Chi vuole vedere la mamma faccia un passo avanti…
A cura di Maria Pia Bernicchia
Proedi Euro 12,00
E’ il faccino delicato di Sergio De Simone, nel cui sorriso si legge tutta la gioia di vivere di un bimbo di pochi anni, che accoglie come una promessa il lettore che ha la fortuna di prendere in mano “Chi vuole vedere la mamma faccio un passo avanti….”
Quel mare di sofferenze umane che è stata la Shoah non ha risparmiato neppure i bambini, le creature più innocenti e fragili che si possa immaginare.
Il prezioso libro di Maria Pia Bernicchia, pubblicato da Proedi, uno straordinario omaggio a tutte quelle creature cui la ferocia nazista ha impedito di crescere, di formarsi una famiglia e di avere a loro volta dei figli, racconta il tragico destino occorso ai venti bambini di Bullenhuser Damm (fra i quali l’unico italiano era il piccolo Sergio De Simone).
La lettura di questo saggio è una lenta, costante, inesorabile discesa in un inferno umano inimmaginabile, un deserto dell’anima che non conosce eguali e che mostra a quali livelli può giungere la malvagità dell’uomo.
Il libro ricostruisce, attraverso un lungo lavoro di ricerca supportato dalla fede nella “memoria” e dalla ferrea volontà di non dimenticarli, le vicende di un gruppo di bambini ebrei, 10 maschi e 10 femmine, deportati ad Auschwitz-Birkenau da ogni parte d’Europa (Francia, Polonia, Italia, Olanda, Jugoslavia) e successivamente, con un tremendo inganno, trasferiti al campo di concentramento di Neuengamme, a circa 30 chilometri da Amburgo, per essere destinati ad esperimenti medici sulla tubercolosi condotti dal medico nazista Kurt Heissmeyer.
Inizialmente i bambini che giungono ad Auschwitz sono separati dalle loro famiglie e se minori di quindici anni destinati allo sterminio; dopo il mese di ottobre 1944 non vengono più inviati direttamente alle camere a gas ma un destino ancor più crudele li attende. A Birkenau si allestisce un blocco speciale, la baracca 11 (“…con il pavimento d’argilla, una vecchia stalla di cavalli…”), dove i venti piccoli ebrei vengono nutriti con cibo buono, ingrassati per essere sottoposti ad esperimenti medici: insieme ai bimbi della baracca di Mengele devono recarsi all’ambulatorio per farsi visitare e attendere a lungo con il freddo che già imperversa inesorabile in quei mesi.
Ma le loro sofferenze sono solo agli inizi: con uno stratagemma crudele, la promessa di riabbracciare la mamma, il dott. Mengele li convince a farsi avanti. La mattina del 27 novembre 1944 i 20 bambini partono da Birkenau alla volta del lager di Neuengamme , famoso per la fabbrica di mattoni rossi, “un lager di soli adulti, nessun bambino..”. Dopo alcuni mesi, nel gennaio del 1945, il dott. Kurt Heissmeyer che aspira a raggiungere la notorietà, comincia gli esperimenti nella baracca 4a, “……intorno c’è il filo spinato, i vetri delle finestre sono imbiancati per impedire che si veda dentro”.
Quelle povere creature, utilizzate come cavie, vengono infettate con il virus della tubercolosi, poi vengono asportate loro le ghiandole linfatiche per trovarvi tracce di anticorpi.
E’ il 20 aprile 1945: l’esperimento è fallito, i bambini sono gravemente ammalati e con gli inglesi alle porte diventa necessario fare sparire i piccoli.
Da Berlino giunge l’ordine di trasferirli nella scuola di Bullenhuser Damm e di ucciderli. Poco prima della mezzanotte il dottor Trzebinski pratica loro un’iniezione di morfina per farli addormentare, quelli invece che danno ancora segni di vita sono condotti in un’altra stanza e impiccati “come quadri alla parete”. Quella stessa notte i cadaveri dei bambini vengono nuovamente trasferiti dalla scuola al lager di Neuengamme e cremati.
Di loro non si sarebbe saputo più nulla, i carnefici avrebbero potuto occultare l’orribile crimine se il dottor Henry Meyer, prigioniero danese a Neuengamme, non avesse scrupolosamente annotato i cognomi, l’età, il paese d’origine dei bambini sui quali venivano compiuti gli esperimenti. Quella lista affidata alla Croce Rossa ha permesso di salvare i nomi dei bimbi di Bullenhuser Damm.
Il processo ai 14 responsabili del massacro si conclude il 3 maggio 1946 con la condanna a morte per impiccagione di 11 di loro, mentre gli altri tre, Heissmeyer, Klein e Strippel, rimangono impuniti ancora per molti anni.
E’ grazie al giornalista tedesco Gunther Schwarberg che ha dedicato la sua vita a cercare gli assassini del Terzo Reich se il massacro della scuola di Bullenhuser Damm è stato portato alla luce. Raccogliendo i più piccoli brandelli di memoria, Schwarberg ha ricostruito la storia di quei venti bambini ebrei con un lavoro di ricerca durato decenni, dando vita il 20 aprile 1979 all’”Associazione dei Bambini di Bullenhuser Damm” di cui Philippe Kohn, fratello di Georges-Andrè, il più grande dei 20 bambini, è presidente.
Nella scuola che fu teatro di quel massacro e che dal 20 aprile 1980 si chiama Janusz Korczak Schule in memoria del pedagogo polacco che scelse di morire a Treblinka insieme ai bambini dell’orfanotrofio che dirigeva, c’è una lapide nella quale il visitatore può leggere: “Qui sosta in silenzio, ma quando ti allontani parla”.
E’ ciò che dovrebbe fare il lettore una volta terminata la lettura del libro di Maria Pia Bernicchia: un documento di inestimabile valore sia sotto il profilo storico che umano, il frutto di un accurato lavoro di ricerche, di studi, di viaggi compiuti dall’autrice che per oltre trent’anni ha insegnato lingua, cultura e civiltà tedesca. Il volume che si delinea in quattro parti – dai ricordi dell’infanzia dei 20 bambini al tragico epilogo, dal processo ai carnefici alle celebrazioni che ogni anno tengono viva la loro memoria - è arricchito da documenti storici e processuali oltre che da numerose fotografie che “donano un volto” ai piccoli ebrei barbaramente uccisi.
Quello di Maria Pia Bernicchia è un libro che scuote la coscienza del lettore, si conficca nel cuore e lancia un monito affinché ciascuno di noi si faccia portatore di un messaggio per l’umanità intera: Zakhor. Al Tichkah.
Ricorda. Non dimenticare mai.
Giorgia Greco