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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Foglio-La Repubblica Rassegna Stampa
10.01.2010 Iran, carcere e torture. Quando il silenzio è complicità
E c'è chi sostiene che non bisogna bombardare i siti nucleari

Testata:Il Foglio-La Repubblica
Autore: La redazione del Foglio-William J.Broad
Titolo: «L'Iran è la più grande galera al mondo per i giornalisti-Iran, decine di impianti atomici nascosti nei tunnel di Ahmadinejad»

Sul FOGLIO e REPUBBLICA due servizi sull'Iran. Sul FOGLIO del 09/01/2010, a pag.1, una descrizione impressionante della repressione dei Mullah, mantre le democrazie assistono in silenzio. Su REPUBBLICA di oggi, 10/01/2010, a pag.15, un articolo tradotto dal New York Times, che viene presentato a sostegno della tesi che non è più possibile attaccare le strutture nucleari essendoci molti impianti nascosti nei tunnel fatti costruire da Ahmadinejad. Una tesi curiosa, smentita dal buon senso, l'Iran, dopo un bombardamento a tappeto sui siti conosciuti, si troverà a gestire una situazione tale che persino un cambio di regime apparirà la soluzione migliore. In quanto ai tunnel, c'è da chiedersi come mai l'AIEA non ne mai fatto menzione. Meglio chiuderla l'agenzia dell'Onu, ha solo fatto dei danni nascondendo la verità sul nucleare iraniano.
Ecco gli articoli:

Il Foglio- " L'Iran è la più grande galera al mondo per i giornalisti "

Roma. Con la condanna a sei anni di carcere di altri due reporter, l’Iran è diventata “la più grande prigione al mondo per giornalisti”, secondo i dati forniti da Reporters sans frontières. Il New York Times aveva già spiegato che è in corso la più vasta repressione di giornalisti dal 1979, quando l’ayatollah Khomeini cacciò e uccise decine di reporter bollati come “spie americane e sioniste”. Sono 42 i professionisti dell’informazione detenuti attualmente nelle carceri della Repubblica islamica. I mullah hanno conquistato il primato globale. Bahman Ahmadi Amoui, giornalista noto per le critiche alla politica economica del presidente Mahmoud Ahmadinejad, è stato appena condannato a sette anni di prigione e a 34 frustate. In carcere con Bahman c’era finita anche la moglie, Jila Baniyaghoub, rilasciata grazie al pagamento di una cauzione di novantamila euro. Lei è redattrice del Focus sulle donne dell’Iran ed è da tempo impegnata sul fronte dell’emancipazione femminile. Era stata già in carcere altre volte, spedita in isolamento, interrogata al buio e costretta a bere acqua sporca. Jila è tra i fondatori della campagna “One Million Signatures Campaign for Equality”, nata per cambiare le leggi iraniane sulla discriminazione di genere. L’International Women Media Foundation le ha conferito il premio “Coraggio nel giornalismo”, già assegnato in passato anche alla giornalista russa Anna Politkovskaya. Intanto 36 parlamentari iraniani vicini ad Ahmadinejad hanno varato un disegno di legge che impone la condanna a morte dei dissidenti detenuti come “mohareb”, nemici di Dio. Mohseni Ejei, il procuratore generale del regime ed ex ministro dell’Informazione (Vevak), ha dichiarato che “quelli che si rivoltano contro l’ordine giusto, l’iman di diritto, saranno secondo la sharia, condannati a morte” . “L’ultima repressione non è soltanto contro i giornalisti, ma anche verso i blogger e chiunque diffonda informazioni”, dice Vincent Brossel di Reporters senza frontiere. Uno dei casi più celebri è quello di Ahmad Zeydabadi, giornalista e collaboratore della Bbc, ma soprattutto leader di Advar Tahkim Vahdat, l’associazione di ex studenti nata negli anni della Rivoluzione come organizzazione islamica e poi diventata una delle più note associazioni democratiche del paese, in prima linea nella difesa dei diritti umani. Zeydabadi ha vinto la penna d’oro per la libertà della World Association of Newspapers. E’ stato appena condannato a sei anni, di cui cinque da scontare in confino a Gonabad, nonché la perdita a vita dei diritti civili e politici. Un cittadino “dimezzato” dunque, che non soltanto dovrà trascorrere la maggior parte della prigionia in un luogo lontano centinaia di chilometri dai suoi cari, ma anche dopo che avrà scontato la pena non potrà recuperare il suo diritto a partecipare attivamente alla vita politica e a svolgere liberamente la sua professione. Sono finiti in carcere anche Rouzbeh Karimi del giornale Kargozaran Daily, Ali Hekmat direttore del giornale al bando Khordad, Mohammad Reza Zohdi direttore di Aria, Mahsa Hekmat, un reporter di Etemad e Melli, e Mehrdad Rahimi, blogger e giornalista. Shahin Mahinfar lavorava per l’ente governativo Iran Broadcasting ed è stato licenziato e detenuto soltanto perché la scorsa settimana il figlio è stato ucciso nelle dimostrazioni antiregime. L’Iran ha appena vietato ai cittadini di avere contatti con una sessantina di organizzazioni tra cui Bbc, Human Rights Watch, Voice of America finanziato dal governo americano e Radio Farda, così come i canali satellitari pro monarchici con base negli Stati Uniti, la radio pubblica israeliana e il gruppo ribelle dei Mujaheddin del popolo. Le “confessioni” dei giornalisti incarcerati sono tutte uguali: “Bismillah, al rahman al rahim… Confesso di aver subito l’influenza della Bbc, di Radio Voice of America e di altri media stranieri”. Uno dei casi più atroci è quello del giornalista Masoud Bastani, rinchiuso nel carcere di Evin da sei mesi. Il regime islamico lo ha catturato attraverso uno stratagemma. La moglie, giornalista anche lei, viene arrestata da agenti dei servizi segreti, mentre Masoud non è in casa. Quando lui si reca a chiedere informazioni sul conto della moglie, immediatamente si ritrova in isolamento nella sezione 209 di Evin. Questa è la famigerata ala del carcere dei dissidenti dove ai tempi di Khomeini si uccidevano i prigionieri politici estraendo loro il sangue

La Repubblica-William J.Broad: " Iran, decine di impianti atomici nascosti nei tunnel di Ahmadinejad "

Nel settembre scorso la scoperta di un impianto per l´arricchimento dell´uranio nascosto nelle profondità di una montagna situata nei pressi della città santa iraniana di Qom gettò nuova luce su un modus operandi che è andato prendendo piede soprattutto nell´ultimo decennio. L´Iran infatti ha segretamente lavorato per nascondere una parte sempre più ingente dei suoi impianti atomici in dedali di gallerie, cunicoli e bunker scavati in tutto il Paese.
Con questa strategia - a detta di esperti federali e indipendenti - Teheran ha preso due piccioni con una fava: non soltanto ha protetto da eventuali attacchi militari le proprie infrastrutture seppellendole nelle profondità rocciose delle sue montagne, ma ha altresì tenuto accuratamente nascoste la portata e la natura dei suoi sforzi nucleari nell´ambito di un programma notoriamente ambiguo. La scoperta dell´impianto di Qum, pertanto, ha esacerbato in modo particolare il timore che esistano altri siti simili di cui non si ha ancora notizia.
Adesso che si avvicina la scadenza fissata dal presidente Barack Obama per ottenere risultati concreti dai colloqui diplomatici, questo tentativo di nascondere ogni attività e impianto assume una connotazione particolare, di colpevole segretezza, che complica ulteriormente - se possibile - i già difficili calcoli militari e geopolitici dell´Occidente. «La posizione sotterranea degli impianti complica enormemente le possibilità di colpirli e centrarli» dichiara Richard L. Russell, ex analista della Cia oggi alla National Defense University. «Noi siamo abituati a prendere di mira strutture che si trovano sul terreno, mentre colpire un impianto sotterraneo significherebbe un po´ colpire alla cieca. Oltretutto non si è in grado di sapere con certezza che cosa di preciso si faccia sottoterra».
L´Iran è un Paese dal territorio prevalentemente montagnoso, che nel corso della sua storia ha utilizzato spesso i tunnel a scopi civili quanto militari. Oltretutto Mahmoud Ahmadinejad ha rivestito un ruolo molto importante in questa attività, essendo ingegnere civile specializzato nei trasporti, fondatore dell´Associazione iraniana dei trafori e oggi presidente della nazione. Secondo una stima di esperti del governo degli Stati Uniti e specialisti indipendenti, in Iran potrebbero esserci centinaia, forse addirittura migliaia di grandi gallerie, e la loro destinazione è quanto mai incerta. Le imprese di proprietà del Corpo delle guardie rivoluzionarie iraniane, per esempio, costruiscono gallerie e tunnel destinati sia a usi civili sia militari.
Nessuno, in Occidente, sa con esattezza che cosa, quanto e quale parte del programma nucleare iraniano si svolga nelle profondità del sottosuolo. Nondimeno per gli inquirenti è chiaro l´intento a voler proseguire le attività atomiche in gran segreto e sempre più in profondità.
Ahmadinejad è stato all´inizio della sua carriera professionale un ingegnere civile dei trasporti con stretti legami con le Guardie Rivoluzionarie e un interesse costante per le gallerie. Nel 1998, è stato tra i fondatori dell´Associazione dei trafori iraniani, secondo il sito Web del gruppo. Quell´anno la metropolitana di Teheran si sviluppò considerevolmente e l´Iran, in gran segreto, accelerò i suoi programmi nucleari.
All´inizio del 2004, quando già era sindaco di Teheran, Ahmadinejad ha presieduto la sesta conferenza iraniana sulle gallerie, esaltando in particolare i capi dell´antica Persia per aver creato una rete di canali sotterranei e auspicando la creazione di nuove gallerie che collegassero sedi del governo, università e associazioni professionali. È opinione comune che l´incentivo a costruire impianti militari nel sottosuolo sia nato durante la guerra tra Iran e Iraq degli anni Ottanta, quando Bagdad bombardò Teheran e altre città iraniane con una grande quantità di missili. A quel punto scavare ripari sotterranei, bunker e gallerie divenne un dovere patriottico.
Gli strateghi di guerra americani considerano la rete di gallerie iraniane - a prescindere dal loro numero esatto e da ciò che ospitano - come un serio test delle capacità militari iraniane: la maggior parte di loro ritiene che non sia affatto semplice spazzar via un programma nucleare che sia così ben nascosto, così esteso, situato a tale profondità. Tra le varie difficoltà che si dovrebbero sormontare, dicono gli esperti militari, vi sono false gallerie e ingressi fasulli, vere e proprie trappole, la cui ubicazione necessita di ottime informazioni. Greg Duckworth, scienziato civile che di recente ha guidato una ricerca del Pentagono mirante a individuare le gallerie nemiche, afferma sconsolato: «Gli obiettivi nascosti nel sottosuolo sono sempre stati un problema, e la situazione ora sta peggiorando».
copyright New York Times News Service
Traduzione di Anna Bissanti

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