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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - Il Giornale Rassegna Stampa
03.01.2010 Europarlamentari in Iran? Non tutti sono d'accordo
Contrariamente a quanto sosteneva Frattini ieri sul Corriere

Testata:Corriere della Sera - Il Giornale
Autore: Gianna Fregonara - Gian Micalessin
Titolo: «Eurodeputati in Iran, il gruppo del Pdl si dissocia - L’Iran sfida l’Occidente: E adesso produrremo combustibile nucleare»

La proposta di Frattini di mandare una delegazione di europarlamentari in Iran ha suscitato diverse reazioni fra i politici italiani.
Sono contrari alla visita Fiamma Nirenstein, Mario Mauro, Fabrizio Cicchitto, Gianni Pittella. Favorevoli David Sassoli, Lamberto Dini, Sergio Cofferati, Barbara Lochbihler e Mario Borghezio.

Riportiamo  dal CORRIERE della SERA, a pag. 6, l'articolo di Gianna Fregonara dal titolo " Eurodeputati in Iran, il gruppo del Pdl si dissocia ". Dal GIORNALE, a pag. 14, l'articolo di Gian Micalessin dal titolo " L’Iran sfida l’Occidente: E adesso produrremo combustibile nucleare ". Ecco gli articoli:

CORRIERE della SERA - Gianna Fregonara : " Eurodeputati in Iran, il gruppo del Pdl si dissocia "

ROMA — Per il ministro degli Esteri Franco Frattini la visita della delegazione dell’Europarlamento in Iran «è opportuna», anche in questo momento, perché è giusto «essere favorevoli ad ogni incontro interparlamentare», come dice in un’intervista al Corriere. Ma il gruppo del Pdl a Strasburgo, per mano del suo più alto rappresentante, Mario Mauro, ha già scritto al presidente del Parlamento europeo Jerzy Buzek per chiedere un approfondimento, un rinvio o anche la cancellazione della partenza per Teheran di undici eurodeputati, prevista per giovedì 7 gennaio. «Il tempo— spiega Mauro— per un ripensamento della già sofferta decisione dei capigruppo del parlamento Ue ci sarebbe, anche se i margini sono stretti: andrebbe indetta una riunione straordinaria dei capigruppo martedì o mercoledì, visto che i lavori sono sospesi per la pausa natalizia».

E se la linea del governo italiano è in continuità con il passato sui rapporti con l’Iran, di cui siamo il primo partner commerciale europeo, come conferma anche il presidente della Commissione Esteri del Senato Lamberto Dini («la posizione di Frattini è corretta, iniziative di isolamento potrebbero rinsaldare il regime e se l’Europa ha deciso la missione e il governo iraniano l’accoglie, è giusto farla»), i dubbi su come comportarsi con Teheran si insinuano non solo a livello europeo ma anche in Italia. Dividendo la maggioranza e anche l’opposizione. Fabrizio Cicchitto, capogruppo del Pdl a Montecitorio, non è d’accordo con Frattini e cioè che «è sbagliato chiudere ogni porta» all’Iran. «Si levi una protesta da parte di tutte le principali forze politiche — spiega Cicchitto — in modo da far sentire a quel regime l’isolamento internazionale a cui sta andando incontro: è una situazione gravissima che non consente reticenze o silenzi».

La pensa come il vicepresidente vicario del Parlamento europeo, Gianni Pittella, del partito democratico. Aveva già dei dubbi sulla missione, organizzata dal gruppo di parlamentari che segue i rapporti Ue-Iran, ma ora incalza che «andare in Iran in questo momento sarebbe una decisione inopportuna politicamente. È in atto una repressione cruenta e il segnale che il Parlamento europeo deve dare è quello di interrompere ogni rapporto con il regime. Si rischierebbe davvero di trasformare le finalità positive della missione in una sostanziale legittimazione degli interlocutori di governo a Teheran».

Linea, quella di Pittella, non condivisa però dal suo partito a Strasburgo se il capogruppo David Sassoli chiede, in una lettera al presidente Buzek, di «rafforzare la missione dandole un mandato politico e allargandola alla commissione Affari esteri». È infatti Sergio Cofferati, eurodeputato che fa parte del gruppo Ue-Iran, a sostenere, come anche la presidente della commissione per i rapporti con l’Iran Barbara Lochbihler (Verdi), che «è molto importante verificare di persona quello che in realtà già sappiamo per poi poterlo denunciare apertamente. È una sfida al regime andare lì ed è almomento l’unica iniziativa politica in campo a parte le parole di condanna di tutti. Avrebbe senso non partire solo se corrispondesse ad un reale isolamento del regime e cioè al ritiro degli ambasciatori e alle sanzioni, ma di questo per ora non si vede nulla». Come lui la pensano i leghisti, che con l’eurodeputato Mario Borghezio confermano la necessità di inviare la delegazione. «È sostanzialmente inutile — replica invece Fiamma Nirenstein (Pdl) che non condivide le aperture di Frattini —. Il regime ha dato segnali chiari di aggressività, radicalizzazione e violenza. Capisco che finche Obama non dirà l’ultima parola sulle sanzioni, nella comunità internazionale ci sia l’orientamento di dare un’ultimissima chance a Teheran, ma la strada dell’isolamento internazionale è già segnata».

Il GIORNALE - Gian Micalessin : " L’Iran sfida l’Occidente: E adesso produrremo combustibile nucleare "

Lo chiamano ultimatum, ma è l’ennesima mossa per guadagnare tempo, riavviare un’interminabile trattativa e accumulare uranio arricchito. Stavolta, però, il bluff è così evidente da sembrare persino sguaiato. Ad annunciarlo ci pensa il ministro degli Esteri Manoucher Mottaki. «La comunità internazionale ha un mese di tempo per decidere se accettare o no le condizioni iraniane questo - spiega il responsabile degli Esteri - è un ultimatum». Un ultimatum seguito, in caso di mancata accettazione, dalla produzione d’uranio arricchito al 20 per cento indispensabile, secondo Teheran , per alimentare un piccolo reattore nucleare destinato alla ricerca medica. «L’Occidente deve decidere se fornire combustibile per il reattore di Teheran attraverso l’acquisto o lo scambio altrimenti lo produrremo autonomamente». L’aut aut di Mottaki dà per scontato il superamento di una pericolosa linea rossa. Toccare la soglia del 20 per cento, ufficialmente per motivi sanitari, significa portarsi ben oltre quel 5 per cento sufficiente per l’alimentazione delle centrali nucleari. E visto che l’uranio può venir arricchito in fasi successive la mossa può servire a creare scorte da portare poi fino a quei livelli del 90 per cento indispensabili per la produzione di ordigni nucleari.
A rendere ancor più inaccettabile l’ultimatum contribuisce la situazione interna della Repubblica Islamica. Chiedere all’Occidente di piegar la testa e trattare mentre il regime liquida il dissenso interno equivale a formulare una proposta indecente. Stando ai siti riformisti nelle ultime ore sei giornalisti e sette esponenti del clero si sono aggiunti ai circa 1.300 esponenti dell’opposizione già finiti in galera. I sette religiosi arrestati nella città santa di Qom sono Ahmad Reza Mehrpur, famoso per le sue dichiarazioni via internet e sei discepoli del grande ayatollah dissidente Hossein Ali Montazeri, morto il 20 dicembre scorso. Il nuovo ultimatum diventa ancor più paradossale se si considera l’atteggiamento tenuto nei confronti delle proposte avanzate da Onu e Aiea con il pieno appoggio del gruppo dei «5 più 1». Per comprendere il bluff iraniano bisogna partire da lì, dalle proposte, scadute il 31 dicembre e sottoscritte dai cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza (Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, Cina e Russia) e dalla Germania (in qualità di negoziatore).
In base a quel pacchetto Teheran doveva mettere a disposizione dell’Aiea tutto l’uranio arricchito fin qui prodotto. In cambio Francia e Russia avrebbero fornito a Teheran le barre di combustibile nucleare al 5 per cento destinato ad alimentare il reattore della centrale atomica di Busher e quelle al 20 per cento per il piccolo reattore di Teheran destinato alla ricerca medica. Consegnando in una sola volta tutto l’uranio in suo possesso l’Iran avrebbe garantito di non poter procedere allo sviluppo di un’arma nucleare almeno per l’anno in corso. E l’America di Barack Obama avrebbe utilizzato la parentesi temporale per avviare un negoziato diretto. Teheran, invece, ha lasciato scadere il termine del 31 dicembre e tenta di riproporre una consegna dell’uranio in fasi successive che le garantirebbe il controllo di quantitativi sufficienti a produrre un ordigno nucleare. Una proposta inaccettabile per l’Occidente.

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