Due notizie da Israele e Egitto.
A Gerusalemme il famoso architetto Frank O'Gehry sembra si sia rifiutato di continuare il progetto del Museo della Tolleranza, in costruzione nella capitale. La spiegazione addotta è che sorgerebbe dove un tempo c'era un comitero musulmano. Una scusa palese, anche perchè la regola islamica recita che quando un cimitero non viene più usato per 40 anni perde la sacralità religiosa e diventa un terreno come un altro. Quell'appezzamento di terra è quindi libero da ogni vincolo, essendo stato adibito a parcheggio da tempi immemorabili. La verità è semmai che Gehry, architetto famoso in tutto il mondo, avrà fatto un rapido calcolo di quanto le sue entrate potevano diminuire se avesse accettato, mettendosi in cattiva luce con i ricchissimi clienti arabi. Meglio evitarlo, da lì il no a Gerusalemme. Riprendiamo la cronaca da REPUBBLICA, con Stabile che sembra contento che il progetto possa persino saltare.
In quanto all'Egitto, pubblichiamo, il commento di Pierluigi Battista dal CORRIERE della SERA, che racconta anche la cronaca di come nel paese di Mubarak per far parte della nazionale di calcio occorra avere il nulla osta religioso.
Ecco gli articoli:
La Repubblica-Alberto Stabile: " Il gran rifiuto di Gehry, no al museo israeliano sul cimitero islamico "

Frank Gehry
GERUSALEMME - Frank Gehry rinuncia. Non ci sta. Il grande architetto americano ha ritirato la sua firma dal progetto del Museo della Tolleranza, un´opera controversa che avrebbe dovuto celebrare il dialogo e la comprensione fra popoli, razze e religioni, ma che finora ha soltanto generato proteste politiche e battaglie legali. A partire dal sito su cui dovrebbe sorgere: un antico cimitero gerosolimitano punteggiato di tombe islamiche, crociate, mamelucche, considerato a suo tempo un bene archeologico da conservare.
Restano incerte le ragioni che hanno indotto Gehry al gran rifiuto, dopo che gli schizzi e i plastici dell´edificio, un gioco di volumi in titanio, vetro e pietra, che contornano una superficie complessiva di 30mila metri quadrati, per un costo previsto di 250 milioni di dollari (170 milioni di euro), erano già stati esposti, discussi e, in qualche caso, contestati.
Secondo il giornale Haaretz, che ha prodotto lo scoop, a provocare la rottura tra l´architetto e i committenti, la Fondazione Simon Wiesenthal e il Comune di Gerusalemme, sarebbe stata la richiesta di questi ultimi di ridurre le dimensioni del progetto. Un progetto nel quale Gehry s´era gettato con passione, senza nascondere che quell´opera aveva il potere di risvegliare le sue radici ebraiche, l´infanzia vissuta con il cognome Goldenberg, successivamente cambiato in Gehry.
L´architetto, tuttavia, non ha mai voluto commentare in alcun modo le proteste che l´idea stessa di costruire un museo della Tolleranza sopra un cimitero islamico ha scatenato sin dall´inizio. A maggior ragione oggi. «È un argomento politicamente molto delicato», s´è limitato a rispondere Craig Webb, responsabile del progetto nell´ambito dello studio Gehry Associati, confermando che lo studio «non è più coinvolto in quell´opera».
Nulla di tutto questo si percepisce nel cantiere aperto oltre due anni fa in quella porzione dell´antico cimitero di Mamilla, tra la via Hillel e il parco dell´Indipendenza, nel cuore della Gerusalemme ebraica, dove, inopinatamente, alla fine degli Anni 60 venne costruito un parcheggio. Questo è stato l´argomento col quale l´Alta Corte israeliana aveva respinto il ricorso della Fondazione Al Aqsa, un´organizzazione islamica legata al Mufty di Gerusalemme, che si era opposta al progetto invocando il rispetto che si deve ai morti. È vero che, in parte, le tombe di Mamilla erano state spianate e sommerse da una colata d´asfalto, ma è anche vero che il parcheggio copriva soltanto una frazione del cimitero, mentre gli stessi esperti israeliani della sovrintendenza alle Antichità avevano attribuito alla parte restante un´importanza storica archeologica primaria.
Dopo la decisione della magistratura, nel novembre 2008, i lavori del Museo erano ripartiti a pieno ritmo. Gli scavi hanno portato alla luce non meno di duecento resti umani che sarebbero stati inumati nelle adiacenze del cantiere. Adesso il committente principale, la Fondazione Wiesenthal starebbe già cercando un´alternativa a Gehry, ma con il ritiro dell´archistar l´intero progetto sembra aver perso uno dei principali motivi di richiamo.
Corriere della Sera-Pierluigi Battista: " Se per giocare in Nazionale bisogna essere musulmani devoti "

Hassan Shehata
Hassan Shehata, il tecnico della nazionale di calcio dell’Egitto, ha un’idea molto chiara su come risolvere le guerre di religione che insanguinano il pianeta: buttando fuori dalla sua squadra i giocatori non musulmani. Amico di Mubarak, il Lippi egiziano che si fa amabilmente chiamare El Me’Alem (il Grande Capo) è uso pregare in panchina durante le partite e pretende che i suoi calciatori, dopo ogni gol, si inginocchino al centro del campo in segno di devozione e ringraziamento. Adesso, nel pieno della Coppa d’Africa, ha rispedito a casa l’attaccante Mido, gloria del Middlesbrough, colpevole di non aver «un buon rapporto con Dio» e ha spiegato che d’ora in avanti non potrebbe accettare nella sua formazione un atleta che non si comportasse come un devoto musulmano.
Che lo sport, dove dovrebbe contare solo il talento e il merito, e non l’appartenenza religiosa, o ideologica, o etnica, o familiare, o tribale, assuma la devozione obbligatoria come requisito indispensabile appare un chiaro segno dei pericoli connessi all’integralismo (e al fanatismo). Che l’Egitto, che pure usa il pugno di ferro contro i fanatici del fondamentalismo islamista, si adegui a questa nuova ondata di purezza, è un altro segno della difficoltà in cui si dibatte il mondo musulmano moderato. Si pensi soltanto all’effetto che farebbe in Italia, in Europa o in America l’esclusione da una squadra di calcio di un non cristiano. Tutti griderebbero giustamente alla discriminazione religiosa, alla fine di ogni laicità persino sulle magliette di una associazione sportiva. Si accerterebbe un caso grave di intolleranza, un’offesa a chi non si conforma alla religione dominante.
Ma in Egitto, la stessa discriminazione che ha colpito il giocatore Mido non suscita le doverose proteste, e non viene giudicata al rango di un’assurdità, di una follia integralista. Anzi, c’è da scommettere che qualcuno giudicherà la scelta di Hassan Shehata come la manifestazione di una diversità culturale degna di rispetto e di considerazione. Invece la solidarietà deve andare al calciatore discriminato, vittima di un’odiosa esclusione, simbolo di un’intolleranza che non arretra nemmeno di fronte alle manifestazioni più grottesche. Che fanno male, queste sì, alla religione e ai suoi simboli, ridotti a orpelli da parata.
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