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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - La Stampa - La Repubblica Rassegna Stampa
22.01.2010 Per non dimenticare la Shoà
Tradotto in italiano 'Il viaggio' di H.G. Adler, un film su Anna Frank, il furto della scritta Arbeit Macht Frei e il suo ritorno ad Auschwitz

Testata:Corriere della Sera - La Stampa - La Repubblica
Autore: Ranieri Polese - Elias Canetti - Simonetta Robiony - Andrea Tarquini - La redazione di Repubblica
Titolo: «Canetti: quel 'Viaggio' alle radici della Shoah - Anna Frank la Shoah e i Giusti d’Italia - Neonazi, affaristi e pasticcioni ecco come fallì il furto di Auschwitz - E l´insegna rubata torna al suo posto»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 22/01/2010, a pag. 40, l'articolo di Ranieri Polese dal titolo " Il romanzo che sfidò il veto di Adorno ", l'articolo di Elias Canetti dal titolo " Canetti: quel 'Viaggio' alle radici della Shoah ". Dalla STAMPA, a pag. 35, l'articolo di Simonetta Robiony dal titolo " Anna Frank la Shoah e i Giusti d’Italia ". Dalla REPUBBLICA, a pag. 47, l'articolo di Andrea Tarquini dal titolo " Neonazi, affaristi e pasticcioni ecco come fallì il furto di Auschwitz " e l'articolo dal titolo " E l´insegna rubata torna al suo posto ". Ecco i pezzi:

CORRIERE della SERA - Ranieri Polese : " Il romanzo che sfidò il veto di Adorno "


 H.G. Adler

Storia di un libro salvato. Il viaggio ( Die Reise) di H.G. Adler fu scritto a Londra nei primi Anni 50, in tedesco. L’autore era un ebreo praghese nato nel 1910, sopravvissuto ai campi e poi, nel 1947, fuggito in Inghilterra dalla Cecoslovacchia del socialismo reale. In quegli anni un romanzo sull’Olocausto era impensabile (grazie anche all’anatema di Adorno contro «la poesia dopo Auschwitz»), da qui il rifiuto di molti editori tedeschi, Suhrkamp fra gli altri. Così Un viaggio uscirà solo nel 1962, da una piccola casa editrice di Bonn. E nonostante gli elogi di Elias Canetti (a lui e alla moglie Veza è dedicato il libro), di Heimito von Doderer e di Heinrich Böll, avrà pochissimi lettori. Molti anni dopo, in America, in una libreria di Harvard, Peter Filkins, poeta e traduttore dal tedesco, trova il volume del ’62, lo legge, lo propone a Random House che lo pubblica alla fine del 2008. Ricevendo una ottima recensione sul « New York Times». Da qui data la «riscoperta» di Adler romanziere, la sua fortuna postuma.

Per gli storici della Soluzione finale, Adler era già un nome noto per gli studi — il primo appare nel 1947— dedicati soprattutto al campo-fortezza di Theresienstadt. Quel luogo del nord della Cecoslovacchia serviva come centro di smistamento per altri campi. Anche Adler con tutta la famiglia viene internato qui nel 1942. Ci resta fino all’ottobre del ’44, poi è avviato ad Auschwitz con la moglie Gertrud e la madre di lei (Gertrud sceglie di seguire la madre nella fila che porta all’eliminazione per non lasciarla sola) ma già alla fine del mese è dislocato a Niederorschel, vicino a Buchenwald e da qui a Langenstein-Zwieberge, nelle gallerie sotterranee dove si costruivano i reattori delle V2. Nell’aprile del ’45 gli americani entrano nel campo e liberano i prigionieri. Adler torna a Praga e per due anni lavora alla ricostruzione del museo ebraico e al recupero dei bambini sopravvissuti ai campi. Poi, 1947, riesce a fuggire da quella «città-cimitero».

Nel romanzo, che ripercorre le diverse tappe di Adler (da Praga a Theresienstadt e agli altri campi fino alla liberazione), tutti i nomi sono cambiati. Il protagonista si chiama Paul Lustig, e già la scelta di questo cognome — significa «allegro» — segnala una delle cifre della scrittura di Adler, l’ironia tragica. Così Praga diventa Stupart, dal nome di una via del vecchio centro, e Theresienstadt è Ruhenthal («la valle del riposo»). Del resto, Adler, dopo la guerra, aveva riscritto il proprio nome: H.G. Adler al posto di Hans Günther, perché proprio Hans Günther era stato l’aiutante di Eichmann. Ma, soprattutto, nel libro non si dice mai che i protagonisti sono ebrei, che gli aguzzini sono nazisti. C’è invece la descrizione di un mondo allucinato in cui qualcuno proibisce a migliaia, milioni di persone di continuare a vivere, c’è il racconto di un incubo divenuto realtà, la tragedia di una famiglia costretta a un «viaggio» da cui solo uno, Paul, uscirà vivo. C’è la rappresentazione di una vita in preda a una «epidemia di follia, in cui ognuno era impazzito al punto tale da comprendere quello che stava accadendo solo quando oramai era troppo tardi».

Scritto come una ballata sulla devastante perdita della ragione, Un viaggio si affida al flusso di coscienza del protagonista, usa allegorie, metafore, straniamento in sintonia con lo stile della letteratura modernista (per questo si fanno i nomi di Joyce, della Woolf). È un’opera consapevolmente letteraria, di alta letteratura che, come dichiara Adler, non deve servire a «dire esplicitamente, ma a rappresentare».

CORRIERE della SERA - Elias Canetti : " Canetti: quel 'Viaggio' alle radici della Shoah "


Elias Canetti

«L’ultimo dei suoi romanzi che conosco, "Un viaggio", lo considero un capolavoro» scrive Elias Canetti nella lettera all’autore, H. G. Adler, che pubblichiamo qui sotto. Era il 1952, Canetti aveva letto il dattiloscritto di un romanzo che avrebbe trovato un editore soltanto nel 1962. Colpa della scomunica di Theodor Adorno sul fare letteratura dopo Auschwitz. Adler, scampato dai lager, dove aveva perso 18 membri della famiglia, non era d’accordo. E intraprese dall’Inghilterra, dove si era trasferito, una corrispondenza con il filosofo tedesco, discutendo appassionatamente proprio su questo tema. Quello che Canetti (nella foto a sinistra) definì un capolavoro esce oggi in Italia tradotto da Marina Pugliano e Julia Rader (Fazi, pp. 183, e 19,50). L’uscita di «Un viaggio» coincide con il centenario della nascita dell’autore (Praga, 1910), che morì a Londra nel 1988, dopo aver pubblicato numerosi romanzi, testi di poesia, filosofia e due importanti saggi sulla Shoah. Dopo aver letto Un viaggio, la sua ultima opera in prosa, tante volte mi sono sorpreso a pensare alla straordinaria evoluzione letteraria dei suoi anni londinesi. Come sa, mi sono sempre aspettato molto da lei, ma quando è arrivato a Londra all’inizio del 1947, dopo esperienze e lutti dei più terribili, non immaginavo che nell’arco di soli cinque anni sarebbe riuscito a realizzare un’opera che ad altri — semai ne fossero stati capaci— sarebbe certo costata mezza vita.

Qui devo prescindere dai suoi scritti di carattere sociologico che conosco solo per sommi capi. So che hanno ricevuto grandi elogi da lettori autorevoli per la loro profondità e accuratezza. Però conosco Panorama, il primo grande romanzo di questo periodo. Molto di quello che contiene mi ha intimamente toccato. Palese è il talento nel cogliere le atmosfere, quanto la sensibilità intellettuale che si declina nei livelli più vari. Il libro ha un inconfondibile carattere autobiografico; ma è così articolato da contrapporre distintamente una moltitudine di mondi separati.

L’originalità della tecnica che ha adottato in quest’opera non rende sempre facile attingerne appieno l’enorme ricchezza, ma si tratta di una forma consapevole realizzata con coerenza, una prova in sé di grande effetto. Contro questo libro, che apprezzo molto, ho da sollevare solo due obiezioni: una volta scelta la forma, vi si attiene forse troppo minuziosamente, mentre la sostanza è oltremodo ricca. Devo riconoscere che, se ne fossi l’autore, proprio queste obiezioni mi riempirebbero di grandissimo orgoglio. Un viaggio, l’ultimo dei suoi romanzi che conosco, lo considero un capolavoro. È scritto in una prosa particolarmente bella, nitida, che va oltre il rancore e l’amarezza, espressione di una chiarificazione interiore alla quale ha diritto solo lei o chi ha condiviso il suo destino.

La sua esperienza, che è anche l’esperienza di molti, ha conosciuto qui una metamorfosi poetica perfetta, una trasformazione che nessun altro era riuscito a realizzare finora. Le cose più terribili che possano mai capitare agli uomini sono descritte come se fossero lievi e delicate e superabili, come se non potessero intaccare il nucleo più profondo dell’essere umano.

Desidero dirle che ha ridato speranza alla letteratura moderna. Limitarsi a dichiarare che quest’opera sarà in grado di suscitare consensi sarebbe un’arroganza: perché diventerà un romanzo esemplare tra quelli dedicati a simili «viaggi», a ogni sorta di sradicamento e devastazione, chiunque ne abbia fatto esperienza. Devo ringraziarla per averlo potuto leggere. Sono certo che un’infinità di gente ha bisogno proprio di questo libro; che non possa ancora averlo è uno di quegli aspetti davvero assurdi della nostra vita moderna dei quali ci si vergogna dal più profondo del cuore.

La STAMPA - Simonetta Robiony : " Anna Frank la Shoah e i Giusti d’Italia "


Una scena del film

Giornata della Memoria il 27 gennaio: la Rai la celebra, come da tempo, con una programmazione speciale perchè non si dimentichi cos’è stato l’Olocausto e non possa più ripetersi. Stavolta a New York per mostrare in anteprima quel che andrà in onda sulla Raiuno di Mauro Mazza, hanno invitato anche il rabbino di Roma Di Segni e il capo della comunità ebraica romana Pacifici. La serata si aprirà con un ricordo di Anna Frank, la adolescente morta a pochi giorni dalla fine della guerra in un campo di concentramento, diventata il simbolo dell’olocausto, involontaria autrice di quel bestseller che è il suo diario scritto nei due anni in cui visse chiusa con la famiglia in una soffitta di Amsterdam. Prodotto da Fulvio Lucisano, uscito in sordina nelle sale a dicembre, Mi ricordo di Anna Frank è liberamente tratto dal libro che Alison Leslie Gold ha scritto intervistando, quarant’anni dopo, l’amica del cuore di Anna, Hanneli Goslar che vive in Israele circondata da figli e nipoti. La vita nella soffitta, il cuore del diario, è solo una parte. Il resto è la deportazione, i campi di sterminio, la fame, il freddo, le umiliazioni, il bisogno di Anna di un pezzo di carta su cui scrivere, il dolore per non poter più essere una ragazzina qualunque. A incorniciare il racconto l’incontro tra il padre di Anna e una classe di studenti a cui è andato a parlare di sua figlia. Ma una bambina gli domanda perchè gli uomini sono cattivi, cos’è il male, come mai Dio permetta certe cose. E parte la storia. Anna Frank è Rosabell Laurenti Sellers, già vista in Coco Chanel: intensa e straordinaria. Suo padre è Emilio Solfrizzi, trattenuto e commosso. Moni Ovadia è un rabbino costretto a fare ripetizioni a un giovanissimo tedesco che, mentre manda gli ebrei nelle camere a gas, approfitta della loro cultura per prepararsi alla maturità. Il rabbino Di Segni definisce la fiction: «Interessante e a tratti toccante». Il regista Alberto Negrin, nato in nordAfrica dove la sua famiglia si era rifugiata per sfuggire alle leggi razziali del 1938, sostiene che riproporre adesso il diario di Anna Frank non avrebbe avuto senso: lo conoscono tutti, con buona pace di quel leghista che ha chiesto di non farlo leggere alle elementari per non turbare i piccoli con la scoperta della sessualità di Anna. «Sul diario sono stati fatti film, pièce teatrali, musical. E sulla Shoa, che io chiamo la Cosa perchè nessuna parola ne rende l’orrore, opere magnifiche». La sua preferita? «Train de vie perchè sostenuto dall’ironia. Ma io volevo fare un passo avanti: andare al nocciolo della questione, indagare il male e il bene, riscoprire la coscienza e il valore morale del non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te». Non a caso la scena clou è il dialogo tra il rabbino che gli insegna filosofia e il soldato tedesco che fatica a comprenderla con tanto dicitazione da Kant: “Il cielo stellato sopra di noi, la legge morale dentro di noi”. Vola alto, quindi, Negrin, a volte riuscendo a raggiungere lo scopo, a volte no, sempre, spiega, citando cronache e testimonianze. Bellissima la scelta del non colore per l i campi di concentramento, meno bello l’arrivo dei russi a liberare i pochi superstiti. «Non avevo mai tentato in tv una riflessione su questi temi che pure sono eterni, ma, alla mia età, voglio fare quello che non ho mai fatto».
A seguire, sempre il 27 gennaio, il documentario di Flaminia Lubin e Francesco Pamphili 50 italiani: ricostruzione - con testimonianze dei sopravvissuti- di quanto alcuni italiani, diplomatici e militari, seppure fascisti e alleati di Hitler, fecero per evitare la deportazione degli ebrei nei territori occupati da loro durante l’ultima guerra. La questione, chiariscono gli autori, è dibattuta oggi dagli storici in Israele per stabilire quali possano essere considerati dei Giusti. Ma il documentario delude: elementare il montaggio, scarsa la chiarezza. Peccato. L’argomento è interessante, ennesima riprova del carattere italiano poco disposto a obbedire a ordini che non condivide, ambiguo nelle decisioni, umano negli atti.

La REPUBBLICA - Andrea Tarquini : " Neonazi, affaristi e pasticcioni ecco come fallì il furto di Auschwitz "

Tutto cominciò con una bella serata tra amici, ospiti nella villa d´un milionario su un´isola dell´arcipelago di Stoccolma. Là i due giovani, Anders Hoegstrom, leader neonazista pentito, e il polacco Marcin A., detto «il falegname», esportatore di materiale edile, si conobbero. Si piacquero subito, là escogitarono il piano. Li muovevano forse il gusto dell´avventura, e la tentazione del colpo grosso: rubare la scritta all´ingresso di Auschwitz, rivenderla a qualche ricco collezionista, e col bottino darsi una svolta.
Niente più conti in rosso, e, pare, non solo. Almeno nei sogni di Hoegstrom, che pure ora smentisce. Terrorismo spettacolare, un attacco al cuore dello Stato: attentati contro il premier svedese, Fredrik Reinfeldt, e un attacco armato al Parlamento. Reclutarono in Polonia un pugno di pregiudicati come uomini di mano. Ma la banda che ha sconvolto il mondo si è tradita da sola, con errori a catena. Questa è la storia della profanazione del secolo, il furto fallito della targa di Auschwitz.
Lars Goeran Wahlstroem, il milionario che li ospitava, è da tempo chiacchierato per le sue simpatie d´estrema destra. I media anni fa allusero a lui come complice di piani eversivi. Hoegstrom aveva precedenti pesanti: era stato nella Vitt ariskt mootstaand, la «Resistenza ariana bianca». Due anni di carcere, poi fondò il suo Fronte nazionalsocialista, sognava l´infanzia d´un capo. Nel 1999 si dissociò. Fu soccorso da Exit, un´organizzazione che aiuta i neonazisti pentiti, parlò nelle scuole contro l´ultradestra. Il pentimento non era sincero, dicono ora gli inquirenti. Il milionario era diventato il suo tutore.
Marcin invece no. Lui, faccia d´angelo, aveva la fama di bravo ragazzo, tutto casa e lavoro, fedele alla moglie, pieno d´attenzioni per la figlioletta, adorato dal suocero ex alto ufficiale della polizia della nativa Czerniakowo. In Svezia aveva trovato un impiego. L´idea del piano lo conquistò, ma disse: «Non voglio sporcarmi le mani di persona».
Anders si mostrò comprensivo. Scritturò Vladimir, amico d´origine serba. Con la Seat di Vladimir, i due andarono in Polonia. Ad Auschwitz, Anders mostrò di persona l´oggetto da rubare. Marcin trovò i manovali. Cominciò con un balordo ex amico d´infanzia di Czerniakowo, Andrzej, detto "Soczewa" (occhialoni, quelli che porta per miopia). Un divorzio e una condanna per contrabbando d´alcol alle spalle, fame di soldi, era pronto a tutto.
Mise lui insieme il resto della gang. Due fratelli conosciuti in carcere, Lukas e Radoslaw, detti "topo vecchio" e "topo giovane", pregiudicati per violenze e affari di droga, e Pawel «l´usignolo», ex scassinatore. I quattro arrivarono ad Auschwitz in piena notte. Arrivò il primo errore: dalla Svezia, Marcin impartiva loro ordini con sms e chiamate sul cellulare.
Forzarono il muro e i reticolati, tagliarono la targa, fuggirono nel buio. Metà della banda arrivò fino al porto di Stettino per preparare l´imbarco della refurtiva, la scritta restò nascosta dietro casa della mamma di "occhialoni" a Czerniakowo. Due giorni dopo, il 20 dicembre, un secondo errore li tradì: si parlarono sui cellulari, le conversazioni vennero intercettate dall´intelligence polacca.
Poi il terzo sbaglio: alzarono il prezzo del loro lavoro. Nel mondo intanto non si parlava d´altro. E al giovane Anders crollarono i nervi. «Non sapevo nulla prima, appena informato da un neonazista chiamai le autorità», dice adesso difendendosi. La polizia polacca non gli crede. I dolori del giovane Anders, affermano gli inquirenti a Cracovia e, a Stoccolma, i giornalisti investigativi di Aftonbladet, erano sorti perché improvvisamente lui si è sentito parte di un "grande gioco" troppo grande per lui, che gli era sfuggito di mano, come un sortilegio maligno a un apprendista stregone. È il 20, quando Anders Hoegstroem vuota il sacco.
Racconta tutto a giornalisti di Aftonbladet, fornisce loro i dati bancari di Marcin su cui il collezionista avrebbe dovuto versare il pagamento. E chiama la polizia polacca. «Troppo tardi, caro signore», gli rispondono in inglese, «conosciamo già i colpevoli».
Una telefonata dopo l´altra: Anders ormai si comportava in preda a una crisi di nervi. Forse le sue conversazioni, e quelle di Marcin, non erano sfuggite alla Saepo, Saekerhetspolisen, il servizio segreto svedese. Quel misterioso corpo speciale che vanta ancora un colpo grosso della guerra fredda: furono i primi a fotografare Markus "Mischa" Wolf, la "spia senza volto", il mitico capo dello spionaggio della DDR. Ricordi di glorie lontane.
Dopo l´assassinio dell´ex premier Olof Palme e della ministro degli Esteri Anna Lindh, alla Saepo «prendiamo estremamente sul serio ogni voce di complotto». Centri d´ascolto, e aerei da electronic intelligence della modernissima aviazione reale, sono in prima linea. «Sul furto non indaghiamo, sulle voci di complotto un´inchiesta è in corso, non possiamo dire né da quando, né a che punto è, il nostro lavoro continua». Anders nega tutto, Wahlstroem il tutore lo difende: quelle voci di attentati «sono solo fantasie».
Anche Marcin faccia d´angelo ha trovato chi prende le sue parti: il suocero, l´ufficiale di polizia in pensione. «Arrestare una persona è un conto, altro è provarne la colpevolezza. E poi via, se non fosse per i giornali, parleremmo solo di furti di rottami di metallo. e perché mai tanti ettari per quel museo? Basterebbe mettere un po´ di oggetti sotto vetro o erigere qualche monumento». Il misterioso collezionista è ancora uccel di bosco, l´incubo di misteriose reti segrete neonazi resta vivo.

La REPUBBLICA - " E l´insegna rubata torna al suo posto "

Il mondo indignato aveva considerato un affronto alla memoria il furto della scritta "Arbeit macht frei". Ieri, divisa in tre pezzi, l´insegna rubata lo scorso 18 dicembre dal cancello di Auschwitz, dove si trovava dal giugno 1940, è stata riconsegnata alle autorità del museo dell´ex campo di sterminio. Nella centrale della polizia di Cracovia, di fronte a giornalisti e cameraman, il comandante della polizia polacca ha riconsegnato l´insegna al portavoce del Museo del Campo, Jaroslaw Mensfelt. La scritta è ancora divisa in tre pezzi, così come era stata tagliata dai ladri per un trasporto più facile, e dopo la conferenza stampa è stata imballata in una cassa di legno e portata su un furgoncino ad Auschwitz dai responsabili del museo.
Mensfelt ha informato che non si sa ancora se la scritta tornerà al suo posto dopo il restauro, o se sarà esposta all´interno del Museo. In questa eventualità, sul cancello di Auschwitz verrebbe rimessa la copia fatta fare subito dopo un precedente furto, avvenuto nel 2006. La riconsegna della scritta è avvenuta a sei giorni dalle celebrazioni previste ad Auschwitz il prossimo 27 gennaio per il sessantacinquesimo anniversario della liberazione del lager da parte dell´Armata Rossa.

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