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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Foglio - Corriere della Sera Rassegna Stampa
05.01.2010 Anche l'Europa deve chiudere la porta in faccia all'Iran
Analisi del Foglio, cronaca di Luigi Offeddu

Testata:Il Foglio - Corriere della Sera
Autore: La redazione del Foglio - Luigi Offeddu
Titolo: «Iran, cancellata la visita degli eurodeputati»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 05/01/2010, in prima pagina, l'articolo dal titolo " Perché la Farnesina, se Obama ce lo chieda, dovrà chiudere la porta in faccia all’Iran ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 18, l'articolo di Luigi Offeddu dal titolo " Iran, cancellata la visita degli eurodeputati " preceduto dal nostro commento. Ecco i due articoli:

Il FOGLIO - "  Perché la Farnesina, se Obama ce lo chieda, dovrà chiudere la porta in faccia all’Iran"

Il ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, dice che la porta con la Repubblica islamica d’Iran non va chiusa, tra le grandi potenze funziona così, ci si guarda negli occhi alla pari, si cerca di trovare la quadra degli interessi reciproci, perché l’Iran “ha diritto di essere un grande attore” regionale, “di essere una potenza nucleare civile, ma non militare”: per questo “potremmo accettare ogni cosa meno un’azione armata contro l’Iran – ha dichiarato Frattini al Corriere – Solo pensarlo innescherebbe una catastrofe globale. Escludiamo opzioni militari anche a fronte di una guerra civile”. L’Amministrazione americana sta iniziando a realizzare, al contrario, che il dialogo e la legittimazione tra grandi potenze non possono esistere se non sulla base di una pur minima reciprocità. La mano tesa della Farnesina nei confronti degli ayatollah non è una novità di questo primo, dialogante anno obamiano: l’Italia è il primo partner commerciale dell’Iran, ci sono circa sei miliardi di euro all’anno che ci legano alla Repubblica islamica, e ogni misura economica restrittiva ha un impatto amplificato su questo nostro interscambio. Per di più, la zona afghana a controllo italiano condivide con l’Iran un lungo confine, la cui porosità si è rivelata spesso mortale anche per il nostro contingente. L’apertura al regime iraniano da parte dell’Amministrazione Obama ha però offerto l’occasione alla Farnesina di alternare i toni, alzandoli nel caso della conferenza di Durban II, mantenendo l’approccio di base dialogante. Frattini avrebbe voluto vedere eurodeputati in queste ore a Teheran, mentre il regime dice che arresterà chiunque scenda per strada e mentre annuncia un’altra batteria di centrifughe pronte ad arricchire uranio: nel maggio scorso il ministro ha pensato di andare in visita a Teheran salvo poi decidere di restare a Roma dopo che la presidenza iraniana aveva cercato di approfittare del favore stabilendo cambi di programma all’ultimo momento. Sempre in nome del dialogo è nato il flop del vertice di Trieste a fine giugno, organizzato sotto la presidenza italiana del G8: avrebbe dovuto essere un incontro decisivo, caldeggiato anche dagli Stati Uniti, e si è risolto nell’ennesima beffa di Teheran che non ha infine inviato alcun rappresentante. Poiché l’Italia è fuori dal tavolo del 5+1 – che negozia sul nucleare – ha utilizzato ogni altro appuntamento per trovare una sintesi tra i ritmi della diplomazia e quelli (meno flessibili) del dossier commerciale. Tale sintesi è complicata, e a volte pericolosa perché legittima il regime iraniano nonostante il suo atteggiamento belligerante: la cancellazione dello stato di Israele, i test missilistici sofisticati, i “no” ai negoziati, la repressione. Anche l’Amministrazione americana ne è consapevole e così ora difende la piazza e invoca nuove sanzioni (quelle unilaterali sono già state approvate dal Congresso) entro gennaio: secondo fonti del dipartimento di stato e del Tesoro, andranno a colpire le Guardie della Rivoluzione di Teheran e le aziende straniere che continueranno a fare affari con il regime. A gestire il dossier al Tesoro c’è un tipo tosto, Stuart Levey, ereditato (e non sostituito) dai tempi di Bush, che ha già l’elenco delle aziende e dei settori da colpire. Fonti del Foglio vicine alla Farnesina confermano che mai come in queste ultime settimane gli incontri bilaterali sono stati tanto intensi: l’Italia si affida al buon rapporto con gli americani per tutelare gli interessi nazionali, Washington vuole trovare una strategia comune con l’Italia. Per farlo potrà essere necessario chiudere ogni porta con il regime iraniano e riservarsi ogni opzione, anche militare, a scopo intimidatorio. Questo la Farnesina pare non averlo ancora realizzato.

CORRIERE della SERA - Luigi Offeddu : " Iran, cancellata la visita degli eurodeputati "

Le proteste dell'Occidente in seguito alla decisione di mandare una delegazione di europarlamentari in Iran sono state numerose e forti. E' difficile ritenere che non abbiano avuto peso nell'annullamento della visita e che sia stata solo un'iniziativa dell'Iran. A pensar male spesso si ha ragione, diceva qualcuno...Ecco l'articolo:

 
Franco Frattini

BRUXELLES — Era già stata battezzata la «missione impossibile», e la realtà ha confermato la profezia: come schiacciati in una doppia graticola, tra la diffidenza del governo iraniano e le polemiche scoppiate nelle capitali europee e a Washington, gli 11 eurodeputati attesi per dopodomani in Iran hanno disfatto i bagagli. All’ultimo momento, il viaggio ufficiale della delegazione parlamentare Ue-Iran è stato annullato, proprio mentre il governo iraniano annunciava l’arresto di «diversi cittadini stranieri» (nessun italiano, ha comunicato la Farnesina) durante le manifestazioni dei giorni scorsi. Formalmente, il «no» all’Europarlamento è dunque giunto da Teheran. Ed è stato sornionamente incartato da quella diplomazia iraniana, cioè persiana, ben più antica di qualunque ayatollah: la missione salta, ha spiegato infatti il ministero degli Esteri, perché bisogna «fare gli opportuni preparativi per far sì che la visita favorisca il raggiungimento dei massimi livelli di cooperazione parlamentare costruttiva fra Teheran e Ue».

La cronaca disegna però un quadro diverso: la missione era fissata da mesi, e i «preparativi» erano stati fatti. Anche se forse giudicati non «opportuni» da Teheran, poiché gli eurodeputati avevano chiesto di incontrare anche esponenti dell’opposizione iraniana. Colei che più di tutti voleva il viaggio, la capodelegazione Barbara Lochbihler (Verdi), parla ora di «un’altra triste prova» data da Teheran, ma aggiunge che le proteste occidentali contro la visita «hanno offerto il pretesto al governo iraniano» per annullarla.

E così, tocca il nervo scoperto di tutta la vicenda. Perché il «no» di Teheran si è quasi incontrato a mezz’aria con l’altro «no» che giungeva dalle diplomazie europee, da alcuni parlamentari americani, e da nutriti settori dello stesso Europarlamento: tutti concordi nel giudicare il viaggio come un avallo immeritato agli ayatollah.

Alla fine, paradossalmente, è come se uno dei «no» avesse sollecitato l’altro: ma è difficile dire quale sia partito prima. «Le autorità iraniane hanno giocato d’anticipo — dice il popolare Mario Mauro — per non esporsi all’ennesima reprimenda internazionale, come sarebbe avvenuto se a decidere di non andare fosse stato l’Europarlamento». Sempre fra i popolari, 3membri della delegazione Ue-Iran — Potito Salatto, Salvatore Tatarella e Marco Scurria — si dicono certi che il «no» di Teheran «sia dipeso dalla nostra proposta di incontrare alcuni rappresentanti dell’opposizione». La vicenda sembra aver diviso gli stessi schieramenti interni all’Europarlamento: il suo vicepresidente Gianni Pittella, del gruppo Socialisti e Democratici, diceva l’altro ieri che «andare ora in Iran sarebbe una decisione inopportuna politicamente » ; mentre David Sassoli, membro dello stesso gruppo e presidente degli eurodeputati Pd, chiedeva di dare alla missione «un mandato politico», allargandola all’intera Commissione esteri; e Debora Serracchiani, dello stesso Pd, la definiva «utile», ma «solo con una delegazione dotata di ampia libertà di muoversi e incontrare anche gli esponenti dell’opposizione». Missione impossibile, appunto.

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