Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 07/01/2010, a pag. 8, l'articolo dal titolo " Napoleoni, l’economista 'candidata' da FaceBook ".
Su Loretta Napoleoni, presentata dal Corriere della Sera come "economista esperta di terrorismo islamico", riportiamo l'articolo di Annalena dal titolo " Il Lazio polverinizzato ", pubblicato sul Foglio del 06/01/2010. Riportiamo, inoltre, un articolo della Napoleoni stessa, già criticato da IC e pubblicato sulle pagine dell'Unità preceduto dal nostro commento. Ecco gli articoli:
CORRIERE della SERA - " Napoleoni, l’economista 'candidata' da FaceBook "

Loretta Napoleoni
ROMA— È un’economista esperta anche di terrorismo islamico, vanta titoli accademici in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. E adesso vorrebbe usare le sue competenze per raddrizzare i conti della disastrata sanità laziale con «una riforma alla Obama, senza tagliare i servizi, ma garantendo a tutti l’assistenza». Ecco Loretta Napoleoni, 55 anni, sposata con 4 figli, nata a Roma, ma da anni residente a Londra. Dopo il pressing via FaceBook di non meglio precisate «persone che gravitano nel Pd» senza però essere inserite nel partito, Loretta Napoleoni ha deciso di presentarsi alle primarie nel Lazio, se il centrosinistra opterà per questa strada (ipotesi in verità al momento un po’ remota) per individuare il candidato da opporre a Renata Polverini. Il suo curriculum è di alto livello: è stata borsista alla Fulbright University e alla London School of Economics, oltre a varie specializzazioni in Italia e all’estero. Già negli anni Ottanta aveva lavorato per il Fondo monetario, poi per banche private e organismi internazionali. Ed è consulente, per le questioni relative al terrorismo islamico, di enti statunitensi, israeliani, spagnoli e turchi. È anche autrice di libri e saggi di economia tradotti in 18 lingue. Ora la Napoleoni vuole tornare a Roma. Per governare il Lazio. Ma sulla sua eventuale candidatura, prima ancora del confronto con Renata Polverini, c’è da sconfiggere una resistenza iniziale altrettanto forte: quella dello stesso Pd.
Il FOGLIO - Annalena : " Il Lazio polverinizzato "

Loretta Napoleoni vive a Londra ma su Facebook, dove ha circa 600 fan, le hanno detto che deve assolutamente diventare presidente della regione Lazio. In quanto esperta di finanza e di terrorismo. Ma soprattutto molto progressista. Così progressista e attenta alla realtà non immediatamente visibile da non avere mai creduto alla balla della minaccia del terrorismo islamico, né a quella dei benefici della caduta del Muro di Berlino e della diffusione della democrazia, ma nemmeno alla possibilità di convivere serenamente con la globalizzazione, che anzi favorisce il crimine organizzato, mentre il problema del clima, a differenza del terrorismo, è assolutamente reale e urgente: nei prossimi cinquant’anni, se non investiamo nelle energie alternative, “rischiamo di non avere più abbastanza idrocarburi per vivere”. Loretta Napoleoni pensa che l’Amministrazione Bush abbia sopravvalutato, fortificato, alimentato il terrorismo, l’ha scritto in tutti i suoi libri, l’ha detto in ogni intervista, l’ha ribadito sull’Unità e su Internazionale, sul Guardian, sul Monde, sul País: “La guerra contro al Qaida è stata una follia economica. Ed è all’origine dei mali economici dell’occidente di oggi”. Insomma, se non si fosse cercato di rispondere agli attacchi terroristici adesso saremmo ricchi, felici e comunque sicuri perché, come ha scritto Loretta in “I numeri del terrore” (edizioni Il Saggiatore), ma anche in “Economia canaglia”, in “Terrorismo Spa” e nell’ultimo libro “La morsa” (sottotitolo: “Distratti da al Qaida, derubati da Wall Street, come ne usciamo? Le vere ragioni della crisi mondiale”), negli anni Settanta la minaccia terroristica era molto più reale di adesso: ora ci troviamo di fronte a “fantasmi” e a bugie dei governanti che fanno leva sulla nostra paura e ci fanno credere che un terrorista islamico potrebbe tentare di farsi esplodere su un aereo Delta per Natale. Loretta Napoleoni ci insegna a non avere paura dei terroristi, ma piuttosto dei cambiamenti climatici e dei tremendi effetti della caduta del Muro di Berlino, che ha creato “grandi squilibri come l’ascesa degli oligarchi, l’impoverimento dei salari, il traffico delle schiave del sesso slave”, insomma di un’economia canaglia che non può più nemmeno essere riformata dall’interno, ma ha bisogno di una rivoluzione che sposti il nuovo mondo a oriente e che mobiliti la società civile. Fortunatamente c’è Facebook, “uno strumento fantastico, profondamente democratico, che attiva un dibattito in parallelo”, ma anche il Festival della Letteratura di Mantova, la festa di Internazionale, momenti importanti in cui Loretta Napoleoni può spiegare come gira il mondo, e se vincerà le primarie nel Lazio e poi magari la presidenza (dicono che si sia già assai “polverinizzata”), spiegherà qual è il suo modello economico preferito, l’unico da salvare e da contrapporre a questa dannatissima globalizzazione occidentale: la finanza islamica. Modello virtuoso perché provvisto di principi etici da rispettare, cioè la sharia: non si può investire in alcolici, in prostituzione, il denaro non deve generare denaro e i rischi vanno condivisi. “La finanza islamica ci riporta ai principi fondamentali, quando l’economia non era canaglia”. Loretta Napoleoni, se diventerà governatore, proverà senz’altro ad applicare la legge coranica alla regione Lazio.
L'UNITA' - Loretta Napoleoni : "Se la propaganda terroristica fa comodo agli Usa e a Bin Laden".


Loretta Napoleonii commenta così l'attentato di pochi giorni fa sul volo da Amsterdam a Detroit : "Ci troviamo di fronte ad una ripresa del terrorismo transnazionale che tanto piace ad Al Qaeda, oppure si tratta della solita propaganda che tende ad ingigantire in casa nostra la minaccia del famigerato saudita? ". A suo avviso Al Qaeda non è un rischio. Anzi, sarebbe tutta propaganda.
Poi Napoleoni cita le dichiarazioni di Osama in un video del 2003 : "George W. Bush e Al Qaeda cooperano perché mirano a raggiungere lo stesso obiettivo: creare un clima di paura globale. Dall’11 settembre in poi terrorizzarci fa infatti comodo ad entrambi. L’amministrazione Bush usa l’arma della paura per giustificare l’attacco preventivo in Iraq. ". Le guerre in Afghanistan e in Iraq sono state motivate dalla lotta al terrorismo. Napoleoni può anche pensare il contrario, ma citare le dichiarazioni di un terrorista come dimostrazione della sua tesi assurda ha del ridicolo. Osama Bin Laden sarebbe una fonte autorevole di analisi politica?
Riguardo alle nuove cellule di Al Qaeda che continuano a nascere in Europa e in Usa, Napoleoni scrive : "Caratteristica comune di questi gruppi è l’assenza di professionalità e la faciloneria con la quale pensano di poter riprodurre, anche se su scala ridotta, la tragedia delle due torri. A parte l’attentato di Madrid nel marzo del 2004 e quello di Londra a luglio dell’anno dopo nessuno va in porto.". Il numero di attentati terminati con "successo" si è ridotto, ma non per la scarsa professionalità o per la sfortuna dei terroristi. Le misure di sicurezza sono aumentate dopo l'11 settembre. E, vista la facilità con la quale continuano a verificarsi tentativi, aumenteranno ancora.
La tesi più ridicola e assurda di tutto l'articolo, però, è contenuta in queste righe : "in un momento in cui l’Occidente ancora si lecca le ferite della recessione creata dalla scelleratezza di Wall Street far quadrato contro un nemico diabolico come Al Qaeda, un avversario che vuole distruggerci ci tonifica e ci distrae dalle conseguenze disastrose della crisi economica.". Forse Napoleoni non se n'è accorta, ma l'attentato delle Torri Gemelle è avvenuto qualche anno prima della crisi economica attuale...le due cose non sono collegate fra loro. La lotta al terrorismo è iniziata prima della crisi. Che peccato che questa analista da Carnevale non fosse sul volo Delta Amsterdam/Detroit..
Ecco l'articolo:
Alla fine del2009 Al Qaeda torna a comparire sulle prime pagine dei quotidiani in relazione ad alcuni attentati e rapimenti. Il presidente Obama rilascia dichiarazioni sulla minaccia terrorista ed Osama Bin Laden torna a far circolare dichiarazioni anti-americane. Ci troviamo di fronte ad una ripresa del terrorismo transnazionale che tanto piace ad Al Qaeda, oppure si tratta della solita propaganda che tende ad ingigantire in casa nostra la minaccia del famigerato saudita? La risposta va ricercata nello strano rapporto che da quasi undecennio lega i due nemici: gli Stati Uniti d’America e Al Qaeda. Verso la fine del 2003, quando in Iraq scoppia la violenza settaria tra sciiti e sunniti e le forze di coalizione si ritrovano a combattere controun nemico elusivo e micidiale, cioè i jihadisti di Al Zarqawi, Osama Bin Laden rilascia una dichiarazione storica. In uno dei tanti video che arrivano alla redazione di Al Jazira afferma che all’apparenza George W. Bush e Al Qaeda cooperano perché mirano a raggiungere lo stesso obiettivo: creare un clima di paura globale. Dall’11 settembre in poi terrorizzarci fa infatti comodo ad entrambi. L’amministrazione Bush usa l’arma della paura per giustificare l’attacco preventivo in Iraq. Nel febbraio 2003, durante il famoso discorso al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, Colin Powell, l’allora segretario di Stato americano, crea dal nulla il mito di Al Zarqawi, che diventa un superterrorista. Lo presenta al mondo come il legame che esiste tra Saddam Hussein e Osama Bin Laden, è questa infatti la prova che i due sono alleati, e tutti naturalmente ci credono. Oggi sappiamo che si trattava soltanto di menzogne, Al Zarqawi non faceva neppure parte di Al Qaeda e SaddamHussein addirittura temeva Bin Laden. La propaganda della paura è anche l’arma che subito dopo l’intervento armato contro l’Afghanistan, che distrugge sia Al Qaeda che il regime talebano, il saudita usa per trasformare quest’organizzazione nel primo marchio terrorista internazionale. I video, le dichiarazioni ed i comunicati che come un nubifragio allagano le redazioni dei giornali e delle televisioni hanno lo scopo di tenere alta la tensione. L’Al Qaedismo diventa così un ombrello ideologico che dà vita ad una nebulosa di gruppuscoli armati che vogliono emulare lamadre di tutti gli attentati, l’11 settembre. A motivarli è naturalmente la presenza delle forze di coalizione in Afghanistan ed in Iraq, non certamente la propaganda di Bin Laden, che per i giovani potenziali jihadisti suona sempre più assurda ed incomprensibile. Caratteristica comune di questi gruppi è l’assenza di professionalità e la faciloneria con la quale pensano di poter riprodurre, anche se su scala ridotta, la tragedia delle due torri. A parte l’attentato di Madrid nel marzo del 2004 e quello di Londra a luglio dell’anno dopo nessuno va in porto. C’è poi un ulteriore elemento che accomunai jihadisti del dopo 11 settembre, tutti operano all’interno di gruppi compartimentalizzati, sono cioè indipendenti e privi di contatti tra di loro o con il nucleo storico di Al Qaeda, che dopo la sconfitta a Tora Bora si è rifugiato in Waziristan. La poca professionalità e l’isolamento sono la chiave di lettura del fallito attentato aereo di questa settimana, quello che ha suscitato le dichiarazioni del presidente Obama e che ha risvegliato dall’apatia dell’esilio Bin Laden. A quanto ci viene detto a progettarlo è un gruppo ubicato nello Yemen, Al Qaeda nella Penisola Arabica, appartenente quindi alla nebulosa dell’Al Qaedismo. E’ questa l’ennesima sigla contenente il marchio di Bin Laden e composta di gente esaltata, indottrinata che non possiede la professionalità necessaria per portare a termine con successoun attacco. Sebbene l’intenzione fosse quella di far esplodere sui cieli dell’America un aeroplano con 300 persone a bordo, l’attentatore non solo cerca di far esplodere l’esplosivo mentre è circondato dai passeggeri ma finisce per darsi fuoco. La tragedia è stata evitata perché fortunatamente ci troviamo ancora una volta di fronte a terroristi incompetenti. Sull’altra faccia della medaglia troviamo i servizi di sicurezza americani, anche loro non hanno dato prova di grande professionalità. Il giovane attentatore nigeriano, Umar Farouk Abdulmutallab, compare su una delle tante liste del terrore ciononostante riceve il visto d’ingresso negli Stati Uniti. Non finisce neppure nella no-flying list, l’elenco di coloro a cui è vietato volare perché sospettati di avere qualche legame con organizzazioni armate. Nessuno poi bada al fatto che il padre, un ricco banchiere, poco tempo fa aveva allertato i servizi segreti nigeriani che il figlio era caduto nella rete dell’indottrinamentodi ungruppo che progettava attentati contro le ambasciate statunitensi nelmondomussulmano, Al Qaeda nella Penisola Arabica appunto. Falliti attentati, incompetenze, dubbia professionalità sembrano caratterizzare il comportamento sia di chi ci vuole distruggere e di chi invece dovrebbe difenderci. Questo il sunto di quanto sta accadendo. Eppure il mancato attentato aereo diventa una sorta di scampato secondo 11 settembre. La macchina propagandistica statunitense e quella di Bin Laden si mettono subito in moto e tornano ad usare la paura quale arma principale. Il marchio Al Qaeda permette a Bin Laden di legarlo agli attentati di dicembre ed al rapimento di due italiani avvenuti in Mauritania, anche questi rivendicati da un appartenente alla nebulosa del terrore: Al Qaeda nel Magreb. E nel giro di pochi giorni si parla di ripresa dell’attività di Al Qaeda vicino a casa nostra, nel Magreb, appunto. Eppure tutti i rapimenti avvenuti negli ultimi 12 mesi in questa regione, tra Mauritania e Mali, tra cui tre sauditi edue canadesi che lavoravano per le Nazioni Unite, sono stati tutti orchestrati da gruppi criminali e non da Al Qaeda. La dicotomia Usa-Al Qaeda è dunque tornata prepotentemente alla ribalta senza una vera base, senza cioè che ci siano prove inconfutabili della sua esistenza, sulla base della paura. Domandiamoci perché ciò avviene ed a chi fa comodo. La risposta alla prima domanda rientra nella tipologia classica del bene e del male: in un momento in cui l’Occidente ancora si lecca le ferite della recessione creata dalla scelleratezza di Wall Street far quadrato contro un nemico diabolico come Al Qaeda, un avversario che vuole distruggerci ci tonifica e ci distrae dalle conseguenze disastrose della crisi economica. Per rispondere alla seconda domanda bisogna fare un salto in Pakistan, dove negli ultimi tre mesi gli attentati terroristici sono diventati una ricorrenza quasi quotidiana. Dall’inizio di settembre ce ne sono stati ben 25, tutti con un numero considerevole di vittime. La causa si chiama Afghanistan, la rimonta dei Talebani sotto il naso delle truppe di coalizione, sta destabilizzando il Pakistan. Gli attentati non portano il marchio Al Qaeda ma quello Talebano. E questo è un durissimo colpo non solo per gli americani ma per Osama Bin Laden, la cui organizzazione è passata ormai in seconda linea. Naturalmente Barack Obama non è Bush, ma come Bush deve giustificare una guerra che l’America non riesce a vincere, una guerra che altro non e’ che la risposta all’11 settembre. Ebbene a buttar giù le due Torri non è stato un commandodi talebanimaAl Qaeda. Obama,comeil suo predecessore sfruttata qualsiasi opportunità come appunto il fallito attentato aereo, per ricordare agli americani che si combatte in Afghanistanuna guerra che altrimenti imperverserebbe in America, una guerra contro Al Qaeda. Nello stesso modo, anche Osama Bin Laden sfrutta qualsiasi attacco rivendicandolo per giustificare il suo ruolo di icona contro la minaccia statunitense nei territori del Califfato. E a facilitare questa propaganda è proprio il marchio Al Qaeda. Il vero pericolo non è un nuovo 11 settembre, né le mille imitazioni di Al Qaeda, ma l’effetto destabilizzante della guerra in Afghanistan nell’Asia centrale e l’avanzata dei Talebani. È in questa regione che gli occidentali continuano a morire ed è in questa parte delmondoche l’America rischia di riprodurre l’altra grande tragedia nazionale del dopoguerra: la guerra del Vietnam.
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