Riportiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 28/01/2010, a pag. 10, la cronaca di Giorgio Battistini dal titolo " Shoah, monito di Napolitano e Fini: Israele ha diritto alla sicurezza " e la breve dal titolo " Invia sms negazionista: denunciato ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 2, l'articolo di Gian Antonio Stella dal titolo " Una via di Roma all’uomo che perse 10 figli ", a pag.3, l'articolo di Maria Rosaria Spadaccino dal titolo " Svastiche e scritte. Oltraggio in via Tasso " e l'articolo dal titolo "Mamma Emilia e i bambini salvati ". Dalla STAMPA, a pag. 14, l'articolo di Mimmo Candito dal titolo " Io non sono razzista, quante volte è una bugia " preceduto dal nostro commento e, a pag. 29, la lettera di Giorgio Bianchi dal titolo "Un posticino nella memoria", preceduta dal nostro commento.
Diamo rilievo al seminario dal titolo "M.O.: incitamento all’odio è base per estremismo, necessario combatterlo" tenuto da due esperti di Palestinian Media Watch che si terrà oggi pomeriggio nella Sala delle Colonne, Palazzo Marini, via Poli 19, Roma.
Oggi, giovedì 28 gennaio alle ore 15:00, due esperti del Palestinian Media Watch esamineranno, nel corso di un seminario organizzato dall’Associazione Parlamentare di Amicizia Italia-Israele, la maniera in cui i media e i testi scolastici palestinesi presentano, soprattutto ai bambini, i temi legati al conflitto mediorientale.
Introdotti dall’Ufficio di Presidenza dell’Associazione, gli Onorevoli Enrico Pianetta, Fiamma Nirenstein e Gianni Vernetti, gli esperti commenteranno numerosi filmati in lingua originale (tradotti per l’occasione in italiano) e terranno due relazioni dal titolo “Gli ostacoli alla pace: ideologia palestinese, educazione e media” e “I terroristi come eroi e modelli per i bambini”.
Nel materiale inedito e alquanto conturbante che verrà mostrato, è possibile vedere come persino personaggi beniamini dei bambini, come Topolino o l’Ape Maia, vengano utilizzati per influenzare la coscienza dei più piccoli verso un atteggiamento di odio e di pregiudizio.
Un fenomeno per la maggior parte ignorato in Italia che suscita stupore e rincrescimento e sul quale ci sembra quanto mai attuale rivolgere l'attenzione dell’opinione pubblica.
Il Palestinian Media Watch (www.palwatch.org) è una Ong Israeliana che si occupa di analisi e monitoraggio delle televisioni e dei testi scolastici palestinesi, fondata dal Dott. Itamar Marcus nel 1996.
Giovedì 28 gennaio 2010, ore 15:00, Sala delle Colonne, Palazzo Marini, via Poli 19, Roma
Per ulteriori informazioni e accrediti: 06-67606805, 393-8058906
Accrediti stampa (per TV e fotografi): 06-67602125
Associazione Parlamentare di Amicizia Italia-Israele ISISMO
Istituto Italiano per gli Studi Mediorientali
SEMINARIO
"Ideologia e indottrinamento nei media e nei testi scolastici palestinesi"
Itamar Marcus , Direttore del “Palestinian Media Watch”,
Centro di analisi e monitoraggio delle televisioni palestinesi (www.palwatch.org)
“Gli ostacoli alla pace: ideologia palestinese, educazione e media”
Nan Jacques Zilberdik , ricercatrice del “Palestinian Media Watch”
“I terroristi come eroi e modelli per i bambini”
Giovedì 28 gennaio 2010, ore 15:00
Camera dei Deputati, Sala delle Colonne, Palazzo Marini, Via Poli 19, Roma
E’ necessario accreditarsi per telefono o mail: 06/67606805, 393-8058906, nirenstein_f@camera.it
Ecco gli articoli:
La REPUBBLICA - Giorgio Battistini : " Shoah, monito di Napolitano e Fini: Israele ha diritto alla sicurezza "



ROMA - Per la decima volta l´Italia celebra il Giorno della Memoria, dedicato al ricordo della Shoah, lo sterminio degli ebrei nei campi di concentramento nazisti. Il 27 gennaio di 65 anni fa le truppe dell´Armata rossa aprirono i cancelli dei campi di Auschwitz, in Polonia. Ieri mattina al Quirinale - dov´è stato ricevuto il premio Nobel Elie Wiesel, testimonial di rango delle celebrazioni di quest´anno - il presidente della Repubblica ha consegnato ottanta medaglie ad altrettanti deportati e sopravvissuti ai campi di sterminio nazisti, dove morirono ottomila italiani, non solo ebrei.
Nel salone dei Cinquecento al Quirinale erano presenti, con il capo dello Stato, il presidente del Consiglio Berlusconi (che la settimana prossima sarà in visita in Israele), il presidente del Senato Renato Schifani e quello della Camera Gianfranco Fini, e il premio Nobel per la pace Elie Wiesel.
Quest´ultimo ha poi tenuto un discorso, applauditissimo, a Montecitorio: «Non dobbiamo consentire che il nostro passato diventi il futuro dei nostri figli». Davanti a lui le Camere riunite in seduta comune. Nelle parole di Wiesel, sopravvissuto ai lager, un esplicito rammarico per la situazione presente: «I testimoni hanno parlato, ma il mondo si è rifiutato di ascoltare, altrimenti non si spiegherebbero i genocidi che sono avvenuti nel dopoguerra. Se Auschwitz non ha guarito il mondo dall´antisemitismo, cosa potrà guarirlo?». Il premio Nobel ha chiesto leggi che definiscano "crimini contro l´umanità" gli attentati dei kamikaze.
Napolitano s´è occupato soprattutto dei giovani: «Non chiediamo di meglio che trasmettere il testimone a loro in nome dello Stato», ha detto, emozionato, il capo dello Stato. La memoria di quella «tragica esperienza carica d´insegnamenti e valori dev´essere conservata e trasmessa per il futuro dei giovani d´oggi». «Abbiamo ideali comuni» ha detto a Renzo Gattegna, presidente dell´Unione delle comunità ebraiche in Italia. «La lotta per la libertà e il riconoscimento dei diritti dei popoli, in particolare del popolo ebraico e di Israele a vivere in sicurezza».
Attenzione perché «l´odio antiebraico si indirizza oggi in particolare contro lo Stato d´Israele» ha detto Gianfranco Fini, presidente della Camera. E´ necessario «esser consapevoli che oggi, quando si parla di distruggere Israele, si parla nuovamente di sterminare gli ebrei» ha affermato il presidente della Camera alludendo alla leadership dell´Iran.
Dall´aula Nervi in Vaticano anche il Papa ha ricordato la tragedia dello sterminio nazista. Parlando in tedesco e in italiano ha parlato di «orrendo crimine che la megalomania disumana e l´odio razzista dell´ideologica nazista portarono in Germania». Poco prima era stato lo stesso Wiesel a parlare del «silenzio dei leader spirituali durante la Shoah»: quel silenzio che «non aiuta le vittime, aiuta sempre gli aggressori», aveva detto lo scrittore premio Nobel, con un´espressione che è suonata di condanna anche per l´atteggiamento che tenne papa Pio XII.
La REPUBBLICA - " Invia sms negazionista: denunciato "

Radio Rock
ROMA - All´emittente romana Radio Rock ieri è arrivato un sms di tenore negazionista, con frasi contro lo Stato di Israele e la sua popolazione. La Digos, dopo alcune indagini, ha identificato l´autore del messaggio: si tratta di un uomo, N. A., di 35 anni, il quale è stato accompagnato in questura e denunciato. Il telefono cellulare da cui è stato inviato il messaggio è stato sequestrato. L´uomo denunciato risulta privo di precedenti penali.
CORRIERE della SERA - Gian Antonio Stella : " Una via di Roma all’uomo che perse 10 figli "

Gian Antonio Stella
Chi fosse Settimio Calò lo abbiamo raccontato sul Corriere un mese fa. Era un piccolo uomo qualunque che abitava al Portico d’Ottavia, nel cuore del ghetto della capitale, e non desiderava altro che vivere una vita qualunque. La moglie, sposata giovanissima, si chiamava Clelia Frascati. Avevano dieci figli ed elencare i loro nomi uno a uno, sottraendoli all'anonimato della spaventosa catastrofe collettiva, significa restituire il rispetto che fu loro negato. La più grande, come ricorda Liliana Picciotto ne «Il libro della memoria - Gli ebrei deportati dall'Italia», si chiamava Bellina e aveva 22 anni. La seconda, Ester, ne aveva 20. La terza, Rosa, 18. Seguivano Ines di 16 anni, David di 13, Elena di 11, Angelo di 8 e infine i più piccoli della covata: Nella aveva sei anni, Raimondo quattro, Samuele sei mesi ancora da compiere.
La mattina del 16 ottobre, il sabato nero degli ebrei romani, Settimio uscì di casa prima dell'alba perché, fumatore incallito, aveva avuto una soffiata: quella mattina una certa tabaccheria in via di Monte Savello, alle spalle di lungotevere dei Cenci, sarebbe stata rifornita. Nei letti, oltre alla moglie e ai figli, lasciò un altro bambino, il figlio di sua sorella Letizia, che portava il stesso nome, Settimio, e aveva 12 anni.
Come andò quella mattina lo possiamo leggere in «Roma clandestina» di Fulvia Ripa di Meana: i tedeschi «entrano nelle case dei poveretti, li fanno alzare con parole brutali, vecchi e giovani, sani e perfino gravemente ammalati, li incitano a far presto a suon di schiaffi e di pedate, li redarguiscono violentemente al minimo tentativo di protesta, strappano i bimbi ancora lattanti dal seno delle madri, non permettono che i disgraziati portino con sé neppure l'indispensabile. La temperatura è rigida. I poveretti tremano di freddo e di paura. I bambini piangono. Le mamme implorano disperate. Tra gli altri una povera giovane donna incinta, a cui l'emozione ha affrettato le doglie del parto, mette al mondo la sua creatura appena arrestata. Madre e bambino vengono pietosamente soccorsi delle altre vittime, ma la mancanza di medici di medicine fanno sì che essi muoiano entrambi, poche ore dopo, tra le risate dei crudeli aguzzini e pianti disperati degli ebrei che invocano pietà…»
Quando tornò a casa, Settimio Calò la trovò vuota. Avrebbe raccontato anni dopo allo storico Silvio Bertoldi, in un'osteria del ghetto, dove cercava di annegare i ricordi nel vino: «Me parevo ’mpazzito, me parevo. Non c’era più nessuno, mi dissero che l’avevano portati via. Mi misi a correre, non sapevo dove andavo. Mi ritrovai alla Lungara, stavano tutti là quelli che avevano preso. Mi buttai avanti per andare a consegnarmi pure io. Mi ferma una sentinella italiana, mi prende per un braccio e dice: “Vattene, a matto! Che non lo sai che ti pigliano anche te, se ti vedono?” Io non capisco niente, me butto a spigne, quello me ributta. Mi siedo un poco più in là e piango».
Racconta ancora Fulvia Ripa di Meana che i romani si interrogarono, in quelle ore, sulla fine degli ebrei: «Si racconta che, sotto alcune gallerie, siano stati abbandonati per giorni dei treni piombati pieni di ebrei. Si dice che, per far più presto, siano stati molto utili i gas asfissianti! Nulla più si è saputo dei poveretti; soltanto qualche biglietto, gettato dallo spiraglio di carri bestiame, implorava: "Siamo senza cibo da tre giorni: per pietà, soccorreteci!"» La mattina del 19 ottobre la sorella di Settimio, Liliana Calò, accorsa alla stazione Tiburtina, riesce a vedere il figlioletto Settimio su un vagone in partenza per la Polonia. Il ricordo dello zio affidato a Bertoldi toglie il respiro: «Il bambino si affacciò al finestrino del treno, scorse sua madre e gridò freddo: “A signo’, e vada a casa, no? Vada a casa, che ci ha l’altri bambini da cresce’”». Per quanto se ne sa, Cle-
lia Frascati, i suoi dieci figli e il nipotino arrivarono ad Auschwitz quattro giorni dopo, il 23 ottobre. E furono subito avviati alle camere a gas. Tutti. Rimasto completamente solo, col peso insopportabile di essere sopravvissuto alla sua intera famiglia, Settimio Calò non riuscì mai a riprendersi. E’ morto una trentina di anni fa.
L'annuncio della decisione di avviare l’iter per ricordare quel piccolo ebreo schiantato dal dolore e da incubi spaventosi, è stato dato l'altra sera da Gianni Alemanno al presidente della comunità ebraica di Roma, Riccardo Pacifici. Poche ore dopo, anche se pare di poter escludere che le cose siano collegate dato che la notizia della dedica di una strada a Settimio non era ancora stata data ufficialmente, mani anonime riempivano i muri di via Cavour di scritte indecenti contro Israele, contro gli ebrei, contro loro due, il presidente della comunità ebraica e il sindaco: «Alemanno verme sionista». Firmato: «Militia vita est». Un gruppo neonazista.
«Sono disgustato, il fatto che ci siano delle persone che proprio in questa giornata non trovano niente di meglio che fare scritte orribili che vanno a deturpare luoghi importantissimi della memoria come il museo di via Tasso, è veramente una cosa vergognosa» ha detto il sindaco. Ne tragga le conclusioni, gli ha mandato subito dire, pur offrendogli la sua solidarietà, il consigliere del Pd Paolo Masini: «Mi auguro che oggi diventi il giorno della svolta per Alemanno: revocando i finanziamenti a Casa Pound e rompendo le sue alleanze con “La Destra” di Storace, che mentre noi siamo a ricordare la Shoah organizza una scuola di partito con Adriano Tilgher».
Che la destra ci siano contraddizioni pesanti, su questo tema, è fuori discussione. E i leader del Pdl farebbero bene a gironzolare sui siti internet di questo o quel gruppo, soprattutto quelli sparsi per la provincia italiana, per vedere cosa cova nella pancia di certi camerati dei quali cercano il consenso elettorale. Proprio per questo, però, e per la storia personale che ha alle spalle, va riconosciuto a Gianni Alemanno di avere deciso ieri un passo importante. Rendere onore a Settimio Calò, a sua moglie, ai suoi figli, significa ricucire con un passato che più che mai, come si è visto, è necessario ricordare.
CORRIERE della SERA - " Mamma Emilia e i bambini salvati "

ROMA— La chiamavano «mamma Emilia» ed era una donna generosa e coraggiosa. Viveva a Meolo, vicino Venezia, dove le SS avevano impiantato il loro quartier generale. Col rischio di essere scoperta, durante la Seconda guerra mondiale offrì un rifugio a tanti ebrei perseguitati dai nazisti, tra cui molti bambini, salvandoli dalle retate in un nascondiglio ricavato nel suo magazzino di tabacchi a via Diaz. Perciò il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ieri ha consegnato al figlio Giancarlo Elia Valori la medaglia d’oro al merito civile alla memoria della madre, Emilia Marinelli Valori (1902-1988). Si legge nella motivazione che fu «donna di elevatissime qualità umane e morali, che con eroico coraggio e a rischio della propria vita offrì sostegno alle forze partigiane e organizzò un’attività clandestina per dare ospitalità e assistenza a molti ebrei e altri perseguitati che riuscì a sottrarre alla deportazione e alla morte». Nel 1998 un ulivo è stato piantato in suo onore tra gli «alberi dei giusti» nel Planting Center di Gerusalemme come riconoscimento del suo impegno durante la Resistenza.
CORRIERE della SERA - Maria Rosaria Spadaccino : " Svastiche e scritte. Oltraggio in via Tasso "

ROMA— Era ieri. Il 27 gennaio passato da pochi minuti, giorno dedicato alla Memoria della Shoah, quando qualcuno ha attraversato via Tasso, a San Giovanni, e ha marchiato con uno spray nero il Museo della Liberazione. Piena notte. Buio. «Olocausto propaganda sionista» e «27/01: ho perso la memoria», hanno scritto ignoti sul muro dell’ex quartiere generale delle Ss nella Capitale, firmando con due croci celtiche e una svastica, disegnate sotto le finestre a bocca di lupo, che ricordano al passante le celle dove venivano torturati i partigiani.
Non è stata risparmiata neanche la targa del museo, come testimoniano le telecamere. «Nei filmati si vedono quattro uomini in passamontagna che tra mezzanotte e l’una eseguono le scritte e uno di loro colpisce con l’ascia la targa» spiega Giuseppe Mogavero, segretario di via Tasso. Non solo. Qualcuno, sempre di notte, in via Cavour, a poche centinaia di metri da via Tasso, ha scritto frasi ingiuriose contro il presidente della comunità ebraica romana Riccardo Pacifici e contro il sindaco Gianni Alemanno. «Pacifici, porco judeo» e «Alemanno verme sionista». Un aggettivo anche per tutto il Pdl: «Vermi». Però questa volta con una firma: quella di «Militia», noto movimento di estrema destra. Tutta via Cavour è stata tappezzata di frasi con la stessa firma e con una sostanza simile: l’odio per gli ebrei. Sulla scala che porta alla chiesa di San Pietro in Vincoli è stato scritto: «Il Talmud è razzismo».
Una provocazione orribile nella Giornata della Memoria, ma ugualmente forti sono state le reazioni. Unanime e bipartisan la solidarietà alla comunità ebraica romana. «Sono qua — ha detto il ministro alle Politiche comunitarie Andrea Ronchi, che nel pomeriggio ha raggiunto via Tasso — per portare la mia piena solidarietà come uomo di governo contro queste offese criminali. Spero che questi imbecilli vengano al più presto assicurati alla giustizia».
Per il sindaco Gianni Alemanno la reazione giusta sarebbe il silenzio: «Le scritte costituiscono un atto gravissimo, un’offesa senza pari al rispetto della persona umana. Purtroppo, mentre aumenta la consapevolezza storica condivisa, c’è ancora qualche criminale che si spinge a oltraggiare la memoria per ottenere visibilità mediatica». Uno «sfregio per tutta la nostra comunità» ha commentato il presidente della Provincia, Nicola Zingaretti. Per l’Anpi (associazione nazionale partigiani italiani), «non sono più tollerabili episodi di questa natura che offendono il paese intero e il sacrificio di chi si è battuto per liberarlo». Messaggi anche dalle candidate alla Regione Lazio. «Saremo sempre con voi» la promessa di Emma Bonino. Per Renata Polverini è stato «un atto di gravità inaudita».
La STAMPA - Mimmo Candito : "Io non sono razzista, quante volte è una bugia"
Candito associa due cose che non hanno nulla a che vedere l'una con l'altra.
Confondere l'islamofobia con la paura del terrorismo islamico non ha senso.
Non si è islamofobi perchè si denuncia il clima fondamentalista delle moschee che sfuggono al controllo, nè se si sottolinea l'esistenza di cellule di al Qaeda e la loro diffusione sempre crescente in Europa.
L'odio per gli ebrei, invece, esiste. Le scritte sui muri, l'odio per Israele, sono solo alcuni dei sintomi. L'antisemitismo non è finito con la Shoà. Purtroppo continua.
Ecco l'articolo:

Mimmo Candito
Le bastonate a Rosarno, la caccia al rom, il disprezzo per l’arabo barbaro e puzzolente, i graffiti contro ebrei e stella di David: una cronaca violenta affolla di titoli neri le pagine dei giornali e incendia di odio e di rancore i tg delle serate tranquille di noi gente per bene. Di gente che si dice quietamente sicura della propria generosa ospitalità, dello spirito tollerante, del lavoro che magari poi anche ci rubano, degl’immigrati che in fondo sono anch’essi brava gente, quando sanno stare al proprio posto. Naturalmente, quando sanno stare al proprio posto. Noi non siamo razzisti, grida in tv quella mamma con il bimbo in braccio e il forte accento di Rosarno, e non siamo razzisti s’indigna quel signore che guarda fisso l’obiettivo. Certo, noi non siamo razzisti, «ma insomma… »,ed ecco che in questo «ma insomma» finisce poi per affiorare tutto il precipitato di risentimenti, intolleranze, incertezze amare d’un vissuto quotidiano costretto a misurarsi con untempo di crisi profonda, dove l’angoscia di un futuro sempre più critico inchioda a paure antiche la paura nuova dell’«altro». E allora, ha ragione Maroni, e Calderoli con i suoi fazzoletti verdi? Oppure Bersani? O forse il cardinal Bagnasco, e il Papa che chiede umanità e comprensione? Ma chi siamo noi italiani, oggi, di fronte a unmondosenza più frontiere, di fronte al degrado miserando delle città violentate nella loro omogeneità, alla esposizione di costumi e culture che si mostrano tanto diversi? Dario Padovan e Alfredo Alietti ci danno i numeri della nostra identità: «Più del 50% della nostra società confessa oggi forme e pregiudizi di antisemitismo, e l’anti-islamismo raggiunge quasi il 79%». Sono dati impressionanti, dicono i due ricercatori; dati che impressionano, anche per gli effetti perversi che questa rivelazione di un profondo pregiudizio denuncia in chiave di convivenza democratica e multiculturale. Padovan e Aglietti hanno curato una ricerca (“Il razzismo come legame sociale”) che il Comitato torinese Passato e Presente ha condotto su un ampio campione di intervistati (con il sostegno anche della Compagnia di San Paolo). La ricerca muoveva dal desiderio di comprendere, e misurare, come e quanto il pregiudizio razziale, «ritenuto un residuo di sistemi sociali obsoleti e superati», stia invece riemergendo, in forme magari diverse dal passato ma con una sorprendente capacità di creare nuove identità e nuove aggregazioni.Eciò che traspare dalle risposte rivela l’affermarsi di un «discorso pubblico» (i massmedia, le istituzioni, la cultura del vissuto quotidiano) di nuovo razzista, che nello straniero – anche quando «diversamente italiano » – vede una minaccia al gruppo identitario, o alla nostra stessa singola individualità. Etnocentrismo, nazionalismo, autoritarismo, si rivelano come le categoria ideologiche nelle quali si condensa la dinamica della resistenza al turbamento che minaccia e inquieta abitudini consolidate. Un turbamento che proietta la frammentazione sociale di questi anni di crisi verso una reazione di ansia che agli «altri» chiede ossessivamente «rispetto» delle regole, della separatezza, della superiorità locale, riconoscimento di una «barbarie culturale» dell’immigrato. L’«Io non sono razzista» è la negazione autoassolutoria d’un pregiudizio razziale - assegnato soltanto a piccole minoranze marginali – che si mimetizza come il desiderio di non apparire in contrasto con il «discorso pubblico», che ovviamente non è razzista, per poter invece rivendicare al proprio comportamento («Ma insomma…») le ragioni giuste di una impossibilità a reggere ancora l’inciviltà dello «straniero».Lafigura dell’ebreo malvagio e assetato di denaro è stata ora sostituita da quella dell’arabo infido e nemico della civiltà cristiana; ma nel nuovo antisemitismo l’ebreo è ancora complottatore e manovratore del potere mondiale («dietro l’attacco alle Twin Tower c’era la potente lobby planetaria ebraica »), e l’arabo della nuova islamofobia è ostile all’Occidente, irrazionale, sessista, un blocco sociale monolitico e separato. La ricerca di Alietti e Padovan non propone soluzioni politiche, è uno strumento sociologico di conoscenza: indica alla nostra società la consistenza e il rilievo di un fenomeno drammatico. Sta ora al «discorso pubblico » appropriarsene.
La STAMPA - Giorgio Bianchi : " Un posticino nella memoria " lettera pubblicata nella rubrica delle lettere dei lettori.
Ci chiediamo perchè il lettore abbia dovuto aggiungere quelle frasi odiose alla sua lettera. Rimarcare due volte che suo suocero non era ebreo. A che cosa serve? Ecco la lettera:

Mio suocero non era ebreo. Faceva il fotoincisore a Torino e, grazie a questo, era in grado di fare documenti falsi per la resistenza. Scoperto e arrestato dai nazisti, dopo essere stato torturato per parecchi giorni all’albergo Nazionale, venne deportato a Dachau dove morì pochi giorni prima della liberazione. Un posticino per lui nella giornata della memoria, anche se non era ebreo.
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