Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 03/01/2010, a pag. 5, l'articolo di Marco Zatterin dal titolo " Vignette sataniche. Killer attacca l'autore ". Da REPUBBLICA, a pag. 6, l'articolo di Gilles Kepel dal titolo " L´attentatore della porta accanto " preceduto dal nostro commento.
Notiamo che nei titoli dei quotidiani non viene dato rilievo al fatto che Westengaard abbia rischiato di venire ucciso. I termini usati sono "attaccato", "aggredito". Se Westengaard non avesse avuto un rifugio in cui nascondersi e chiamare la polizia, sarebbe morto per mano di un fondamentalista islamico. Ecco gli articoli:
La STAMPA- Marco Zatterin : " Vignette sataniche. Killer attacca l'autore "

Kurt Westergaard e una delle sue vignette su Maometto
Kurt Westergaard se l’aspettava, il che è normale per un vignettista che ha fatto infuriare i fondamentalisti islamici conquistandosi una taglia da un milione di dollari. Quando alle dieci di venerdì sera ha sentito la finestra della veranda che andava a pezzi, non ha esitato a rifugiarsi con la moglie e la nipotina di cinque anni in un locale blindato della sua abitazione di Arhus, il capoluogo dello Jutland. Lì, mentre una voce gli urlava la condanna a morte in un cattivo danese, ha chiamato la polizia che, pure, se l’aspettava. Hanno fatto in fretta, due minuti appena. L’aggressore, un somalo di 28 anni, è stato ferito da due colpi di arma da fuoco. Gli inquirenti sono sicuri: «L’uomo ha legami con i leader di Al Quaeda dell’Africa orientale».
È un pessimo segnale, l’ennesimo, per l’anno che si è appena iniziato. La vampa alimentata dall’estremismo di matrice islamica pare orientata a voler chiudere i conti che considera ancora aperti. Quello con Kurt Westergaard, 74enne disegnatore satirico del quotidiano Jyllands-Posten, è sul libro nero degli estremisti dal 30 settembre 2005, giorno in cui la sua testata ha pubblicato dodici vignette sulla deriva terroristica del mondo musulmano. Westergaard ne fece una che raffigurava Maometto con una bomba nel turbante, oltraggiosa per il legame che suggeriva fra fede e violenza, ma anche perché la religione della mezzaluna proibisce di raffigurare il Profeta.
La dozzina di disegnatori finì nel mirino del fondamentalismo. Le loro immagini - una delle più dure illustrava i kamikaze allontanati dall’ingresso del paradiso perché «abbiamo finito le vergini» - scatenarono un’ondata di proteste, prima in Danimarca e poi in ogni angolo del pianeta, con una lunga serie di scontri culminata con le undici vittime di Bengasi nel febbraio 2006. Nel giugno del 2008 un attacco suicida all’ambasciata danese in Pakistan ha provocato la morte di otto persone.
Westergaard è considerato dai suoi nemici «il primo della lista». Già nel 2008 la polizia danese ha arrestato due tunisini e un marocchino, sospettati di voler eliminare il barbuto disegnatore. Il quale, a differenza dei colleghi, ha scelto di condurre una vita per quanto possibile normale, sotto la costante sorveglianza delle forze dell’ordine. La sua casa è stata dotata di finestre rinforzate, porte d’acciaio e una speciale «panic room», ovvero una camera blindata, collegata via radio con la polizia. E’ questa la mossa che l’altra notte gli ha salvato la vita.
Ecco i fatti. Due ore prima della gelida mezzanotte di Arhus un somalo, ancora senza nome però con residenza danese, è riuscito a sfondare la veranda dell’abitazione di Westergaard. Con un coltello e un’ascia si è introdotto nella casa del vignettista che, nel frattempo, era riuscito a mettere la sua famiglia e sé al sicuro. «Sono corso nella panic room e ho dato l’allarme mentre quello cercava con forza, ma senza successo, di buttare giù la porta - ha raccontato l’illeso Westergaard -. Mi insultava, gridava "Sangue!" e "Vendetta!. Eravamo terrorizzati, c’è mancato pochissimo che ci ammazzasse. Poi se n’è andato è ha promesso che si sarebbe fatto rivedere».
Tornando sui suoi passi, il somalo ha trovato il cammino sbarrato dalle forze dell’ordine. «Ci ha scagliato contro l’ascia - testimonia Bent Preben, vice commissario della polizia dello Jutland orientale -. Uno degli ufficiali ha esploso due colpi, centrandolo alla mano sinistra e al ginocchio destro». Condotto in ospedale, il giovane attentatore è stato identificato. Risulterebbe avere legami con Al Shabaab, l’organizzazione somala considerata dall’intelligence americana come una fra le più attive nel terrorismo internazionale. Nel pomeriggio, l’aggressore è stato condotto in tribunale su una barella, il volto coperto da una benda bianca perché non fosse riconoscibile. Lo hanno incriminato per doppio tentato omicidio, del vignettista e dell’agente che gli ha sparato. Il suo avvocato ha negato le imputazioni, confermando che il cliente era sul luogo del misfatto. Durante l’interrogatorio l’uomo non ha parlato. Gli inquirenti stanno cercando di capire se aveva dei complici.
La REPUBBLICA - Gilles Kepel : " L´attentatore della porta accanto "
Kepel scrive : " Oggi il problema è creare le condizioni per cui le popolazioni di origine musulmana si sentano parte della società in cui vivono. Occorre creare le condizioni culturali e sociali perché il salafismo non si sviluppi, perché è di una minaccia grave. Le politiche di integrazione sono una necessità molto importante ". Per un immigrato integrarsi significa accettare i valori della cultura del nuovo Paese in cui si trova. A integrarsi deve essere l'immigrato, non la società che lo ospita. L'Occidente ha determinati valori culturali ed è necessario che vengano accettati dagli immigrati musulmani perchè essi si sentano parte della società. Non il contrario. Non è l'Occidente che deve rinunciare alla propria identità democratica per favorire l'inserimento dei musulmani. E' impossibile ritenere che, per arginare il terrorismo islamico, l'occidente si debba islamizzare. Semmai il contrario.
Gli attentatori di Fort Hood e del volo Delta Amsterdam/Detroit si sono radicalizzati per via dell'influenza del fondamentalismo islamico nei centri di preghiera e su siti internet che sfuggono al controllo della polizia.
Ecco l'articolo:
Gilles Kepel
Tre attacchi diversi, ma con qualcosa in comune: il tentativo di uccidere il vignettista danese Kurt Westergaard, l´attentato fallito sull´aereo e infine la sparatoria di Fort Hood sono stati messi in atto da persone che vivono in Occidente.
E che hanno probabilmente cominciato la loro radicalizzazione su Internet.
Si tratta di persone che hanno un percorso di vita ordinario: l´ufficiale di Fort Hood era uno psichiatra militare di origine palestinese ma nato negli Stati Uniti, lo studente nigeriano studiato in una prestigiosa università inglese e veniva da una famiglia ricca. È in Occidente che hanno tradotto il loro malessere in radicalizzazione. Entrambi non sapevano l´arabo, ma l´hanno scoperto attraverso la predicazione di un imam di origini yemenite nato e cresciuto in America: è stato lui ad aprire loro la porta della radicalizzazione.
Questo fenomeno ha due caratteristiche. È molto difficile da prevenire: come gli "agenti dormienti" degli anni della Guerra fredda, che conducevano per anni vite normali prima di chiamati ad agire, queste persone vivono in modo del tutto ordinario. Quando inizia la radicalizzazione per prima cosa si allontanano quanto possibile dalla società empia. Lo psichiatra militare americano quando non portava l´uniforme indossava la lunga veste bianca e il copricapo simbolo dei salafiti. La seconda è che raramente riescono a raggiungere un livello di efficienza paragonabile a quello dell´11 settembre: a Fort Hood l´attentatore è riuscito nel suo intento, ma era un ufficiale armato. Lo studente che voleva far saltare il volo per Detroit ha fallito perché non era abbastanza preparato. Il somalo di Copenaghen ha attaccato con un´ascia la porta di una casa molto ben protetta: per lui la cosa più importante era morire da martire. È tipico dei salafiti instillare nelle persone, soprattutto quelle fragili, la voglia di martirio.
La maggior parte di questi incidenti sono accaduti nei paesi che adottavano il multiculturalismo: gli attentati di luglio sono avvenuti a Londra, l´assassinio di Theo Van Gogh ad Amsterdam. E in entrambi i paesi la reazione del governo e della popolazione ha radicalmente cambiato il quadro: oggi l´Olanda è il paese più radicalizzato contro la popolazione musulmana in Europa. E in Gran Bretagna la politica di Brown è completamente diversa rispetto a quelle dei suoi predecessori. La cosa strana negli Stati Uniti è che questi due incidenti così gravi sono avvenuti dopo l´elezione di Barack Obama e dopo il discorso del Cairo, in cui ha aperto al mondo arabo. E questa è forse la ragione per cui il presidente americano è sparito per tre giorni dopo l´attacco di Natale: l´attentato ha dato molti argomenti ai repubblicani per criticarlo.
Oggi il problema è creare le condizioni per cui le popolazioni di origine musulmana si sentano parte della società in cui vivono. Occorre creare le condizioni culturali e sociali perché il salafismo non si sviluppi, perché è di una minaccia grave. Le politiche di integrazione sono una necessità molto importante. Nello stesso tempo la vigilanza è importantissima: senza di essa siamo di fronte a un pericolo che si ripercuoterà anche contro le nostre società. Questi fenomeni sono infatti strade aperte per il razzismo e per l´estrema destra, come alcune dichiarazioni politiche in Italia hanno già dimostrato.
Concludo tornando sulle vignette danesi: nel mondo arabo esse sono il simbolo dell´ostilità e del razzismo dell´Occidente contro l´Islam. Anche per chi non è radicale. Credo che i danesi non abbiano capito quando hanno deciso di pubblicare le vignette. Pensavano di denunciare l´uso della violenza in nome della religione, ma la rappresentazione del Profeta - che per i musulmani è l´incarnazione suprema delle virtù islamiche - con una bomba in testa è stato un insulto non solo alla loro religione, ma anche alla loro dignità e umanità. Le conseguenze dureranno ancora a lungo.
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