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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Foglio - La Stampa - Corriere della Sera Rassegna Stampa
14.01.2010 La Giornata mondiale della Filosofia a Teheran? E' una pessima idea
Un regime che ha messo il bavaglio a oppositori e manifestanti non è il candidato ideale

Testata:Il Foglio - La Stampa - Corriere della Sera
Autore: Giulio Meotti - Antonella Rampino - Giuliano Amato - Guido Olimpio
Titolo: «Amato: Teheran non s'addice ai filosofi - Neda era laureata in filosofia - Dalla Birmania all’Iran La stretta dei dittatori sulla libertà della Rete»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 14/01/2010, a pag. 2, l'articolo di Giulio Meotti dal titolo " 'Aiutiamo gli iraniani a liberarsi dalla dittatura dell’imam'. Parla Taheri  ". Dalla STAMPA, a pag. 34, l'articolo di Antonella Rampino dal titolo "Amato: Teheran non s'addice ai filosofi " e la lettera aperta di Giuliano Amato a Irina Bokova, direttrice dell'Unesco, dal titolo "  Neda era laureata in filosofia". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 18, l'articolo di Guido Olimpio dal titolo " Dalla Birmania all’Iran La stretta dei dittatori sulla libertà della Rete ". Ecco gli articoli:

Il FOGLIO - Giulio Meotti : " 'Aiutiamo gli iraniani a liberarsi dalla dittatura dell’imam'. Parla Taheri "

 
Amir Taheri, Giulio Meotti

Roma. “Una tragedia devastante”. Così Amir Taheri, dissidente iraniano in esilio e storico commentatore, definisce il regime di Teheran parlando con il Foglio. Giornalista cacciato per volere di Khomeini dalla direzione di Kayhan, il maggior quotidiano di Teheran, Taheri per il trentennale della Rivoluzione islamica iraniana ha mandato in libreria un saggio dal titolo eloquente, “The Persian Night” (Encounter Books, New York). La notte persiana. “Il regime ha perso ogni decenza dopo le proteste elettorali e questo è stato molto importante”, ci dice Taheri. “Il movimento è passato dall’idea di riforma del regime alla volontà del suo abbattimento. Ma ci sono anche aspetti negativi della rivolta. Soprattutto la mancanza di sostegno degli Stati Uniti alla rivolta nelle strade. E direi la doppiezza di chi ha guidato la rivolta, fra il passato della repubblica islamica e l’idea di un nuovo Iran”. E’ crollata, soprattutto, l’idea di una rivoluzione islamica democratica. “L’ayatollah Ali Khamenei non è più una guida suprema e l’Iran non è più una repubblica islamica, è la dittatura dell’imam, l’Iran è oggi un imamato. E una specie di emirato come quello imposto dai Talebani in Afghanistan. Oggi non c’è un ayatollah- guida, ma un dittatore che regge con la forza il regime. Il concetto di repubblica islamica era una bugia fin dall’inizio, un ossimoro. Non può esserci repubblica nell’islam. C’è oggi una dittatura basata sulla forza”. A milioni hanno pagato un prezzo altissimo per la rivoluzione del 1979. “Abbiamo molte documentazioni ormai che parlano di 25.000 persone uccise dal regime, una fonte è Amnesty International, mentre sono 100.000 secondo i gruppi iraniani in esilio. Ci sono le uccisioni non ufficiali, intellettuali, cristiani, dissidenti trovati sui bordi delle strade. Migliaia di persone sono desaparecidos. Ci sono tantissimi religiosi sciiti in prigione in Iran. Si parla di quattro milioni di iraniani finiti in prigione per differenti periodi di tempo. Nel 1998 in un fine settimana il regime uccise quattromila persone. Poi ci sono cinque milioni di iraniani fuggiti e che oggi vivono in diaspora. Ci sono più medici iraniani in Canada che in Iran. E’ stata come dicevo una tragedia devastante”. Taheri non vede più sostegno interno alla leadership rivoluzionaria. “Non credo che ci sia più presa politica sulla popolazione, ma soltanto sostegno economico, è ormai una questione di interesse. Ahmadinejad ha sempre meno credibilità all’interno dell’Iran, mentre è ancora forte a livello internazionale con la sua rete antisemita e antiamericana, da Chavez a Morales. In Malesia un libro su Ahmadinejad è stato il best seller dell’anno”. Nel libro, Taheri spiega come il regime si regga su tre fobie, sull’odio di tre categorie specifiche: gli ebrei, l’America e le donne. “Sono le tre fondamenta dell’ideologia khomeinista. Si pensa che Allah abbia mandato un messaggero all’umanità, che gli ebrei abbiano falsificato il suo messaggio fino a che Maometto non ha cambiato la situazione. Oggi la cospirazione ebraica continuerebbe sui media, nell’economia, nell’invenzione della democrazia, dei diritti umani e così via. Khomeini diceva che gli ebrei sono la radice del male e che vogliono dominare il mondo sulla base di una ‘falsa religione’. Khomeini credeva poi che l’America fosse una cospirazione ebraica, mentre le donne sono tentatrici diaboliche per l’uomo islamico”. Una parola, infine, sulla possibilità del cambio di regime. “Il regime dei mullah può essere cambiato dall’interno, ma serve aiuto esterno e sanzioni dure. Ho sempre pensato che ci fosse un movimento iraniano controrivoluzionario. Oggi dobbiamo aiutarli applicando le sanzioni americane. Il sindacato italiano dovrebbe subito manifestare solidarietà con gli operai iraniani brutalizzati”.

La STAMPA - Antonella Rampino : " Amato: Teheran non s'addice ai filosofi "

Una difesa della filosofia, poiché per dirla con Gorgia la parola è un signore potentissimo, e una difesa della democrazia. Anche in Iran. Giuliano Amato ha preso carta e penna e ha scritto una lettera all’Unesco perché non si tenga a Teheran, proprio a Teheran, la Giornata mondiale della Filosofia. In calce all’appello, perché di questo si tratta, anche la firma di Ramin Jahanbegloo, filosofo iraniano e intervistatore prediletto di Isaiah Berlin, di cui in Italia si può leggere il pamphlet Leggendo Gandhi a Teheran (Marsilio), che già nel titolo rivela il profilo di musulmano «fante di pace», come di lui dice proprio Amato. Da ex presidente del Consiglio, da padre nobile della sinistra riformista non solo italiana, da docente di casa nelle università d’oltreoceano, l’attuale presidente della Treccani avrebbe potuto rivolgersi direttamente alla Farnesina, e creare un caso politico. Il che avrebbe probabilmente aperto il fianco alle inesauste polemiche sulle inanità politiche che accompagnano gli organismi multiculturali e multilaterali sin dalla Società delle Nazioni, senza raggiungere lo scopo. Invece, Giuliano Amato ha deciso di porre la questione direttamente all’agenzia culturale dell’Onu. Teheran, città che conosce bene avendo avuto modo di visitarne le istituzioni culturali anche da premier italiano - ai tempi dell’esperimento di democrazia islamica lanciato da Khatami -, ha un’università vivace e colta, «ma si arrestano studenti perché manifestano liberamente le proprie idee, e quelli di filosofia in particolare: è una dolorosa dissonanza, poiché ai filosofi si è sempre chiesto di riempire e spiegare la dignità e la libertà umane, e a Teheran è proprio a queste domande che non si può dar risposta». Per giunta, il convegno è iniziativa di un’agenzia delle Nazioni Unite, «ed è proprio l’Onu ad aver stabilito che l’Iran merita sanzioni, un provvedimento il cui significato è l’isolamento forzoso e la privazione di normali opportunità». Ergo: «Come può un’agenzia dell’Onu dire che invece nella capitale di quello Stato si può tenere un convegno di filosofi?». E senza entrare nel tema dell’inanità politica delle istituzioni sovrannazionali e globali, Amato si dichiara disposto piuttosto a credere che si tratti di un errore, di una svista derivante «dall’incredibile capacità che hanno le burocrazie di andare avanti oltre se stesse e pure oltre i propri convincimenti, una volta che hanno imboccato un percorso, il che in questo caso potrebbe anche essere avvenuto anni fa». La decisione di rivolgersi all’Unesco è stata ovviamente meditata. Poiché come ipotesi logica si potrebbe anche considerare il caso opposto, ovvero che proprio la Giornata mondiale della Filosofia possa spingere un regime a riflettere. «Sarebbe bello poter costringere un regime chiuso a rispettare la palestra del libero pensiero». Ma quella Giornata rischierebbe invece di «trasformarsi in un’effemeride, come un qualunque 8 marzo». E, peggio ancora, rischierebbe di essere usata per identificare i partecipanti iraniani e per metterli in gabbia. «Questo è il momento peggiore nella storia dell’Iran. Di Khatami non sappiamo più nulla, dal momento in cui la sua prolusione è stata interrotta dai pasdaran». Momento durissimo, ma con speranza, poiché Khamenei oggi sostiene apertamente Ahmadinejad e il suo regime, «e da tempo i religiosi di Qom esprimono crescenti riserve sull’eccesso di coinvolgimento in politica delle istituzioni religiose». Adesso, la parola è all’Unesco. Con l’avvertenza che il rischio non è zero: Ramin Jahanbegloo è già stato arrestato una volta. Usciva di casa, e trovò ad aspettarlo i poliziotti del regime. Con l’accusa di spionaggio, e solo perché era reduce dal Canada, dove abitualmente insegna.

La STAMPA - Giuliano Amato : " Neda era laureata in filosofia "


Giuliano Amato

Alla direttrice generale dell’Unesco
Sua Eccellenza Irina Bokova

Abbiamo appreso in questi giorni che l’Iran è il paese candidato nel 2010 alla Giornata mondiale della filosofia, che si tiene abitualmente nel mese di novembre. Questo appuntamento annuale rappresenta una meritevole iniziativa che ogni anno consente un intenso dialogo su scala globale e che coinvolge filosofi e studenti in forme inedite per i consueti circuiti accademici. Lo abbiamo sperimentato nelle occasioni di successo in cui la nostra Associazione, Reset-Dialogues on Civilizations, ha avuto l’onore di collaborare con la sezione filosofica dell’Unesco, in Marocco nel 2007 e in Turchia nel 2008.
Riteniamo che la candidatura dell’Iran per la prossima edizione non possa essere accolta come una ordinaria rotazione della sede, dal momento che sappiamo, purtroppo per esperienze che ci sono vicine, come in Iran si possa essere incarcerati e si possa rischiare la vita per le proprie idee. Nel giugno scorso Neda Agha Soltan, la giovane diventata simbolo delle proteste seguite alle elezioni, era laureata in studi teologici e in filosofia secolare. È certo, nelle condizioni attuali, che una Giornata mondiale della filosofia non potrà «normalmente» svolgersi in Iran e che molti filosofi non vi potranno liberamente partecipare.
Sappiamo che una decisione definitiva sulla candidatura di Teheran non è ancora passata al vaglio degli organi centrali dell’Unesco e ci auguriamo perciò che essi siano in condizione di far svolgere la manifestazione in un altro paese. Siamo certi che in questa allarmata richiesta non saremo soli e chiediamo fin d’ora a filosofi e intellettuali di ogni parte del mondo di unirsi a essa inviandoci un messaggio con la loro adesione a info@resetdoc.org

Giuliano Amato
presidente del Comitato scientifico di Reset-Dialogues on Civilizations
Giancarlo Bosetti
direttore della rivista Reset
Ramin Jahanbegloo
filosofo iraniano

CORRIERE della SERA - Guido Olimpio : " Dalla Birmania all’Iran La stretta dei dittatori sulla libertà della Rete "

WASHINGTON — È un grande bavaglio elettronico. E si estende ovunque. Dalla Bielorussia all’Iran, dall’Arabia Saudita alla Birmania. Sulle prime i regimi sono colti di sorpresa, non sanno come contenere l’informazione alternativa, poi reagiscono e trovano nuovi sistemi per reprimere il dissenso sul web.

Internet è considerato una minaccia da leader in divisa e despoti in giacca. Lo temono mullah che si nascondono dietro la religione e atei riciclatisi dopo la fine del marxismo. Ne hanno paura per ragioni diverse. In alcune situazioni Internet permette di raccontare verità scomode, consente di smascherare le bugie «ufficiali», offre a unmovimento la possibilità di sopravvivere in uno spazio virtuale, aiuta a mettere in discussione un voto truccato. Tu cittadino non puoi scendere in piazza ma manifesti comunque attraverso la tastiera e il computer. Se la tv è sotto controllo e oscura tutto, c’è il telefonino a raccogliere immagini che possono diventare storia. La drammatica uccisione di Neda nelle vie di Teheran, documentata con un breve video, ne è la prova.

Imbarazzati da quelle scene terribili, gli ayatollah non hanno tardato a cercare contromisure. I pasdaran hanno assunto il controllo della compagnia di comunicazioni iraniana e, insieme al l’intelligence, hanno creato un’unità speciale incaricata di seguire i dissidenti sulla rete. Non solo. Sempre i guardiani, forse con l’aiuto di hacker mercenari, hanno attaccato i siti degli oppositori. Un segnale evidente di come siano inquieti.

La stessa preoccupazione attanaglia la giunta di Rangoon. Le autorità hanno introdotto una legge speciale, con la quale hanno vietato la diffusione di qualsiasi foto o video che possano «screditare» il potere. In base al codice un ex ufficiale, Win Naing Kyaw, è stato condannato il 7 gennaio a 20 anni di galera. Una sentenza simile a quella riservata a un giornalista free-lance. Una pressione accentuatasi dopo le dimostrazioni del 2007. Non contenti di aver schiacciato in modo brutale la contestazione, i gerarchi hanno picchiato duro anche sulla rete.

Le dittature, purtroppo, imparano in fretta. Copiano i metodi usati da altri, a volte se li scambiano accomunati dall’istinto di sopravvivenza. Non di rado trovano collaborazione in grandi compagnie occidentali. Se prima i dittatori hanno lasciato qualche spazio, oggi lo chiudono in modo risoluto. Lo dicono i numeri. Nel 2009 sono finiti in prigione, a tutte le latitudini, oltre 150 blogger e di questi 61 hanno subito anche violenze fisiche. Una grande stretta sulla rete che si è fatta forte in una decina di paesi. Oltre a Cina, Iran e Birmania, gli sbirri del web sono entrati in azione in Thailandia, Egitto, Tunisia, Arabia Saudita, Bielorussia, Turkmenistan e Uzbekistan. Interventi su livelli diversi, ma comunque mirati. Come prima reazione chiudono il sito, se non basta comminano lunghe pene detentive. E’ una mannaia che si abbatte su artisti e semplici blogger. Chi detiene il potere trova sempre un motivo per giustificare il provvedimento, quando è a corto di pretesti li inventa. A Dubai è finito sotto tiro chi ha espresso dubbi sulla tenuta dell’economia, a Bangkok è toccato a quanti hanno osato mescolare gli affari privati del sovrano— nello specifico la salute— all’andamento delle Borse. Insomma qualsiasi notizia che disturbi i manovratori.

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