Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Grave attentato talebano a Kabul Cronaca di Davide Frattini. Analisi di Pio Pompa, redazione del Foglio
Testata:Corriere della Sera - Il Foglio Autore: Davide Frattini - La redazione del Foglio - Pio Pompa Titolo: «L’attacco dei talebani nel cuore di Kabul - Così i talebani assediano Kabul per far fallire il summit di Londra - I talebani entrano ancora dentro Kabul grazie ai doppiogiochisti»
Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 19/01/2010, a pag. 6, la cronaca di Davide Frattini dal titolo " L’attacco dei talebani nel cuore di Kabul ". Dal FOGLIO, a pag. 1 l'articolo dal titolo " Così i talebani assediano Kabul per far fallire il summit di Londra ", a pag. 3, l'articolo di Pio Pompa dal titolo " I talebani entrano ancora dentro Kabul grazie ai doppiogiochisti ". Ecco i tre articoli:
CORRIERE della SERA - Davide Frattini : " L’attacco dei talebani nel cuore di Kabul "
KABUL— La linea del fronte passa per un giorno sul tetto del grande magazzino Ferusgha, i cinque piani più popolari a Kabul. La trincea di foulard e specchi dove per tre ore si è asserragliato il commando dei talebani. Da qui sparano, lanciano granate sul ministero delle Finanze, puntano quello della Giustizia, bersagliano l’Hotel Serena, pieno di stranieri. Da qui coprono il kamikaze che cerca di passare i cancelli della Banca Centrale. Le guardie lo colpiscono, ma prima riesce a farsi saltare.
Al tramonto il Ferusgha è uno scheletro abbrustolito, le finestre bocche nere che non sorridono. I palazzi del potere sono intatti. Gli estremisti hanno paralizzato il centro di Kabul per tutta la mattina, hanno terrorizzato gli afghani in strada, hanno dimostrato di poter raggiungere («in venti», dice la rivendicazione) il cuore superblindato della capitale.
Hanno mancato gli obiettivi militari dell’operazione. La cerimonia di investitura del nuovo governo dimezzato (quattordici ministri su venticinque approvati sabato dal Parlamento) si è interrotta ed è ripresa. Nessuna delle roccaforti simbolo è stata conquistata, com’era successo un anno fa al ministero della Giustizia, l’attacco meglio coordinato e organizzato fino a quello di ieri.
Il presidente Hamid Karzai può annunciare, dopo pranzo, di aver ripreso il controllo. Negli scontri sono state impegnate per la prima volta in maggioranza le truppe speciali afghane, con l’appoggio degli elicotteri americani Black Hawk, in ricognizione dal cielo. L’attacco però è arrivato troppo vicino alla residenza-bunker del presidente e agli uffici del ministero delle Finanze, dove si stanno svolgendo una serie di incontri per preparare la conferenza internazionale che si apre a Londra giovedì 28 gennaio. Karzai faticherà a convincere i diplomatici occidentali che un vertice simile si potrebbe organizzare in primavera qui a Kabul. La battaglia dell’immagine è stata vinta dai talebani. Che hanno perso sette miliziani (cinque uccisi, due si sono fatti saltare) e per terrorizzare una città hanno ammazzato tre soldati e due civili (tra loro un bambino).
Il primo colpo è alle 9.50, le 6.20 in Italia. Armi automatiche. Una guardia della Banca Centrale ha capito che quel passante è un kamikaze. La mano del fondamentalista lascia il bottone sul detonatore, salta la cintura bomba. Gli altri talebani — i testimoni dicono ragazzi sui vent’anni — entrano nel grande magazzino, alzano i mantelli, mostrano i kalashnikov e gli esplosivi. «Ho visto quattro uomini, un poliziotto si è avvicinato, ha chiesto che cosa volessero», racconta Ismail, un negoziante. Ordinano a tutti di uscire, salgono ai piani alti, cominciano a sparare. In pochi minuti, 250-300 soldati e poliziotti afghani circondano piazza Pashtunistan, bloccano le strade, l’assedio è iniziato. Gli estremisti hanno portato un arsenale: lanciagranate, fucili mitragliatori, razzi, le bombe umane.
Gli ospiti dell’Hotel Serena vengono raggruppati in uno spazio protetto. Dal tetto, le guardie rispondono al fuoco dei fondamentalisti, il Ferusgha è a pochi metri dall’altra parte del muro. I razzi centrano le vetrate dell’albergo e le finestre di qualche camera, due uomini delle forze speciali francesi— li hanno scelti ieri per verificare la sicurezza dell’hotel — salgono in appoggio alla sorveglianza.
Una nuova esplosione fa tremare l’asfalto. Il kamikaze si è avvicinato al ministero dell’Educazione, guida un furgone ridipinto con i colori e i simboli di un’ambulanza militare. I poliziotti lo fermano, lui aziona la carica, finisce in fiamme un altro grande magazzino, il Gul Bahar. «Ho visto i soldati correre in tutte le direzioni— racconta un autista dell’agenzia France Presse, la macchina bloccata nel caos —. Cercavano di fermare un camioncino. Poi il lampo dell’esplosione davanti a me».
Altri tre talebani si asserragliano in un vecchio albergo, sempre attorno a piazza Pashtunistan. Prendono in ostaggio alcuni bambini, li liberano dopo un negoziato con la polizia. Sparano su un agente che si sta avvicinando per l’altra trattativa, quella della resa. Il palazzo viene bombardato dai militari con granate incendiarie.
«Alle 13.15 tutti gli assalitori sono stati eliminati», dice Mohammad Hanif Atmar, il ministro degli Interni, cresciuto alla scuola dei servizi segreti sovietici. Abito grigio, taglio di capelli che lo fa somigliare ad Andy Garcia, è seduto con Amrullah Saleh, il capo dell’intelligence, e Abdul Rahim Wardak, il ministro della Difesa. Sono in parata. Parlano di successo, considerano la battaglia di Kabul una vittoria. Accusano forze straniere («questi kamikaze sono stati addestrati all’estero»), promettono prove. Da queste parti vuol dire pezzi di corpo che risalgono a un’identità e a una nazionalità. Non confermano che dietro all’operazione ci sia la rete di Sirajuddin Haqqani, come sono convinti alcuni analisti.
Un portavoce talebano spiega al New York Times che gli attacchi sono la risposta al piano di riconciliazione nazionale, voluto dal governo Karzai e sostenuto dagli americani. La porta aperta ai fondamentalisti è stata richiusa a colpi di granate.
Il FOGLIO - "Così i talebani assediano Kabul per far fallire il summit di Londra"
Talebani
Roma. Ieri i talebani hanno attaccato il centro di Kabul con un’azione spettacolare. Alle dieci del mattino un uomo con un corpetto esplosivo ha attraversato piazza Pashtunistan, una rotonda che unisce il palazzo del presidente, la sede della Banca centrale e il ministero della Giustizia, e ha provato a entrare nell’ingresso della banca. Le guardie sono riuscite a sparare, ma lui ha fatto in tempo a farsi esplodere. Nello stesso momento altri tre uomini dentro il centro commerciale Grand Afghan vicino alla rotonda hanno gettato i cappotti che nascondevano fucili Kalashnikov e lanciarazzi. “Ci hanno detto di uscire, sono saliti sul tetto e hanno cominciato a sparare”, dice uno dei testimoni scappati. Dal tetto piatto del centro commerciale godevano di un ampio campo di tiro su tutta la zona e hanno potuto sparare direttamente sulle guardie degli edifici governativi nella rotonda, giù in basso attorno al corpo del primo attentatore. A mezzo chilometro, un’ambulanza con i contrassegni autentici dell’ospedale Maiwand di Kabul e un guidatore al di sopra di ogni sospetto, “vestito all’occidentale, in abiti eleganti”, ha superato con facilità i posti di blocco e poi è saltata in aria con un’onda d’urto violentissima, che ha scosso la capitale per almeno un chilometro e ha scavato un cratere nel mezzo dell’incrocio tra due altri palazzi del governo, il ministero dell’Istruzione e quello degli Affari esteri. I resti dell’attentatore, ha detto poi la polizia, sembrano quelli di un arabo. Anche un veicolo blindato rubato il mese scorso da un dipartimento afghano assieme ad altri sei e trasformato dai guerriglieri in un’autobomba ha imboccato in fretta un senso vietato poco lontano dal primo scoppio ed è esploso. Almeno un altro attentatore a piedi si è fatto saltare. La battaglia urbana e gli spari sono andati avanti almeno cinque ore. I passanti hanno lasciato le strade deserte, un bazaar vicino è bruciato lentamente, senza che nessuno potesse intervenire. Almeno trecento soldati afghani sono arrivati per provare a riprendere il controllo, inclusi i commando delle nuove forze speciali addestrate dagli americani, gettati in combattimento anche se non hanno ancora completato la preparazione. La reazione all’attacco, se si esclude la presenza casuale di due squadre delle forze speciali della Nuova Zelanda e degli Stati Uniti, è stata tutta afghana. Lo scontro è arrivato così vicino all’ingresso del palazzo del presidente Hamid Karzai che anche le sue guardie del corpo personali hanno cominciato a sparare. Nel pomeriggio il presidente ha detto che “Tutto è tornato sotto controllo”, ma è da due anni ormai che non attraversa più quella rotonda per andare come prima con il suo staff a bere il tè all’hotel Serena, da quando l’oasi di eleganza occidentale nella capitale fu attaccata da un’altra squadra suicida. Anche ieri l’hotel Serena è finito in mezzo al fuoco. Sono morti almeno sette talebani, un bambino e altri due civili. Ieri due portavoce dei talebani hanno rivendicato la responsabilità dell’attacco, esagerando i numeri. Zabihullah Mujaid, il più conosciuto dei due, ha detto che gli attentatori erano venti, e che le guardie uccise sono il doppio. I talebani operano soprattutto nelle campagne del sud e dell’est, nelle zone verdi attorno ai fiumi Helmand e Arghandab. Ma la capitale, relativamente tranquilla, è entrata a far parte dei loro tre grandi obbiettivi urbani: Peshawar, in Pakistan, che è il cancello d’ingresso al confine tra i due paesi; Kandahar, la città sacra dei guerriglieri; e Kabul, assediata per motivi soprattutto di propaganda. I guerriglieri dimostrano di avere l’iniziativa e di riuscire a colpire nel centro ben sorvegliato dei palazzi del governo, sotto le finestre di Karzai, a dieci giorni dalla grande conferenza di pace di Londra. Il fondo fiduciario per chi depone le armi La conferenza internazionale ruoterà attorno alla proposta inglese di costituire un fondo fiduciario per pagare i talebani che deporranno le armi. Il piano si è attirato i sospetti degli americani e degli afghani, ma a Londra il sentimento prevalente è la rassegnazione a non poter vincere il conflitto con mezzi soltanto e puramente militari. Il ministro degli Esteri inglese, David Miliband, si dice sicuro che il programma di “reintegro” convincerebbe i guerriglieri che non combattono per ideologia ad abbandonare i talebani.
Il FOGLIO - Pio Pompa : " I talebani entrano ancora dentro Kabul grazie ai doppiogiochisti "
Roma. L’attacco concentrico sferrato dai talebani nel cuore di Kabul segna definitivamente il fallimento dei fautori, in primis europei, di “aperture” politicamente corrette prefigurando processi di pacificazione del tutto avulsi dalla realtà storica e fattuale. L’onda lunga dei propositi di dialogo, professati a suo tempo da Barack Obama, ha finito con l’avere importanti riflessi nella lotta al terrorismo provocando una sorta di attendismo trasformatosi in un indiscutibile vantaggio per i jihadisti e i nemici dell’occidente. Nessuna notizia di intelligence è pervenuta in tempo per impedire ai talebani una così eclatante dimostrazione di forza. Ciò sta a dimostrare da un lato l’inesistenza di una rete informativa, come d’altronde si evinceva chiaramente dal durissimo rapporto recentemente redatto dal generale americano Mike Flynn (direttore dell’intelligence in Afghanistan), dall’altro la capacità mostrata dalla leadership talebana di compartimentare le operazioni e di penetrare massicciamente l’esercito e gli apparati di sicurezza afghani. Senza la complicità e il sostegno di elementi ben inseriti nel sistema di sicurezza di quel paese, un attacco del genere, complesso e articolato, non sarebbe stato possibile. E’ questo il dato di fatto con cui dovranno misurarsi le forze della Coalizione. Un dato drammatico e estremamente preoccupante specie nella prospettiva di dover ricostituire ex novo una adeguata rete di intelligence e ripulire dai filotalebani, iniziando dai vertici, esercito, polizia e servizi segreti. Una ulteriore chiave di lettura, di come sia possibile quanto avvenuto a Kabul, andrebbe ricercata nell’attentato di Khost, dove persero la vita sette agenti della Cia, realizzato da un loro informatore trasformatosi in kamikaze. In buona sostanza un nucleo scelto dell’intelligence statunitense è stato infiltrato da un mujaheddin arruolatosi appositamente, pur essendo assai noto nel circuito dei blogger filotalebani con il nome Abu Dujana al Khurasani. Nel settembre del 2009 egli rilasciò, alla rivista di al Qaida “ Vanguards of Khurasan”, un’intervista anticipatoria dell’attacco di Khost dichiarando: “Come possono aspettarsi, con la repressione in atto, che portiamo fiori e abiti da festa! Non porteremo che armi e vestiti militari con cinture esplosive”. L’informatore doppiogiochista lavorava per una sola causa, quella talebana utilizzando i metodi dei professionisti dell’intelligence per infiltrarsi nei gangli più delicati del nemico. In fondo così è stato colpito il cuore di Kabul.
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