La fine degli ebrei Adam Mansbach
Traduzione di F. Pacifico
Minimum fax Euro 16,50
Ha le note dell’hip hop, giravolte da strada, ritmo, irriverenza. E il colore: nero, come i ragazzi che piroettano sui marciapiedi di New York. Anche se a scrivere è un ebreo che parla di ebrei, di una saga familiare che va dall’inizio del secolo all’ultimo rampollo, un graffitista appassionato di afro-america e scrittura. Strano connubio. All’inizio il libro sembra un romanzo di classica tradizione americana con Tristan Brodsky, figlio di immigrati del Bronx negli anni Trenta, tra ebrei, jazz, neri e bar, che si fa strada epicamente: è uno scrittore, e il successo arriverà solo quando ruberà qualcosa di importante a suo nipote, l’amante dell’hip hop e del black. Tristan si chiama, come il nonno, e anche lui vuol scrivere. Troppi artisti in famiglia. E poi c’è la fotografa Nina, forse creola, fuggita dalla Cecoslovacchia comunista con una band di neri americani: a New York l’incontro con Tris è fatale. Mansbach viaggia nel tempo e fra i continenti con maestria. Qualche salto è troppo pirotecnico, ma il bizzarro incrocio tra negritudine, identità ebraica, musica “ribelle” e arte, messo sul tappeto ha colori davvero originali.
Susanna Nirenstein
R2 Cult - La Repubblica