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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - La Stampa - La Repubblica Rassegna Stampa
03.01.2010 Obama vuole colpire al Qaeda in Yemen
Cronache e analisi di Guido Olimpio, Francesco Semprini, Renzo Guolo

Testata:Corriere della Sera - La Stampa - La Repubblica
Autore: Guido Olimpio - Francesco Semprini - Renzo Guolo
Titolo: «Obama: Puniremo Al Qaeda in Yemen - Da Guantanamo alla guerra santa sui monti di Sana'a - Sui monti della penisola arabica il vivaio della nuova jihad»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 03/01/2010, a pag. 8, l'articolo di Guido Olimpio dal titolo " Obama: Puniremo Al Qaeda in Yemen ". Dalla STAMPA, a pag. 2, l'articolo di Francesco Semprini dal titolo " Da Guantanamo alla guerra santa sui monti di Sana'a ". Dalla REPUBBLICA, a pag. 2, l'articolo di Renzo Guolo dal titolo "  ". Ecco gli articoli:

CORRIERE della SERA - Guido Olimpio : "Obama: Puniremo Al Qaeda in Yemen"

WASHINGTON — Barack Obama alza il tono. Nel tradizionale discorso radiofonico del sabato mira dritto sui qaedisti dello Yemen. Dietro l’attentatore del jet Northwest c’è la loro mano, ha ribadito il presidente. «Risulta che questo gruppo lo ha addestrato, equipaggiato con gli esplosivi e diretto per l’attacco all’aereo in rotta verso l’America», ha aggiunto Obama promettendo che «tutti coloro che sono coinvolti» saranno puniti. Un’azione che sarà condotta in collaborazione con la Gran Bretagna e sarà estesa anche alla Somalia.

Un monito affidato non solo alle parole. Il generale David Petraeus è arrivato nello Yemen dove ha incontrato il presidente Alì Saleh. Hanno discusso di aiuti militari — quelli americani saranno portati a 140 milioni di dollari — e di cooperazione anti-terrore. È probabile che Petraeus cercherà di convincere gli yemeniti ad autorizzare interventi diretti statunitensi. Del resto è già avvenuto alla metà di dicembre— con un raid missilistico — e qualche mese prima nella vicina Somalia, altra area «calda».

Le forze Usa potrebbero cercare di colpire i leader di Al Qaeda con incursioni nelle regioni di Marib e Jawf o nell’Est. Operazioni affidate ai velivoli senza pilota armati di razzi, ai missili da crociera sparati dalle navi e ai caccia. Azioni che però hanno bisogno di uno stretto coordinamento con gli yemeniti che in queste ore hanno lanciato una massiccia operazione di rastrellamento. Una manovra per costringere i terroristi ad uscire allo scoperto.

Un’eventuale incursione potrebbe aiutare, in parte, la Casa Bianca accusata di essere «debole» e incerta nella gestione della sicurezza. Colpi aggravati dal fallimento dell’intelligence. Su questo aspetto, Newsweek, ha rivelato che anche il presidente, tre giorni prima di Natale, aveva ascoltato un briefing sui pericoli di attentati durante le feste. Attorno al tavolo nella Situation Room i dirigenti dell’intelligence e delle agenzie federali. Nella relazione, però, non c’era nulla di preciso e di legato al complotto partorito nello Yemen. In dicembre, gli 007 avevano iniziato a «scavare» su una soffiata che parlava di una fazione in Pakistan al lavoro per preparare un attentato, ma la storia aveva perso credibilità. Così come non aveva destato interesse l’ormai celebre segnalazione — risalente ad agosto— su un piano messo a punto nello Yemen e affidato «ad un nigeriano».

Se si guarda bene agli eventi è abbastanza chiaro che il problema sono state le troppe informazioni. Un’overdose di dati difficili da assorbire. Obama, adesso, vuole trovare un rimedio. Il segretario alla Homeland Security, Janet Napolitano— ritenuta in bilico — ha ordinato l’invio di esperti nei principali aeroporti collegati agli Usa per adottare nuove misure. Il consigliere per le questioni di sicurezza John Brennan sta invece conducendo la verifica interna. A Washington si afferma che potrebbe dimettersi il direttore dell’intelligence Blair da tempo in guerra con il capo della Cia, Leon Panetta. Un duello legato proprio alle competenze. Voleva lasciare da tempo, ma la storia del volo 253 potrebbe accelerare la sua uscita.

La STAMPA - Francesco Semprini : " Da Guantanamo alla guerra santa sui monti di Sana'a  "


Said Ali al-Shihri

Raccontava che una volta libero sarebbe tornato a Riad per lavorare nel negozio di arredamento della sua famiglia. E invece ancor prima di lasciare Guantanamo Said Ali al-Shihri sapeva che il suo destino era legato a doppio filo alla jihad e ad Al Qaeda. Classe 1973, Al-Shihri è uno degli ex prigionieri del carcere militare cubano tornati a operare nell’organizzazione fondata da Osama bin Laden, dopo quasi sei anni di detenzione, interrogatori estremi e un processo mai arrivato. Abbastanza per consolidare il suo credo estremista e il fanatismo islamico, tanto che oggi Al-Shihri è considerato il segretario generale, ovvero il numero due, dell’organizzazione «Al Qaeda nella Penisola Arabica», da lui fondata assieme ad altri in Yemen nel gennaio del 2009.
«In nome di Dio, la nostra prigionia altro non ha fatto che rafforzare il credo nei nostri principi», ha spiegato durante il discorso inaugurale del nuovo gruppo. Sarebbe lui la mente di diversi attacchi, compreso il tentato omicidio dello scorso agosto ad Al-Rubaish, il capo dell’antiterrorismo saudita, oltre a numerosi rapimenti di turisti e omicidi di cittadini stranieri.
Potrebbe risalire a lui anche il fallito attacco kamikaze sul volo Northwest Amsterdam-Detroit. L’autore dell’attentato ha ricevuto infatti addestramento in un campo di terroristi proprio in Yemen prima di andare in Africa da dove è partito per gli Usa.
Al-Shihri lascia l’Arabia Saudita due settimane dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001 alla volta dell’Afghanistan dove si addestra nel «Libyan training camp» a Nord di Kabul, specializzandosi in tecniche di guerriglia urbana per poi offrire aiuto ai profughi dopo l’attacco alleato. Viene ricoverato in un ospedale del Pakistan per un mese e mezzo dopo il ferimento durante un raid aereo. Torna a operare con le milizie ribelli filo-taleban ed è catturato dagli americani nel dicembre del 2002 al confine settentrionale tra Afghanistan e Pakistan.
Viene trasportato a Guantanamo dove rimane rinchiuso in regime «extragiudiziale» sino alla fine del 2006 quando l’amministrazione dell’ex presidente George W. Bush ordina la scarcerazione di numerosi sospetti terroristi, in particolare sauditi. L’accusa nei suoi confronti è di aver fornito supporto logistico a terroristi per entrare nei campi di addestramento in Afghanistan. In particolare le autorità americane puntano l’indice su una serie di incontri avvenuti a Mashad, in Iran, con alcuni gruppi di estremisti. Accusa da lui sempre respinta: si trovava da quelle parti per concludere un affare di tappeti, dice più volte. Ed era proprio nel negozio di arredamento dei genitori che sosteneva di voler tornare una volta liberato da Guantanamo.
Convince gli americani della sua redenzione e all’inizio del 2007 torna in Arabia Saudita per sottoporsi al programma di riabilitazione che il governo locale ha messo a punto per il reinserimento degli ex detenuti. Seduta dallo psicologo, colloqui con guide spirituali, sport e incontri con esperti non bastano però a cambiare Al-Shihri che in realtà dentro di sé cova un enorme odio nei confronti degli americani e di tutti gli altri alleati. Tale da rientrare nelle file di Al Qaeda rilanciando la presenza dell’organizzazione nella regione. Il Pentagono da parte sua minimizza dicendo che il caso di Al-Shihri è l’eccezione e non la norma, visto che solo il 14% dei 530 prigionieri trasferiti dal carcere cubano sono sospettati o accusati di aver legami con il terrorismo. Ma l’attentato al volo Northwest e la vicenda di Al-Shihri rischiano di imporre una revisione del programma di rimpatrio dei detenuti di Guantanamo, specie quelli di nazionalità yemenita, circa una novantina in tutto. I repubblicani chiedono ora la sospensione per il rischio di un rientro nelle file di Al Qaeda.

La REPUBBLICA - Renzo Guolo : " Sui monti della penisola arabica il vivaio della nuova jihad "

Yemen

Che lo Yemen fosse un importante fronte di Al Qaeda, si sapeva prima che Umar Farouk Abdul Matullab tentasse di farsi esplodere nel cielo di Detroit. Nei giorni che precedevano l´imbarco del nigeriano sul volo Delta l´America aveva effettuato raid.
Raid contro le locali basi qaediste che il governo di Sana´a non avrebbe mai potuto condurre. Ma la storia è di più lunga data: non risale nemmeno all´attentato che segna l´epopea jihadista nella regione, l´attacco alla nave Usa "Cole". Rimanda ancora più in là nel tempo.
Inizia con il ritorno degli islamisti radicali dal jihad afgano contro i sovietici. Reduci, ma non troppo, dai campi gestiti da Bin Laden, hanno elaborato una comune ideologia e figura del Nemico. Una minoranza attiva che le conseguenze della guerra del Golfo radicalizza ed espande. Anche perché Riad punisce il vicino Yemen, appena riunificato, per la mancata condanna all´invasione del Kuwait, espellendo un milione di yemeniti che lavorano in Arabia Saudita. Settecentomila di loro saranno costretti a vivere nei campi per rifugiati di Hodeida e Bajil nel sud del paese, divenuti presto ideale ricettacolo della propaganda binladiana contro i "governanti empi" sauditi e yemeniti.
Quando Bin Laden fonda Al Qaeda parte degli yemeniti, e dei suoi fedelissimi sauditi rifugiatisi nel paese oltrepassando una frontiera che le stesse mappe ufficiali definiscono indefinita, lo seguono in Afghanistan. È il caso del giovanissimo Nasir al Wahishi, attuale leader di «Al Qaeda nella Penisola Arabica», che diventa l´assistente di Osama, ma non solo: come rivela l´alto numero di yemeniti catturati ai piedi dell´Hindu Kush e spediti a Guantanamo. Altri rimangono nell´area, come le menti dell´attacco alla "Cole", che sfuggono alla cattura, trovando rifugio tra le tribù beduine del nord, use all´ospitalità verso estranei in cerca di protezione. Tribù che accentuano l´ostilità verso il governo centrale quando il presidente Saleh, schieratosi su pressione di Bush nella "guerra al terrore", cerca di riprendersi il controllo del territorio. Ostacolando così l´esercizio del tradizionale potere tribale. Violazione che, come in ogni realtà tradizione, Afghanistan, Somalia, Yemen che sia, mette in discussione il secolare rapporto tra centro e periferia, generando conflitto.
La debolezza di Sana´a si accentua quando la rivolta delle periferie investe le tribù sciite. Nel paese, a maggioranza sunnita, gli sciiti zaiditi sono circa sei milioni. Contrariamente ai loro confratelli iraniani, libanesi, iracheni, seguono una pratica religiosa che li distingue assai poco dai sunniti. Ma la pretesa di Saleh di negare la loro storica autonomia, la crescente influenza che il wahhabismo, ferocemente antisciita, esercita nel paese, conduce gli zaiditi, guidati dal clan degli Houthi, alla ribellione. Per sedarla Saleh chiede l´interessato intervento militare di Riad, che teme un possibile contagio nell´intera Penisola. Tra le minoranze sciite della stessa Arabia Saudita, e degli altri paesi del Golfo, da sempre ostili al potere sunnita e alla sua declinazione religiosa in chiave wahhabita. Situazione che rischia di offrire una sponda all´Iran, che di quelle minoranze si vuole protettore anche se nega uno specifico legame con gli zaiditi, con il quale Riad si affronta già, per interposti attori, negli scenari libanese e palestinese. Un conflitto che storna l´attenzione verso i qaedisti, che ne approfittano per radicare la loro organizzazione.
Lo Yemen è strategicamente rilevante per Al Qaeda: confina con l´odiato regno dei Saud, è ideale ponte tra l´area afgana e pakistana e quel Corno d´Africa che spalanca le porte del Continente nero attraverso la vicina Somalia, paese senza Stato dilaniato dalla guerra civile. E, soprattutto, terra di quegli Shebab la cui fazione più " internazionalista" si mobilita ora per fornire aiuto ai confratelli yemeniti. Contando anche sul fatto che lo Yemen è abitato da una minoranza somala. Un corridoio, quello yemenita, che permette la saldatura con Al Qaeda nel Maghreb, che non opera solo in riva al Mediterraneo ma, ormai, in Mauritania, in Mali, in Niger. In quella che si vuole una guerra senza territori, quel territorio conta sempre di più.

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