma si intravede il calo - Il Cav. risponde alle richieste di Israele con 'sanzioni forti' all’Iran - Chi n»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 03/02/2010, a pag. 1-3, gli articoli titolati " Il regime iraniano accusa gli oppositori di essere 'come gli ebrei' ", " Ecco il lauto giro di affari Italia-Iran, ma si intravede il calo " e " Il Cav. risponde alle richieste di Israele con “sanzioni forti” all’Iran ", a pag. 3, l'editoriale dal titolo " Nessuna opzione esclusa con l’Iran ". Da LIBERO, a pag. 17, l'analisi di Angelo Pezzana dal titolo " Chi non vuole Gerusalemme preferisce la Turchia in Europa ". Dalla STAMPA, a pag. 1-41, l'articolo di A. B. Yeshohua dal titolo " I palestinesi non vogliono i pasdaran ". Pubblichiamo l'analisi di Piera Prister dal titolo "Silvio Berlusconi: un primo ministro stellare". Ecco i pezzi:

Il FOGLIO - " Nessuna opzione esclusa con l’Iran "


Ahmadinejad

Oggi si conclude il viaggio in Israele di Silvio Berlusconi con il discorso davanti al Parlamento di Gerusalemme. E’ un’occasione importante per ribadire con forza quel che il premier ha già detto in questi giorni: ci vogliono “sanzioni forti” per il regime di Teheran che ammazza oppositori e non vuole trattare con la comunità internazionale, neppure quando questa offre più di quanto dovrebbe, come è successo in questi ultimi mesi all’Agenzia atomica dell’Onu e come è successo – secondo indiscrezioni americane – qualche giorno fa con l’intermediazione (fallita anche questa) del Giappone. La Repubblica islamica non collabora, non si può far finta di niente come già si fece quando si impose, nel 1939, lo spirito di Monaco. Il regime non può essere tollerato e l’opposizione al regime ha bisogno di sentirsi forte dell’appoggio di una comunità internazionale il più possibile granitica e aggressiva. Per agire in modo tangibile, è necessario colpire laddove l’Iran è debole – la raffinazione del petrolio, per esempio – e far sì che l’isolamento sia effettivo: l’Italia, Eni in testa, ridurrà gli scambi commerciali, così come ha fatto già la Germania, e soprattutto farà pressioni su Mosca affinché il pacchetto di sanzioni al Consiglio di sicurezza dell’Onu prenda forma e lo faccia in tempo utile. L’arsenale diplomatico deve essere schierato con tutta la sua forza – per un regime economicamente dissestato può essere decisivo – e deve necessariamente mostrare compattezza: ogni tentennamento di Cina e Russia non fa che scheggiare il lavorio di Israele, dell’America e dei suoi alleati come l’Italia, che pagherà – se darà seguito alle sue parole – un prezzo molto alto per essere coerente con la strategia occidentale. Berlusconi è consapevole di questa responsabilità e ha dimostrato in questa visita grande determinazione nel voler andare fino in fondo. Ancor più forza, coraggio e visione strategica dimostrerebbe oggi se, davanti alla Knesset, ribadisse che con l’Iran è necessario fare sul serio e che nessuna opzione deve essere esclusa dal computo degli interventi decisivi. Nessuno vuole un’azione militare, ha detto ieri Berlusconi, a parte il regime di Teheran naturalmente, che non perde occasione per mostrare il proprio sfrontato disprezzo nei confronti delle regole della comunità internazionale di cui fa parte. Non si può essere credibili e determinati fino in fondo se non si ha la forza di dire: per impedire che Teheran abbia l’atomica siamo pronti a tutto, anche al peggio.

Il FOGLIO - "  Il regime iraniano accusa gli oppositori di essere 'come gli ebrei'"

Roma. La notizia della imminente impiccagione di altri nove giovani manifestanti dell’Onda Verde, segue l’apertura di un inquietante dibattito sul Terrore che divide i vertici del regime, non certo nella comune intenzione di impiccare tutti i manifestanti possibili, ma sulle ragioni per cui verranno impiccati. Pessimo auspicio per quanto accadrà l’11 febbraio, 31° anniversario del trionfo della rivoluzione di Khomeini, che offre il destro all’Onda Verde per tentare sue manifestazioni, già minacciate di una repressione feroce. L’impiccagione di Arash Rahmanipour, e Mohammad Ali Zamani, della settimana scorsa ha segnato l’apertura della terza grande stagione del Terrore islamico, dopo quella del 1979-80 e le “purghe staliniane” che decimarono la prima dirigenza di fedelissimi a Khomeini, nel 1981-83 (con piena complicità di Moussavi e Rafsanjani). L’accusa di essere “mohareb”, nemici di Allah, contestata ai due impiccati e alle prossime nove vittime della forca, non è una novità nei tribunali islamici – fu contestata nel gennaio 2008 a Hamzeh Chavi e Loghman Hamzehpour, impiccati perché gay – ma assume un rilievo dirompente quando applicata agli imputati di reati politici. Ogni contestazione materiale è subordinata a un puro, agghiacciante, reato di opinione per il quale si viene impiccati. Il “mohareb”, infatti, è chi non riconosce la legittimità, direttamente discendente da Allah, del regime iraniano e quindi del suo operato. Per questo va ucciso. Sin qui la “giurisprudenza” consolidata. Ma l’ayatollah Ahmad Jannati, che presiede il Consiglio dei Guardiani, ha fatto un passo ulteriore. Ha introdotto – avendone titolo istituzionale – un riferimento teologico alla sua richiesta fortissima di moltiplicare le condanne a morte, paragonando il ruolo dei manifestanti di oggi, a quello di “sobillatori della comunità islamica” che Khomeini ha sempre attribuito agli ebrei (non agli israeliani, agli ebrei) sulla scorta del Corano e degli hadith. Ha insomma riproposto contro l’Onda Verde la concezione più pericolosa dell’antisemitismo islamico delle origini, che dal 627 d.C. vede nell’ebreo il turbatore della quiete politica della umma e il bugiardo manipolatore della Bibbia: “Il profeta Maometto strinse un patto di non aggressione con tre tribù ebraiche. Gli ebrei non rispettarono i patti e Allah ordinò che fossero massacrati, e anche l’Imam Ali ordinò l’uccisione di 70 ebrei infedeli. Quando si tratta si sopprimere i nemici, la compassione e la benevolenza divine non hanno significato”. Il riferimento è ai 670 ebrei Banu Quraizah che il profeta fece sgozzare, nonostante non avessero levato le armi contro di lui (l’accusa era di avere avuto “intelligenza con i nemici della Medina, durante la “battaglia del Fossato”), si fossero a lui consegnati senza combattere, rimettendosi alla sua pietà. Jannati, dunque, dimostra con questa sua orrida “lectio magistralis” che l’origine della ferocia della repressione di questi mesi – come dell’odio di Ahmadinejad per Israele – non è nel militarismo dei pasdaran, ma nella più profonda ideologia fondamentalista. Non più forche dunque per dei muhabereh, spie di Israele e degli Stati Uniti, ma per dei mohareb, alleati “oggettivi” degli ebrei, che –in quanto tali– sono alleati del diavolo e “nemici di Dio”. Contro questa interpretazione, va notato, non si è levato Rafsanjani che si è adeguato al messaggio lanciatogli da Khamenei il 19 gennaio: “Tutti i personaggi di primo piano della Repubblica islamica devono prendere una posizione trasparente ed evitare le ambiguità, perché di questo c’è bisogno nei momenti di sedizione”. Rafsanjani si è infatti affrettato a dichiarare che il programma nucleare iraniano è “irrinunciabile” e ha marcato netta distanza da Moussavi e Karroubi – che hanno chiamato l’Onda Verde in piazza – invitando “tutte le parti alla moderazione e ad astenersi da ogni violenza in occasione delle celebrazioni del 31° anniversario della Rivoluzione, che non servirebbero ad altri che ai nemici dell’Iran”. Ha invece duramente polemizzato con Jannati, il capo della magistratura iraniana, ayatollah Sadeq Larijani, fratello di Ali Larijani, che controlla il pacchetto di voti dell’Università di Qom. Sadeq Larijani infatti ha contrapposto il rispetto formale del Codice alle motivazioni teologiche e ai riferimenti alla società “perfetta” del Profeta alla Medina: “Alcuni settori si aspettano che la magistratura acceleri i casi riguardanti membri di gruppi mohareb. Ma queste attese sono politicamente motivate e contrarie alla sharia e le leggi del paese. La misura per i giudici nel trattare questi casi è solo l’autorità della legge”. Dunque, “giudici solo sottoposti alla Legge” nella versione “moderata”, contro giudici ispirati dal ruolo salvifico del Profeta. Il tutto, ribadendo il comune obbiettivo di impiccare, sempre e comunque, per l’una o per l’altra strada, tutti i “mohareb” possibili. A questo – dopo la defezione di Rafsanjani– si stanno riducendo le contraddizioni interne al regime iraniano.

Il FOGLIO - " Ecco il lauto giro di affari Italia-Iran, ma si intravede il calo"


Eni

Roma. Le esportazioni italiane verso l’Iran, principale capitolo di spesa nell’interscambio fra Roma e Teheran molto forte sin dai tempi di Khomeini, sono sempre andate crescendo negli ultimi anni. Nel 2006 l’interscambio Italia-Iran è stato di 5,719 miliardi di euro, l’anno successivo di 6,048 miliardi, per salire a 6,090 miliardi nel 2008. Da tre anni, l’Italia è seconda soltanto alla Germania nel giro di affari in Europa con il regime iraniano. Nel 2001 le esportazioni italiane verso l’Iran erano a quota 1,995 miliardi di euro. Nel 2002 salgono a 2,300, l’anno dopo sono 2,538 e nel 2004 addirittura 3,172. E così via sempre a salire, fino al calo del 2009. Ieri il presidente del Consiglio Berlusconi da Gerusalemme ha spiegato che dal 2007 il governo è impegnato a ridurre gli investimenti in Iran. Il rapporto fra Italia e Iran non è certo iniziato con Berlusconi. Le relazioni tra Roma e Teheran non si sono mai interrotte, neppure nei momenti peggiori. Come quando negli anni Ottanta l’Iran combatteva contro gli iracheni nelle paludi dello Shatt el-Arab e le imprese italiane furono le uniche che non abbandonarono mai la piazza. Il ministro degli Esteri Franco Frattini ha annunciato una decrescita degli investimenti italiani in Iran per il 2010. “Paolo Scaroni ci ha dato la sua disponibilità a incontrare l’amministrazione israeliana”, ha detto Frattini, per dimostrare che l’Eni è pronto a non investire più in Iran. La stessa Eni ci conferma che il colosso energetico andrà a esaurire i contratti esistenti e non ne siglerà altri. Il ministro degli Esteri ha poi spiegato che “la Sace non assicura più gli investimenti a Teheran e questo è un forte disincentivo perché chi vuole investire lo fa a suo rischio e pericolo”. Parlando con il Foglio, il portavoce di Frattini, Maurizio Massari, illustra così il dato del 2009: “Nei primi dieci mesi dell’anno appena trascorso, rispetto allo stesso periodo del 2008, lo scambio economico si è ridotto del 39,7 per cento, con un 50 per cento in meno delle importazioni e un meno undici delle esportazioni”. La diminuzione degli affari è dovuta anche a contingenze come il crollo del prezzo del greggio, la crisi finanziaria globale, l’imbarbarimento in Iran dopo le elezioni e le restrizioni poste da Usa e Onu. Resta enorme il giro d’affari fra Italia e Iran, sotto osservazione da parte americana e israeliana. Sono mille le aziende italiane presenti in Iran. A partire dall’avvento alla presidenza di Ahmadinejad, un grande accordo ha riguardato un impianto per la produzione di alluminio realizzato dalla Fata, del gruppo Finmeccanica, del valore di oltre 300 milioni di euro. Nel giugno scorso la Maire Tecnimont ha siglato un accordo di investimenti pari a 200 milioni di euro. Insieme a Russia e Cina, l’Italia ha anche contribuito allo sviluppo del programma aerospaziale iraniano, anche se ha negato di essere impegnata per il futuro lancio di un nuovo satellite artificiale di Teheran, il Mesbah-2. La compagnia italiana Carlo Gavazzi Space ha aiutato l’Iran con il suo sistema di comunicazione satellitare Mesbah, che gli israeliani ritengono possa essere usato per scopi di intelligence e militari. Nonostante questi rischi, il progetto Mesbah ha avuto il sostegno politico di Roma. L’allora ambasciatore italiano a Teheran, Riccardo Sessa, era presente nel 2003 alla cerimonia di firma dell’accordo. Anche la Guardia Rivoluzionaria – il cui ruolo è quello di proteggere il regime e addestrare terroristi – ha beneficiato della progettazione italiana. Le forze di sicurezza paramilitari hanno acquisito la costruzione e il modello della nave chiamata “Levriero" dalla compagnia italiana FB Design, usata dalla nostra Guardia di finanza. Quando i media italiani riportarono la notizia, il fondatore e proprietario della FB Design, Fabio Buzzi, è stato sorprendentemente sincero. “E’ vero, non è un mistero, ho venduto barche e tecnologia agli iraniani”, disse nel 2008 all’Ansa. “Abbiamo venduto regolarmente design e tecnologia ai servizi segreti iraniani”, ammise. Buzzi disse di aver interrotto gli affari con l’Iran dopo che funzionari americani lo avevano interrogato sulle sue consegne ai pasdaran. In questi anni il business italiano a Teheran ha sempre avuto un forte sostegno diplomatico. Nel consiglio di amministrazione della Camera di commercio Italia-Iran di Roma, a oggi il più grande istituto bilaterale di questo tipo in Italia, siedono non soltanto leader commerciali ma anche ufficiali governativi di alto profilo e da entrambe le parti, fra cui Cesare Ragaglini, ambasciatore italiano alle Nazioni Unite, Alberto Bradanini, l’ambasciatore italiano a Teheran, Amedeo Teti, direttore delle politiche commerciali al ministero italiano per lo Sviluppo economico, e Fereidoun Haghbin, ambasciatore dell’Iran a Roma, che siede come “portavoce onorario”.

LIBERO - Angelo Pezzana : " Chi non vuole Gerusalemme preferisce la Turchia in Europa "


Sergio Romano

Il “sogno” di Silvio Berlusconi di vedere Israele nell’Unione europea è stata ieri la grande notizia di apertura di tutti i giornali, un sogno che però, secondo l’affermazione del Ministro degli Esteri Frattini dovrà avere un “percorso importante e lungo”, malgrado l’entusiasmo con il quale Berlusconi l’ha promesso a Bibi Netanyahu. Soprattutto lungo, perchè l’idea non è nuova, venne a Marco Pannella per primo, ma rimase un wishful thinking, anche perchè Israele non presentò mai la domanda di ammissione. Non era ancora il momento di entrare nel club, quando per esservi ammessi Israele avrebbe dovuto dichiararsi pronta ad ubbidirne le regole. Che erano, e in parte non indifferente lo sono ancora, largamente sbilanciate in favore dei suoi nemici. É’ vero che la situazione politica è cambiata, almeno in Italia,Francia e Germania, e che i paesi dell’Europa centrale entrati nell’UE da poco, dopo essere usciti dall’incubo comunista, sono decisamente vicini allo Stato ebraico, ma per molti altri, soprattutto al nord, l’atteggiamento è ancora quello di prima. Il “sogno” è importante, Berlusconi ha fatto bene a parlarne, ma Israele ha fatto altrettanto bene a porre sul tavolo ciò che maggiormente preoccupa, o dovrebbe preoccupare, chi ha a cuore le sorti del mondo democratico, la minaccia nucleare iraniana, in tutte le sue sfaccettature, non ultime le sanzioni, che non trovano d’accordo sull’applicazione le grandi potenze. E’ in questa parte del gioco politico che Berlusconi, grazie ai suoi ottimi rapporti politici con tutti, potrà svolgere una funzione importante per Israele.
Il “sogno” berlusconiano di Israele nuova stella europea ha suscitato molti commenti, favorevoli o contrari, in genere abbastanza equilibrati. Tranne uno, che abbiamo ascoltato nell’intervista del Tg2 a Sergio Romano, il quale ha dichiarato “ " Due sono le ragioni per le quali  non credo che Israele possa entrare nella UE: la mancanza di contiguità territoriale con l'Europa e il fatto che Israele è un paese sempre in guerra con l'uno o con l'altro dei suoi vicini, e, se entrasse nella UE, i suoi problemi diventerebbero i nostri".
Una affermazione che non sorprende chi conosce le idee dell’ex ambasciatore, che dalla tribuna quotidiana del Corriere della Sera non perde occasione per addossare a Israele, e all’America in quanto potenza mondiale, le responsabilità di quanto va storto nel mondo. Bravissimo nella esposizione concisa del proprio pensiero, ha motivato il suo no a Israele nella Ue attribuendogli la responsabilità delle guerre che da sessant’anni in qua gli stati arabi gli hanno dichiarato al fine di distruggerlo, perchè, detta così, “ In più Israele è un paese sempre in guerra con l'uno o con l'altro dei suoi vicini” , è Israele che risulta l’aggressore, aggiungendovi per buon peso una buona dose di cinismo “se entrasse nella UE, i suoi problemi diventerebbero i nostri", rivelando ancora una volta quanto poco gli importi della sorte di un paese democratico minacciato di sterminio dalla teocrazia iraniana. Facciano pure, dice Romano, ma non ci coinvolgano. En passant, ricordiamo che quei sei milioni minacciati di sterminio sono ebrei. Mentre sull’ingresso della Turchia Romano non ha dubbi, è più che favorevole, 80 milioni di musulmani poco importa se altereranno le radici giudaico cristiane del continente, per non dire della scelta del governo turco di schierarsi dalla parte dell’Iran, rompendo definitivamente l’equilibrio di alleanze con l’Occidente dopo l’arrivo al potere del partito islamico. Berlusconi ha ripetuto con forza “mai più”, never again, dicendo chiaramente da che parte sta. E questo è già un buon risultato. E se non piace a Sergio Romano vuol dire che è proprio buono.

INFORMAZIONE CORRETTA - Piera Prister : "Silvio Berlusconi: un primo ministro stellare "


Silvio Berlusconi

Non fraintendeteci, "stellar" e´ un aggettivo colto che gli
Americani riservano per personaggi eccezionali e graditi al pubblico
dopo la loro performance.

E Silvio Berlusconi se lo merita perche´ innanzi tutto questo
termine, in tutta la sua assonanza con l´Italiano rende
semanticamente l´idea.
Ma c´e una ragione in piu´ per cui siamo scesi in campo in suo favore
-sfidando tutti i nostri detrattori appostati nel web che ci
accuseranno in malo modo di cortigianeria- da quando uno studente
americano bravo, di ritorno dalle vacanze in Toscana, ha mostrato in
classe, con un sorrisetto sardonico un poster che ritraeva Silvio
Berlusconi con una forte mascella e in divisa, come un nuovo
Mussolini in una tronfia caricatura, allora ci siam indignati e
abbiamo cercato di spiegare agli studenti come la disinformazione e la
propaganda falsa e bugiarda sia un´arma bassa ma potente che e´ capace
di accoppare l´avversario politico come e´ avvenuto in Olanda a Pim
Fortunyn il leader del Partito L.P.F. assassinato alla vigilia delle
elezioni quando lo davano per vincente, perche´ l´opposizione, a corto
di valide argomentazioni lo aveva dipinto come un nuovo Mussolini, un
dittatore quindi.
Ma ci risulta invece che l´Italia in verita´ sia tuttora una
democrazia e Berlusconi sia il Presidente del Consiglio dei ministri.
Allora urge scrivere per dire la verita´, sfidando chi in terra di
Toscana ha stampato e distribuito quei manifesti basati su menzogne.
Silvio Berlusconi, forte dell´appoggio popolare non demorde, eccolo
di nuovo sul palcoscenico internazionale in una visita di tre giorni
in Israele, ritratto in perfetta sintonia con l´ambiente a piantare
alberi -quegli stessi alberi che hanno cambiato l´habitat di Israele e
l´hanno resa feconda- eccolo a Gerusalemme con gli schizzi di Leonardo
acclamato alla Knesset israeliana, il parlamento di un paese libero e
democratico. Cosi´ come anni fa era a Washington, nel Congresso
Americano ad indirizzare il suo storico discorso a deputati e senatori
che attenti lo ascoltavano e l´applaudivano. Ha parlato di "battaglia
per la liberta´ dalla paura del terrorimo e per la democrazia a
vantaggio di quei popoli che vivono sotto regimi autoritari".

E si´ che l´Italia ne ha fatta di strada, ha rimontato passo dopo
passo la discesa dirupata in cui l´hanno fatta cadere in pennata i
precedenti governi da quello di Mussolini antisemita e filonazista di
destra a quelli filopalestinesi di Prodi e D´Alema anch´essi
antisemiti, di stampo catto-comunista.

Ora vista dal Nuovo Mondo l´Italia ci sembra per la prima volta una
nazione moderna e tecnologica di cui essere fieri, che batte in indice
di gradimento persino l´ Inghilterra e la Francia.
L´ Inghilterra che sempre di piu´ ci sembra una nazione che arretra,
socialmente assistita com´e´, come negli spettacoli televisivi inglesi
che ci trasmette PBS; e anche la Francia, sempre sciovinista,
abilissima a vendere bene la sua cultura illuministica, i suoi quattro
vini e le tante varianti dei suoi quattro formaggi, nonche´ la
resistenza al nazismo rivendicata abilmente a se´ da De Gaulle che la
fa correntemente sedere nel consiglio di Sicurezza dell´ONU, tutti
dimentichi di Vichi´. L´Italia invece meschina con tutte le sue
potenzialita´ ha sempre annaspato, persino nell´immaginario americano
era sempre una terra di "cafoni" malgrado il suo valore e la sua
cultura. Persino il pastore Jeremiah Wright il mentore di Obama, in
una sua recente omelia diretta ad un pubblico "colto e raffinato" di
Chicago, ha definito con disprezzo gli Italiani come quelli con il
naso a forma di aglio -un epiteto olfattivo oltre che visivo-
dimentico del naso di Dante, di Marcello Mastroianni e di Sofia
Loren, che e´ un tutto dire.
Ma poi, quando alla TV e sui giornali tutti hanno potuto vedere
dall´altra sponda dell´ Atlantico, le montagne di immondizie che si
accumulavano con tutti gli olezzi ammorbanti su Napoli, per
seppellirla come sotto una seconda eruzione, allora ci siamo proprio
vergognati, colpiti nel nostro amor proprio. E c´e´ voluto il governo
di Silvio Berlusconi a far piazza pulita del disastro ambientale e
della diossina nelle mozzarelle di bufala, dovuto alla politica
corrotta di "malaffare" e da corridoio che ha dominato la realta´
politica italiana. Inoltre,in tempi record ha assegnato case ai
terremotati, quando per decenni nella storia d'Italia miserabili
rimanevano attendati. E si' la verita' va detta!
Adesso gli Americani incominciano ad accorgersi di noi, ci
considerano dei grandi nella cultura, nell´arte, nella musica e nel
design ma l´Italia ha dovuto sempre pagar caro l´assenza di leadership
politica, anche qui come riverbero negli Stati Uniti.
E si´ che tutti ci guardavano con una puzza sotto il naso dall´alto
verso il basso anche negli ambienti accademici dove persino i
professori d´Italiano come il librettista di Mozart di origine ebraica
Lorenzo da Ponte, morto in miseria e lo scrittore e giornalista
Giuseppe Prezzolini, fatigarono non poco per essere riconosciuti nella
loro grandezza anche postuma.
Silvio Berlusconi invece con il suo pragmatismo ha svecchiato
l´Italia e le ha dato importanza, un´importanza che nessun uomo
politico prima di lui le ha dato, come a una moderna democrazia
occidentale che desideravamo da tempo che sapesse mantenere le
distanze tra gli estremismi di destra e di sinistra. In questo ha
riscattato gli Italiani che hanno subito umiliazioni dopo umiliazioni,
inferte loro da una madrepatria matrigna ed avara che li ha costretti
ad emigrare nelle terre piu´ remote, e a nascondere furtivamente le
loro origini vergognandosene. D´altronde erano solo braccia da lavoro
nei cantieri edili, nei porti, nei terreni agricoli e nelle miniere.
Si sentirono traditi ancor di piu´ quando l´Italia delle "Leggi
Razziali" si alleo´ con la Germania nazista, allora doppiamente
nascosero la loro origine.
Dopo il discorso di Silvio Berlusconi alla nazione americana
improvvisamente gli studenti hanno affollato i corsi d´Italiano nelle
universita´ tanto da sedersi per terra perche´ non c´erano piu´ posti
in aula, contenti solo d´ascoltare.
Con Silvio Berlusconi e il suo 68 % dei consensi popolari, il governo
italiano e´ per la prima volta stabile, se pensiamo come riflesso che
il presidente Obama dopo un anno dalla sua elezione, ha dimezzato i
consensi che avevano fatto di lui una figura carismatica -come Gesu´
che cammina sulle acque del lago di Kinneret- a miracolo mostrare per
poi annaspare e sprofondare in quelle stesse acque, come appare
nelle quattro sequenze della copertina del "The New Yorker" di questa
settimana.
Silvio Berlusconi invece si distanzia sia dai precedenti governi
postcomunisti che non hanno mai fatto opera di critica del loro
passato e del loro appassionato civettare con i terroristi
palestinesi, come anche mantiene le distanze da quei nostalgici di
destra sempre inclini a barare nel riabilitare persino le SS con i
loro scherzucci da dozzina.
Di personaggi cosi´ ce ne sono purtroppo a iosa in Italia nel bel
mondo della cultura, tanto che non si sa bene come catalogarli tanto
si assomigliano, nessuno sa se siano essi nostalgici del comunismo o
del fascismo perche´ si mescolano tanto sono affini, anche se poi
fanno finta di litigare in realta´ vanno a braccetto, a destra e a
sinistra tutti integralisti antisemiti e amanti d´Eurabia.


La verita´ e´ che il lavoro di Berlusconi e´ difficillissimo data la
Storia d´Italia, le fazioni estreme che l´hanno da sempre
caratterizzata e i molti partiti esistenti, ma lui e´ infaticabile nel
cercare amicizie e a tessere alleanze che diano all´Italia un ruolo
importante e una risonanza internazionale e che la facciano uscire
dalle strettoie isolazioniste in cui da sempre e´ stata chiusa fin
dai tempi del Risorgimento, sulle tracce di Camillo Benso conte di
Cavour, uno dei padri fondatori d´Italia che abbatte´ le mura di Porta
Pia e del Ghetto e senza il quale l´Italia sarebbe rimasta una mera
"espressione geografica".

La STAMPA - A. B. Yehoshua : " I palestinesi non vogliono i pasdaran "


A. B. Yehoshua

La Seconda guerra mondiale non ha purtroppo segnato la fine di sanguinosi conflitti bellici durante i quali si sono verificati episodi di genocidio. Ricordiamo l’Angola, ricordiamo il massacro di milioni di esseri umani in Cambogia da parte dei Khmer rossi, ricordiamo le terribili guerre tribali in Ruanda, le lotte cruente per lo smantellamento dell’ex Jugoslavia e lo sterminio dei cristiani nel Sudan meridionale. E naturalmente non possiamo dimenticare i crimini compiuti dal regime stalinista contro i popoli dell’ex impero sovietico. Eppure l’Organizzazione delle Nazioni Unite ha deciso di dedicare una giornata alla memoria della Shoah degli ebrei d'Europa.
Che cosa differenzia lo sterminio degli ebrei da altre tragedie della storia umana avvenute nel ventesimo secolo? La differenza non sta solo nell’inconcepibile numero di vittime e nella ferocia con la quale questo eccidio è stato perpetrato ma anche nell’assenza dei motivi all'origine dei massacri e dei genocidi conosciuti nel secolo scorso.
I nazisti infatti non trucidarono gli ebrei perché volevano impossessarsi dei loro territori (gli ebrei non possedevano alcun territorio), né perché erano seguaci di un diverso credo religioso (i nazisti e i loro complici erano atei, nemici di qualunque fede religiosa). Non li sterminarono neppure per impossessarsi dei loro averi (la maggior parte degli ebrei era povera e chi possedeva qualcosa vi avrebbe probabilmente rinunciato per avere salva la vita), né tanto meno per motivi ideologici in quanto gli ebrei non detenevano un'ideologia a loro peculiare. I nazisti non volevano nemmeno trasformare gli ebrei, che mai prima di allora erano stati catalogati come una «razza» a sé stante, in schiavi. Li consideravano alla stregua di «microbi» e per questo li distrussero con tanta efferatezza e puntigliosità. Lo sterminio, inoltre, non fu perpetrato nella sola Germania ma in tutti i Paesi sotto occupazione nazista, talvolta con l’aiuto, o per lo meno con il silenzioso consenso, dei popoli conquistati che pure soffrivano sotto il giogo della dominazione tedesca. La Shoah fu perciò innescata da un meccanismo assurdo e fantasioso che attribuiva agli ebrei colpe inventate, da una distorsione mentale che generò un odio inspiegabile, bruciante e immotivato. Un odio che probabilmente non fu soffocato con la sconfitta del nazismo e del quale, sessantacinque anni dopo la liberazione del campo di sterminio di Auschwitz, ancora si intravedono segnali terrificanti. Occorre pertanto restare allerta affinché questo odio, le cui conseguenze potrebbero essere devastanti, non si ridesti, né verso gli ebrei né verso altri popoli. Per questo l'Organizzazione delle Nazioni Unite ha ritenuto giusto commemorare la memoria della Shoah piuttosto che dedicare una giornata generica a tutte le tragedie umane.
I leader israeliani, con la loro partecipazione alle cerimonie ufficiali tenutesi nelle varie capitali europee nel Giorno della Memoria, non solo hanno cercato di rafforzare le difese naturali contro i fenomeni di antisemitismo che ancora sopravvivono qua e là nel mondo ma anche di ottenere sostegno politico contro la politica di armamento nucleare dell'Iran che, periodicamente, lancia minacce contro Israele e proclama di volerlo cancellare dalla faccia della terra.
L'Iran non è la Germania nazista. Il suo regime politico, la sua ideologia e naturalmente il suo potenziale bellico ed economico sono ben diversi da quelli dello Stato hitleriano. E l'Israele moderno non ricorda le deboli comunità ebraiche sparse in passato in Europa. Israele oggi non solo è in grado di difendersi da sé ma anche di causare gravi danni ai suoi nemici. Eppure, nonostante la differenza sostanziale tra l’Iran moderno e la Germania nazista, le autorità iraniane hanno adottato una bizzarra e totale opposizione all'esistenza di Israele, una presa di posizione che potrebbe farli precipitare nel meccanismo responsabile di aver generato l’odio abissale verso gli ebrei all'epoca della Shoah. Quando l’Iran possiederà armi atomiche, malgrado la sua debolezza e vulnerabilità, non è da escludere che, come la Germania nazista, possa essere risucchiato in un vortice di follia aggressiva che rischierebbe di provocare una sciagura terribile per lo Stato di Israele.
Nessuno può garantire che le sanzioni decretate dalla comunità internazionale nei confronti dell’Iran riusciranno a convincere i suoi leader a desistere dalla corsa alla produzione di armi nucleari. E un tentativo di distruggere militarmente il suo potenziale atomico potrebbe coinvolgere Israele in una lotta sfiancante e prolungata alla quale si unirebbero forse anche altri nemici dello Stato ebraico. Sono perciò molti coloro che ritengono che l'unica via giusta e morale per neutralizzare la minaccia iraniana sia quella di siglare un accordo di pace con i palestinesi.
La scorsa settimana, durante una preghiera pubblica a Ramallah alla quale hanno preso parte tutti i capi dell'Autorità palestinese, il ministro della Religione palestinese ha tenuto un sermone che ha destato speranza. Davanti alle telecamere si è pronunciato in maniera forte e risoluta contro l'ingerenza iraniana nel conflitto tra Israele e il suo popolo esprimendosi, più o meno, nei seguenti termini: «Che c'entrate voi con questo conflitto? Noi non abbiamo bisogno del vostro patrocinio né del vostro sostegno. Anziché aiutare noi e gli israeliani a giungere alla soluzione generalmente accettata da tutti, ovvero due Stati per due popoli, voi non fate che inasprire lo scontro. Spinti da motivi estranei al conflitto incoraggiate e sobillate l’estremismo di Hamas provocando così la reazione violenta di Israele, aggravando la nostra sofferenza e allontanando la conclusione alla quale noi tutti auspichiamo. Mai un vostro soldato ha versato sangue per il nostro popolo, a differenza di migliaia di soldati egiziani il cui governo ha stretto un patto di pace con Israele».
La leadership palestinese sa bene che se l'Iran dovesse lanciare un’atomica contro Israele anche il suo popolo ne soffrirebbero terribilmente. Un'eventuale pace tra Israele e i palestinesi neutralizzerebbe invece il veleno dell’odio iraniano e spezzerebbe il fantasioso meccanismo politico che lo porta a identificare Israele con il male totale, o il «piccolo satana» che occorre annientare a ogni costo. Un fronte comune a israeliani e palestinesi potrebbe spingere il popolo iraniano, che in un passato non lontano manteneva buone relazioni con lo Stato ebraico, a ribellarsi alla follia che pare essersi diffusa nella sua dirigenza. Un’azione bellica israeliana o americana rischierebbe di provocare un pericoloso peggioramento della situazione, prolungherebbe e intensificherebbe la sofferenza in questa regione tanto sensibile del mondo. Una conclusione pacifica del conflitto israelo-palestinese, viceversa, sarebbe di gran lunga più efficace di qualunque iniziativa militare.

Il FOGLIO - " Il Cav. risponde alle richieste di Israele con “sanzioni forti” all’Iran "

Gerusalemme. Ieri per il premier italiano, Silvio Berlusconi, in visita in Israele è stata la giornata degli accordi e dei colloqui, degli scambi commerciali e della diplomazia, prima del gran finale di oggi con il discorso davanti alla Knesset. Accolto con calore dal governo di Benjamin Netanyahu, Berlusconi ha ascoltato le preoccupazioni dei suoi tanti interlocutori. La questione principale è naturalmente l’Iran, la minaccia più imminente per la sicurezza dello stato ebraico, con le sue tante diramazioni terroristiche sui confini del paese, da Gaza al sud del Libano. Israele sa che può contare sull’alleato italiano, ha avuto parecchie dimostrazioni della solidità delle relazioni con Roma, ma vuole anche che ci siano azioni tangibili contro la Repubblica islamica. La data ultima fissata da Washington per i negoziati sul nucleare di Teheran è ormai passata da un mese, ma il dossier delle sanzioni, tanto chiacchierato quanto ancora ben poco concreto, è fermo al Consiglio di sicurezza, a causa soprattutto della riottosità di Russia e – soprattutto – Cina. Avigdor Lieberman, ministro degli Esteri israeliano, ieri ha fatto una richiesta pubblica a Berlusconi: aiutaci con Mosca. L’obiettivo impellente è quello di bloccare la vendita di armi – missili antiaereo S-300 – a Teheran (pare che la commessa sia però già in viaggio), ma il premier italiano potrebbe essere decisivo, in nome degli ottimi rapporti con il premier, Vladimir Putin, e con il presidente, Dmitri Medvedev, per riportare la Russia al tavolo del Consiglio di sicurezza per approvare misure economiche contro l’Iran. E’ vero che la diplomazia si sta muovendo su un piano parallelo attraverso la cosiddetta coalizione dei “like minded”, i paesi che vogliono comunque imporre sanzioni al regime islamico di Teheran (di cui fa parte anche l’Italia); è vero che il Congresso americano ha già approvato un nuovo round di misure economiche unilaterali, ma la comunità internazionale darebbe un segnale davvero forte se riuscisse a trovare un accordo sulla questione nella sede competente, il Consiglio di sicurezza. Per di più, fatti salvi i recenti incidenti, la presidenza di Barack Obama ha portato avanti una politica accondiscendente sia con Mosca sia con Pechino, anche per poter poi contare sul sostegno di una strategia comune nei confronti dell’Iran. Al momento il “grand bargain” pare impantanato. Dietro le quinte però Israele e gli Stati Uniti fanno sul serio. Leon Panetta, capo della Cia, è stato a Gerusalemme (e poi, secondo alcune fonti, al Cairo) lo scorso fine settimana. Pochi giorni prima, l’11 gennaio, era andato Jim Jones, consigliere per la Sicurezza nazionale, a incontrare i vertici israeliani. E il 10 gennaio c’era stato un “inusuale” – così l’ha definito la sempre informatissima Laura Rozen di The Politico – incontro al National Security Council per discutere del piano di pace in medio oriente (altro dossier più che fermo) e delle azioni da intraprendere nei confronti della Repubblica islamica. La leadership americana e quella israeliana condividono un documento in cui sono elencati nel dettaglio gli obiettivi delle sanzioni, le aziende che devono essere coinvolte e lo stato dell’arte dell’affidabilità e della trasparenza dei diversi alleati della comunità internazionale. Le sanzioni più efficaci sono quelle che andrebbero a colpire il tallone d’Achille degli ayatollah: la raffinazione del petrolio. Nonostante Teheran abbia cercato di dotarsi di impianti di raffinazione interni, al momento ancora più della metà del petrolio da raffinare deve essere portato all’estero per essere lavorato e poi viene fatto rientrare in Iran. Interrompere questa catena significa colpire durissimo l’economia iraniana (che non se la passa bene, a causa della contingenza, dei prezzi del greggio e della gestione finanziaria scellerata del presidente Mahmoud Ahmadinejad, invisa persino alla Guida Suprema, Ali Khamenei), ed è proprio qui che si concentrano le proposte americane per le sanzioni. Il documento messo a punto da israeliani e americani è già stato sottoposto alla cancelliera Angela Merkel, durante l’incontro a Berlino con Netanyahu il 18 gennaio scorso. In conferenza stampa Merkel ha confermato: “Lavoreremo per nuove sanzioni”. E’ di pochi giorni fa la notizia che Siemens non accetterà nuovi contratti dalla Repubblica islamica a partire da metà del 2010: è la prima azienda tedesca che pubblicamente decide di congelare un giro d’affari che comunque vale 500 milioni di dollari, pari allo 0,7 per cento dei profitti di tutta la Siemens nel 2009. E’ il primo segnale forte che Berlino ha visionato e approvato il documento sottoposto da Gerusalemme. Ora è stato sottoposto all’attenzione del premier Berlusconi, il quale ieri ha confermato: “Spero che la comunità internazionale sappia mettere in campo delle sanzioni forti che possano dissuadere” Teheran dal progetto nucleare. Il premier confida anche nella debolezza del regime iraniano, che “ha contro di sé una forte opposizione che è nostro dovere sostenere e aiutare”. Con la “dissuasione” dalle ambizioni atomiche si può evitare un conflitto armato “che non vuole nessuno”, e la dissuasione passa anche per i ricchi contratti commerciali tra l’Iran e l’Italia.

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