Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 25/01/2010, a pag. 12-13, due articoli di Guido Olimpio titolati "La nuova sfida di Bin Laden: attaccheremo l’America " e " Droni (e infiltrati) per la caccia al Califfo ". Dal GIORNALE, a pag. 13, l'analisi di Fiamma Nirenstein dal titolo " Forse adesso la Casa Bianca cambierà toni ". Dalla STAMPA, a pag. 13, gli articoli di Maurizio Molinari e Francesca Paci titolati " Gli esperti si dividono. 'Segno che è debole', 'No, annuncia stragi' " e " Allarme a Londra. I terroristi reclutano donne occidentali ". Ecco gli articoli:
Il GIORNALE - Fiamma Nirenstein : " Forse adesso la Casa Bianca cambierà toni "

Fiamma Nirenstein
Non sono molte, negli anni, le dichiarazioni in cui la fantasmatica voce di Osama Bin Laden fa menzione di Israele; anzi, per molti anni la sua attenzione stragista è stata molto più concentrata sui crociati (i cristiani) anche se associati ritualmente agli ebrei in generale (siamo infedeli tutti quanti), sull’Occidente blasfemo e peccatore oppressore dell’Islam e soprattutto incarnato dagli Usa, e sulla parte infedele che macchia la Ummah Islamica, i moderati rinnegati da riconquistare con la forza alla Sharia secondo Osama. Ai tempi dell’11 di settembre Gerusalemme era un elemento marginale per Al Qaida. Oggi invece, in questo messaggio, diventa centrale, anzi, retrospettivamente, a sentir lui anche le Twin Towers sono state distrutte per difendere la giusta causa dei palestinesi, anzi, con balzo retroattivo, per aiutare la povera gente di Gaza, assediata da Israele.
Il messaggio è rivolto però non ai governanti di Israele, ma direttamente a Obama: che cosa significa? Le risposte sono molteplici, ma tutte parte della medesima strategia: quella di un vigliacco terrorista che vuole terrorizzare il mondo sfruttando le debolezze dell’opinione pubblica. Obama durante la sua ormai famosa intervista a Time in cui ammetteva di aver compiuto svariati sbagli, ha anche detto di aver fatto gravi errori in Medio Oriente: «È un problema intrattabile - ha detto -... abbiamo sovrastimato la nostra capacità di persuaderli (israeliani e palestinesi ndr) a impegnarsi in un dialogo significativo mentre la loro politica li porta ad altro». Una affermazione che è stata certo una leccornia per Bin Laden: il presidente Usa che ammette di aver sbagliato è la seconda puntata del presidente che va al Cairo e cita «il santo Corano» 15 volte, che si inchina fino a terra davanti al re saudita, che vuole chiudere Guantanamo, che annuncia la partenza dall’Irak, che porge la mano all’Iran e non si decide a sanzioni dure, che decide di far processare i terroristi dell’11 settembre con processo civile e non militare a New York. Ovvero, comunque il resto del mondo lo giudichi per questo comportamento politico, per il mondo estremista il grande capo della fazione opposta, quella Occidentale, che si comporta così, è né più né meno, univocamente, che un avversario debole.
Qualsiasi studioso di Islam lo confermerà, persino Bernard Lewis, il più grande. La lettura di Al Qaida della politica di Obama è questa: una breccia aperta su cui picconare. Del resto, fu proprio l’idea che il nemico sovietico in Afghanistan fosse ormai fragile che spinse avanti i talebani fino al ritiro russo, e che poi li fece proclamare la vittoria come il primo passo verso la conquista dell’intero mondo occidentale fatiscente. Dunque, Osama bin Laden si sente al secondo passo, quello in cui l’America con un presidente debole, se martellato senza tregua, può avviare il nostro mondo al secondo crollo. Ma attenzione: Bin Laden con questo suo nuovo messaggio, compie una doppia operazione. Perché il mondo dei musulmani moderati, quello degli egiziani, o dei giordani, ha simpatia per Obama a causa delle sue aperture e della sua storia personale: guardate, dice dunque loro Bin Laden con questo messaggio, se avrete un buon rapporto con gli Usa, il vero Islam vi sarà contro, i Fratelli Musulmani, Hamas, gli hezbollah, tutti i veri credenti vi terranno nel mirino, come fece la Fratellanza con Sadat. Ma perché Osama parla di Israele e dell’amicizia degli Usa per lo Stato ebraico, per altro in un momento di non facile dialogo fra i due? Perché Israele, e soprattutto Gaza, è sempre la migliore carta propagandistica che un terrorista oggi possa utilizzare. Bin Laden ha inforcato, parlando dell’amicizia fra Usa e Israele e accusando Israele di ogni colpa verso i palestinesi, il migliore strumento di consenso. Questo è infatti il cavallo al galoppo dell’intero impero politico e dei media, l’Onu, le Ong, la maggior parte delle Tv internazionali, i palestinesi stessi nella loro incessante e indiscriminata aggressione verbale contro Israele qualsiasi cosa faccia, la riuscita propaganda legata al rapporto Goldstone sulla questione di Gaza come vittima di Israele e non del gruppo terrorista che la domina, Hamas... tutto questo è ottimo nutrimento per Al Qaida. Per svuotare questo bacino di acqua sporca che ha ormai rivoli in tutto il mondo, ci vuole un lavoro lungo e difficile. Forse però il fatto che le stesse stupidaggini aggressive che dice Bin Laden echeggino i discorsi banali di ogni giorno su Gaza, sulla lobby americana, sulla sofferenza palestinese a fronte di un mondo crudele, potrebbe mettere finalmente in guardia qualcuno.
www.fiammanirenstein.com
CORRIERE della SERA - Guido Olimpio : " La nuova sfida di Bin Laden: attaccheremo l’America "
MIAMI — La voce di Osama è tornata e la Casa Bianca ha cercato di renderla ancora più fioca rifiutando di «autenticarla». Una mossa per contrastare il marketing della paura, la cosa migliore che la vecchia Al Qaeda sa fare. Bin Laden, infatti, è tornato alla ribalta con un brevissimo messaggio via Internet per riappropriarsi della scena rubatagli dai militanti dello Yemen, ritenuti i veri esecutori dell’operazione di Natale.
Con un audio di sette minuti il fondatore di Al Qaeda ha rivendicato il fallito attentato al jet Northwest, parlando «Osama ad Obama». Un’assunzione di responsabilità a scoppio ritardato: ben un mese dopo. Un lasso di tempo ampio dovuto non solo alle misure di sicurezza che Bin Laden adotta nella sua clandestinità, ma piuttosto dalla necessità di osservare ciò che è accaduto dopo il mancato attacco. La grande paura scatenata dal gesto del nigeriano Farouk Abdulmutallab e le conseguenze (con costi pesanti) per l’aviazione civile si sono trasformati in un successo per i militanti. Tanto è vero che Bin Laden gioca con l’angoscia minacciando nuovi attacchi e usando una frase che è un programma: «Se i nostri messaggi potessero essere trasmessi con le parole non li avremmo trasmessi attraverso gli aerei». Il successivo quanto scontato riferimento all’11 settembre è come un marchio di fabbrica. Rivolgendosi poi da «Osama ad Obama» c’è il tentativo di rilanciare il duello, in modo personale, con il presidente Usa e riconquistare il centro del movimento eversivo.
Altrettanto scontato il riferimento alla Palestina: «Gli Usa non godranno di una vita serena fintanto che noi non la godremo in Palestina». Osama propone il baratto inaccettabile per l’Occidente. Togliete il vostro appoggio Israele e noi smetteremo di colpirvi. Bin Laden è consapevole che la causa palestinese «vende bene» nel mondo islamico. Inoltre è un tema non insidioso per i qaedisti: in quell’arena sono una minoranza e non possono essere accusati di uccidere — come
avviene in Afghanistan o in Iraq — dei musulmani. Un punto quest’ultimo ricordato dal portavoce della Casa Bianca per il quale Osama resta «un codardo furfante e assassino», che un giorno «qualcuno porterà davanti alla giustizia».
Per alcuni analisti il messaggio potrebbe nascondere il segnale per un attacco. In particolare la frase, ripetuta due volte, «che la pace sia con coloro che seguono la giusta via» potrebbe annunciare un prossimo attentato. Una tesi tutta da dimostrare. Non c’è però dubbio che il complotto organizzato nello Yemen e ora il ritorno — sia pure in voce— di Osama hanno l’effetto di riportare in primo piano il terrorismo. Un recente sondaggio condotto negli Stati Uniti ha mostrato che per i cittadini, nonostante i guai dell’economia, il tema resta molto sentito. E Barack Obama non può non tenerne conto. Alla vigilia dell’atteso discorso sullo stato dell’Unione la Casa Bianca ha promesso che resterà «all’offensiva» contro Al Qaeda. Una pressione affidata all’intelligence e alle azioni dei velivoli senza pilota.
CORRIERE della SERA - Guido Olimpio : " Droni (e infiltrati) per la caccia al Califfo "

Un drone
Non sono scuse ma dati su cui riflettere. Gli israeliani per catturare il gerarca nazista Eichmann ci hanno messo 15 anni. L’Fbi per mettere le manette all’attentatore solitario Unabomber ha impiegato 17 anni. Ad Osama danno la caccia — più o meno — dal 1998 e dunque per battere il record deve restare nascosto ancora per un po’. Sempre che sia vivo.
La forza di Bin Laden risiede nella semplicità dei sistemi impiegati per nascondersi. È una preda scaltra, che usa il territorio — aspro — a suo vantaggio, evitando di lasciare la minima traccia e sfruttando rapporti invisibili quanto tenaci. L’esatto contrario di chi lo insegue. Tecnologia sofisticata, velivoli senza pilota, satelliti spia e microchip che guidano imissili. In più una taglia generosa — 25 milioni di dollari — che per ora non è riuscita a spezzare l’omertà.
Osama— raccontano fonti diverse— simuove di rado, accompagnato da non più di 20 uomini, ribattezzati con enfasi «la guardia nera». Quando raggiunge un villaggio, offre denaro «per pregare» al capo locale (un modo per non offenderlo) e firma così una polizza sulla vita. È il
pashtounwali, il codice d’onore dei pashtun, in vigore lungo il confine afghano-pachistano e in base al quale l’ospitalità è sacra. Altra regola d’oro — aggiungono specialisti statunitensi — è la rinuncia a sistemi di comunicazione: telefoni satellitari, radio, computer sarebbero banditi. I messaggi passano di voce in voce. Questo spiegherebbe perché gli interventi sono così rari e brevi. C’è poi lo scudo militare garantito dal clan Haqqani e dai ribelli di Ilyas Kashmiri: sarebbero loro le vere sentinelle. Temute perché conoscono bene gli americani — gli Haqqani hanno lavorato con la Cia contro i sovietici— e ottimi conoscitori del terreno. Nonostante lo scudo dei tre «cerchi» — i legami tribali, il silenzio radio e i clan — Osama sarebbe stato visto nella valle di Shawal, in Nord Waziristan. Altri lo hanno segnalato nel Bajaur. Per alcuni la seconda ipotesi è la più credibile. È una regione inaccessibile, con scarsa presenza di persone che potrebbero dare notizie utili. È la terra selvaggia dove Kipling ha ambientato l’affascinante storia de L’uomo che volle
farsi re. Esponenti dei servizi pachistani suggeriscono un’ipotesi alternativa: è in una città. Con un corollario aggiunto da osservatori Usa, pronti a scommettere su Karachi o Quetta, data la presenza di islamisti e l’alta densità.
Di recente il segretario alla Difesa americano, Robert Gates, ha ammesso che informazioni di intelligence buone su Osama sono vecchie «di anni». Ma questo, ovviamente, non ha fermato le ricerche. Nell’ultimo hanno la Cia ha portato a 700 gli agenti in Afghanistan, più un numero considerevole in Pakistan. Lungo il confine sono state aperte numerose «stazioni» dove 007 freschi di scuola sono stati affiancati dai veterani. Alcuni di loro li hanno richiamati dalla pensione per formare un’unità conosciuta come «The cadre». In territorio pachistano, al Passo di Boroghil, hanno creato una base che interagisce con quelle sul lato afghano. Lo scopo è quello di coordinare gli attacchi dei droni, i velivoli senza pilota capaci di stare per ore in missione, armati di videocamere e missili. Li guidano da basi in Gran Bretagna e Nevada (dove siamo stati). Vedono tutto o quasi tutto. Dati che però vanno poi interpretati.
I Predator e i Reaper hanno la funzione del martello. Dal 2009 hanno già condotto oltre 100 missioni contro obiettivi qaedisti: il 90% delle azioni si è concentrato in Waziristan, un indizio dei sospetti della Cia. Attività che non è solo elettronica. Anche i riluttanti servizi pachistani e quelli di alcuni paesi arabi collaborano fornendo delle «talpe». Sono loro a passare le informazioni alle «stazioni» Cia e, a volte, a sistemare cimici— costo 20 euro— che rendono più preciso il tiro degli aerei. Gli americani sostengono di aver eliminato dal 2008 15 alti dirigenti di Al Qaeda e 16 quadri intermedi. Oltre 500 le persone vittime delle incursioni, in una buona parte terroristi ma anche civili innocenti. Le incursioni dei droni hanno un duplice scopo: mettere sotto pressione gli «ufficiali», che invece di complottare devono badare a restare in vita; costringere i leader a fare una mossa sbagliata.
Rispetto al passato, l’intelligence giura che c’è maggiore determinazione. A Washington vogliono evitare gli errori del 2001, quando Osama sfuggì a Tora Bora, e del 2006 con l’operazione Cannonball, segnata da indecisioni. Per i critici la partita resta complessa. Il disastro di Khost (fine dicembre) con un intero team della Cia spazzato via da un informatore giordano al servizio dei qaedisti è la prova di come sia pericoloso fidarsi. Senza infiltrati è impensabile riuscire a scovare «Htv 1», tre lettere e un numero che stanno per « high target value », il bersaglio di alto valore, Osama. Il traditore giordano, Balawi, per ottenere un incontro ha sostenuto di sapere dove fosse «Htv 2», ossia Ayman Al Zawahiri. Era una trappola, una manovra da contro-intelligence. Un segnale che la preda non solo si nasconde ma ha artigli affilati.
La STAMPA - Maurizio Molinari : " Gli esperti si dividono. 'Segno che è debole', 'No, annuncia stragi' "

Maurizio Molinari
È una dimostrazione di debolezza o l’annuncio di un nuovo devastante attacco in arrivo: sono le due letture del messaggio di Osama bin Laden che vengono fatte dagli esperti d’intelligence sulla base dell’analisi del testo.
A sostenere la prima tesi è Rohan Gunaratna, capo del Centro di ricerca sul terrorismo a Singapore e autore di numerosi studi su Al Qaeda, secondo il quale «sebbene non vi siano apparentemente legami operativi fra Osama Bin Laden e le cellule in Yemen lui sta affermando che fanno parte della sua organizzazione». Peter Bergen, esperto di terrorismo della Cnn e ultimo giornalista occidentale a intervistare Osama in Afghanistan, aggiunge: «Bin Laden vuole far sapere ai suoi seguaci che è lui il leader di tutte le cellule di Al Qaeda, ovunque siano» al fine di allontanare lo scenario della formazione di gruppi autonomi.
In tale quadro, aggiunge Gunaratna, la scelta di accusare gli Stati Uniti di sostenere Israele nell’oppressione dei palestinesi appare il motivo più efficace - e unificante - da adoperare nel tentativo di consolidare la presa su tutti i gruppi jihadisti. È possibile che Bin Laden voglia evitare il ripetersi del precedente di «Al Qaeda in Iraq», che tra il 2005 e il 2006 condusse sotto la guida di Abu Musab al Zarqawi una sanguinosa offensiva di attentati con il risultato di mettere in ombra la leadership dell’organizzazione, che poi con Ayman al Zawahiri contestò a più riprese le tattiche impiegate contro i gruppi sunniti arrivando a considerarle «controproducenti».
Alcuni funzionari di intelligence Usa consegnano al «Los Angeles Times» questa interpretazione dell’audio: «Al Qaeda in Yemen prende ordini strategici dalla leadership di Al Qaeda in Pakistan ma non ci sono prove sul fatto che i leader di Al Qaeda in Pakistan abbiamo diretto o pianificato il fallito attentato di Natale». Le indagini finora condotte hanno portato ad accertare che il kamikaze nigeriano Abdulmutallab non si recò mai in Pakistan mentre andò in Yemen per addestrarsi all’attacco. E ciò lascia intendere che in Yemen esista una struttura jihadista capace di operare indipendentemente da Bin Laden e Zawahiri.
Bin Laden potrebbe dunque essere stato preso di sorpresa dall’iniziativa dei jihadisti in Yemen, a conferma che Al Qaeda non è più in grado di controllare tutti i gruppi jihadisti che vi si identificano sul piano ideologico. «Bisogna fare attenzione alla tempistica - osserva Bergen - Osama ci ha messo tre settimane per commentare il fallito attentato di Detroit e questo è il periodo di tempo che in genere impiegano le sue cassette audio ad essere portate a destinazione dai corrieri, ma ciò significa che lui non sapeva del piano prima che avvenisse, ha reagito solo a posteriori, quando ne è venuto a conoscenza».
Di diversa opinione invece Richard Kemp, ex comandante delle truppe britanniche in Afghanistan e veterano della guerra al terrorismo, secondo il quale «la cassetta di Bin Laden preannuncia imminenti nuovi attacchi». Ad affermarlo è anche l’IntelCenter della Virginia, un gruppo di analisti americani che seguono da vicino i gruppi jihadisti, secondo i quali il messaggio contiene un tipo di «linguaggio specifico che anticipa gravi attentati». Si tratta della frase: «La pace sia con coloro che seguono la guida» che viene pronunciata tanto all’inizio che alla fine della registrazione. La stessa frase era contenuta nel messaggio di Bin Laden del 19 marzo 2008 contro le vignette su Maometto pubblicate a Copenhagen, che fu seguito dall’attacco all’ambasciata danese a Islamabad del 2 giugno di quell’anno. Ed era stata inserita anche nel messaggio del 15 aprile del 2004 sull’«Offerta di tregua all’Europa» che venne seguito, nel luglio del 2005, dagli attacchi alla metropolitana di Londra.
Quale che sia il motivo reale che ha spinto Bin Laden a rivendicare «il martirio» mancato del kamikaze nigeriano, ciò che appare certo è la sua volontà di continuare ad essere il volto dell’offensiva della Jihad contro gli Stati Uniti.
La STAMPA - Francesca Paci : " Allarme a Londra. I terroristi reclutano donne occidentali "

Francesca Paci
Se fino ad oggi bastava il nome arabo e l’aspetto vagamente mediorientale per far scattare i sensori aeroportuali, ora, verosimilmente, sarà sufficiente essere donna. A 48 ore dalla decisione del governo britannico di elevare da «importante» a «grave» lo stato d’allerta terroristica nel Paese, l’MI5 rivela la ragione di tanta apprensione. «Un attacco terroristico è probabile seppure non imminente» aveva spiegato confusamente il ministro dell’Interno Alan Johnson, lasciando gli analisti nel dubbio che l’allarmismo fosse fine a sé stesso, un modo per mettere comunque le mani avanti. All’origine della sirena c’erano invece due corpose informative. La prima, dell’intelligence americana, sul rischio di un’azione kamikaze da parte di aspiranti martiri occidentali formate da Al Qaeda; la seconda, proveniente dall’India, su un piano per dirottare un volo in partenza da New Delhi o Mumbai e farlo schiantare su una città del Regno Unito.
«Hanno addestrato delle donne con la pelle chiara, persone che non assoceremmo mai automaticamente ad Al Qaeda» rivela al il Sunday Telegraph Richard Clarke, ex consigliere antiterrorismo alla Casa Bianca. Gli 007 d’oltreoceano se l’aspettavano: da tempo i gruppi radicali scommettono sullo zelo dei neoconvertiti, i cosiddetti imam dagli occhi azzurri. Nel continuo gioco al rialzo con le misure di sicurezza, il passo successivo degli uomini di Osama bin Laden non poteva che essere l’arruolamento delle meno sospettabili tra le matricole. Secondo il domenicale queste nuove adepte, non arabe e con passaporto occidentale, avrebbero ricevuto il training nei campi di Al Qaeda nello Yemen e almeno due di loro sarebbero pronte a colpire.
Sul fronte indiano le poche certezze riguardano invece la progettazione dell’attentato più che l’identità degli esecutori. Da giorni gli agenti dell’MI5 studiavano il messaggio top secret inviato dai colleghi indiani con le rivelazioni di un leader terrorista in prigione dall’inizio di gennaio. Secondo il Sunday Times si tratterebbe di Amjad Khwaaja, membro di Harkat-ul-Jihad-al-Islami, un gruppo pachistano coinvolto in diversi attentati: sarebbe lui ad aver raccontato del piano di dirottamento di un volo Air India o India Airlines organizzato da militanti di Al Qaeda contro la Gran Bretagna, che si prepara ad ospitare la conferenza internazionale sull’Afghanistan e numerose manifestazioni contro la guerra.
«Osama bin Laden è il simbolo di una protesta antiautoritaria, non è un leader organizzativo» osserva Mark Juergensmeyer, direttore dell’Orfalea Center for Global and International Studies dell’università della California. L’impressione degli esperti è che non ci sia collegamento tra le cellule femminili dormienti e il sogno d’un 11 settembre europeo degli aspiranti dirottatori pachistani, iniziative autonome che della rete dello sceicco saudita utilizzano solo il brand.
Londra si blinda per l’arrivo, tra gli altri, del segretario di Stato Usa Hillary Clinton, il presidente afghano Hamid Karzai, il primo ministro yemenita Ali Mujavar. Ma Scotland Yard sa bene che contenere la minaccia esterna non neutralizza quella interna. Il capo dell’MI5 Jonathan Evans è convinto che al momento nel Regno Unito ci siano almeno 2000 persone coinvolte in attività di terrorismo. Quantificare il rischio è letteralmente mission impossible, il tentativo è provare a dargli un volto. Oggi si cercano volti femminili.
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