Continuano le uccisoni in Iran, mentre l'Occidente non sa far altro che "deplorare". Riprendiamo oggi, 31/12/2009, la cronaca dal FOGLIO, a pag 3, e dalla STAMPA, a pag.5, l'intervista di Maurizio Molinari a Mohsen Sazegara.
Il Foglio- " L'affondo del regime iraniano per reprimere l'onda verde "

Roma. “Il pentimento non servirà. Il giorno in cui si muoverà contro di voi, la nazione sarà come un grande oceano”. Il presidente iraniano, Mahmoud Ahmadinejad, sceglie la retorica persiana per avvertire le migliaia di persone che protestano da giorni nelle piazze del paese. “State facendo solo un gran baccano – ha detto ieri, durante un’intervista alla Tv di stato – State creando notizie false per complicare la situazione, ma sarete travolti dal popolo iraniano”. I suoi sostenitori hanno invaso ieri le strade di Teheran e la tv ha trasmesso le immagini senza sosta: bandiere americane a fuoco, ritratti della guida suprema, Ali Khamenei, sventolati al cielo e cori contro il leader riformista Hossein Moussavi, considerato il vero responsabile di quanto è accaduto sinora. L’Irna, agenzia di stampa del regime, annuncia: “Moussavi e Karroubi sono scappati da Teheran”. Per il regime è facile trasformare le immagini in un manifesto di unità nazionale, ma il governo organizza questa manifestazione da giorni: secondo fonti dell’agenzia Ap, le società di stato hanno chiesto ai dipendenti di lasciare il lavoro e di unirsi ai cortei, mentre la metropolitana funziona gratis per tutti. Ma secondo altri molti di quelli che hanno sfilato per le strade di Teheran gridando “Marg bar Moussavi”, “Morte a Moussavi” e le altre centinaia di migliaia che hanno sfilato in tutte le città iraniane non sono “masse bulgare”, non sono plebe prezzolata dal regime, non sono iraniani “manipolati”. Sono, al contrario, una massa rivoluzionaria, quanto rimane di quell’intero popolo che rovesciò lo scià nel 1978; sono meno, molto meno di allora, ma sono tanti, forse addirittura rappresentano la maggioranza relativa degli iraniani. E non sono “comprati” dal regime attraverso le pensioni e gli emolumenti regalati dalle Bonyad, le Fondazioni che trasformano i contratti petroliferi in reddito diffuso. Certo, per loro la sicurezza economica è fondamentale, ma sono scesi in piazza a sostegno di Ahmadinejad e Khamenei perche ci credono, perché sono motivati, perché il “I have a dream” di Ahmadinejad, distruzione di Israele inclusa, è il loro sogno. Il presidente non è il solo a promettere che la risposta contro l’opposizione sarà forte e dolorosa. “Pentitevi o sarete considerati mohareb”, nemici di Dio, grida agli oppositori un chierico, Ahmad Alamolhoda, ai fedeli riuniti nella capitale. Secondo la sharia esiste una sola punizione per i mohareb, la pena di morte. Mercoledì, due uomini che hanno partecipato alle proteste scoppiate dopo le elezioni sono stati condannati a morte dal tribunale della Rivoluzione di Teheran. Per la Corte, sono colpevoli di aver collaborato con un gruppo politico clandestino filomonarchico. Le parole di Alamolhoda segnano un passaggio importante: ora il clero aumenta la pressione sui riformisti affinché interrompano la protesta e lascino le piazze. Anche il capo della polizia di Teheran, Esmail Armadi-Moqadam, annuncia che “le forze di sicurezza affronteranno in modo duro quelli che partecipano alle manifestazioni illegali, e ancora più dura sarà la giustizia”. Un deputato iraniano, Hasan Norouzi, dice che il Parlamento si sta già muovendo “per ottenere l’arresto dei leader di questa protesta”, Moussavi e Mehdi Karroubi, ma molti ritengono che un’azione simile scatenerebbe proteste ancora più violente. Secondo i riformisti, novecento persone sono già finite in carcere; la polizia dice che non sono più di cinquecento e per la metà sarebbero già libere. Il numero dei morti oscilla fra sette e trenta. Per adesso, il regime è riuscito a impedire che i funerali di Ali Habibi Moussavi, il nipote del leader dell’opposizione generassero altra violenza. La salma è stata sepolta ieri, in gran segreto, al cimitero Behesht Zahra. “Le autorità hanno telefonato alla famiglia dicendo che sarebbe potuta andare a ritirare la salma senza farlo sapere ai mezzi d’informazione”, scrive il sito Internet Rahesabz. Secondo la polizia, che nega di aver sparato, il giovane è stato ucciso da “terroristi”. Le forze di sicurezza fanno anche sapere di avere arrestato il proprietario dell’auto dalla quale sarebbe partito il colpo che ha ucciso Ali Moussavi, mentre rimbalza sui blog la notizia dell’arresto della moglie di Moussavi. Un altro luogo da tenere sotto stretto controllo è la casa dell’ayatollah Hossein Ali Montazeri, nella città santa di Qom. L’abitazione del religioso, morto pochi giorni fa, è circondata dagli agenti di sicurezza. “Ci hanno isolati dal resto della città - dice un parente di Montazeri - Ogni tanto ci insultano e minacciano di fare irruzione nell’ufficio dell’ayatollah”. L’Alto commissario dell’Onu per i diritti diritti umani, Navi Pillay, è “scioccata” per la campagna di repressione degli ultimi giorni. “Le informazioni disponibili – spiega – mostrano ancora una volta le eccessive azioni di violenza perpetrate dalle forze diLa Farnesina ha convocato ieri l’incaricato dell’ambasciata iraniana a Roma, come ha detto il sottosegretario Enzo Scotti. Il governo ha ribadito la preoccupazione per i fatti di Teheran e ha condannato le violenze e la perdita di vite umane. “Marg bar Moussavi” L’Ashura del 2009 ha segnato una svolta: per la prima volta l’Iran ha visto masse contro masse, manifestanti contro manifestanti. Da una parte “Marg bar Diktator”, dall’altra “Marg bar Moussavi” e questi cori contrapposti accompagneranno nei prossimi mesi uno scontro politico che promette di essere più che cruento. Il consenso che il regime mostra oggi di avere nulla toglie alla straordinaria forza che l’onda verde sa mettere in piazza, ma ha una conseguenza palpabile e gravissima per il movimento ribelle: blocca quelle contraddizioni interne al regime che l’estate scorsa parevano essere drammatiche. A luglio, i giornali del mondo islamico preconizzavano lacerazioni istituzionali, addirittura la destituzione di Khamenei, a opera della fronda radunata attorno a Rafsanjani. Ad agosto è avvenuto il contrario quando Ali Larijani – ex responsabile delle trattative sul nucleare – si è schierato a fianco dell’ex avversario Ahmadinejad (che aveva sempre contrastato, alleato con Hashemi Rafsanjani) e ha minacciato i manifestanti seguaci di Moussavi di rappresaglie, ottenendo così per sé la carica di presidente del Majlis e per il fratello Sadegh il comando dell’apparato giudiziario. A inizio dicembre, questo processo di ricomposizione del regime ha avuto una tappa essenziale in una riunione dell’Ufficio delle Guida della Rivoluzione in cui Khamenei ha formalizzato tutti i cambiamenti politici maturati dal 2005 in poi. In questa riunione, Khamenei ha ribadito l’assoluto suo potere autarchico, la totale marginalità delle istituzioni civili, ma anche e soprattutto l’esclusione definitiva dell’influenza “di indirizzo” del clero sciita (che a Qom si riconosce in buona parte con Larijani, figlio di ayatollah) a tutto vantaggio dell’ingresso formale dei pasdaran. Al vertice ha partecipato anche il comandante dei pasdaran, Ali Jafari, che ha chiesto e ottenuto la svolta repressiva che è stata pianificata secondo lo schema proposto proprio dalla componente di Larijani.cembre da suo fratello, Sadegh Larijani, che ha annunciato: “L’opposizione di piazza sarà sterminata”. Così è, come abbiamo visto, ma secondo un disegno non grossolano, da non sottovalutare, proposto sempre da Larijani e sinora accolto dagli oltranzisti. Dopo l’Ashura, infatti, Larijani ha chiesto “di affrontare i controrivoluzionari con le punizioni più severe”, aggiungendo però che non va fatto l’errore di appiattire sulle loro posizioni “le correnti di sinistra della nostra umma che dobbiamo tenere separate dai controrivoluzionari”. In occidente si usano categorie come “laici”, “militari”, o “clero sciita”, che poco servono a capire l’Iran, là dove il discrimine invece è uno solo: appartenere o no alla comunità islamica, là dove anche Khamenei, anche Ahmadinejad ammettono diversità di opzioni, anche radicali, ma sempre interne al Partito di Dio. In questa ottica, Larijani si è appellato a Moussavi e a Karrubi, dei quali ha riconosciuto i meriti rivoluzionari, invitandoli però a sconfessare i manifestanti: “Ci aspettiamo che Moussavi e Karroubi che hanno protestato contro il risultato delle elezioni presidenziali tornino in sé e che separino nettamente la loro posizione da quella dei controrivoluzionari e che pongano fine alle dichiarazioni che rendono l’atmosfera più confusa”. Questo è il tentativo di separare il movimento – contro cui hanno iniziato a funzionare le forche e gli arresti di massa – dalla sua dirigenza. Schema approvato ieri dal Majlis in una riunione a porte chiuse, in cui il procuratore generale, Gholamhossein Mohseni Ejeie, ha annunciato “procedimenti penali” contro Moussavi e Karroubi e “altri capi della sedizione”, ma senza arresti. A fronte di molteplici richieste di parlamentari che pretendevano l’arresto di Moussavi e Karrubi, infatti, il vicecapo della polizia iraniana, Reza Radan, ha spiegato che l’opzione politica presa dal regime (probabilmente già nelle riunione di inizio dicembre) è “quella di non arrestare i capi della contestazione per non dare loro importanza”. Dunque: espulsione dalla umma e feroce ostracismo dei manifestanti definiti mohareb (nemici di Dio) dall’ayatollah Vaez Tabasi, rappresentante di Khamenei nella provincia di Khorasan. Anatema definitivo perché, come ha ribadito Tabasi, “nel nostro sistema giudiziario, il verdetto per un mohareb è chiaro ed è previsto dalla legge” ed è la forca. Contemporaneamente, forte pressione sui leader dell’onda verde perché prendano le distanze dal movimento, o quantomeno tacciano. Il tutto accompagnato da una forte mobilitazione popolare – perfettamente riuscita – che metta in chiaro, plasticamente, il pericolo mortale, peggio ancora della repressione, che l’onda verde corre: lo scontro con il “popolo dell’Islam” che segue e ama Khamenei, le cui avanguardie, assolutamente convinte e per nulla prezzolate, sono i pasdaran e i bassiji, ma la cui massa d’urto è ancora e pur sempre formidabile.
La Stampa-Maurizio Molinari: " E'in corso un golpe voluto da Khamenei "
intervista con Mohsen Sazegara.

Mohsen Sazegara
Il più importante pilastro del regime iraniano sta mostrando delle crepe»: Mohsen Sazegara, che durante la rivoluzione islamica del 1979 contribuì a fondare il corpo delle Guardie Rivoluzionarie, i famosi pasdaran, ritiene che queste forze di elité non siano più ideologicamente compatte come in passato a sostegno della teocrazia degli ayatollah.
Che cosa sta succedendo fra i ranghi delle Guardie Rivoluzionarie?
«I comandanti non possono più contare sulla totale adesione di chi ne fa parte, inclusi alcuni ufficiali».
Cosa glielo fa affermare?
«Vi sono stati alcuni recenti segnali. Prendiamo ad esempio cosa è avvenuto, a Teheran e altrove, quando il regime ha accusato i manifestanti di aver dato alle fiamme un’immagine di Khomeini. E’ stato un appello alla mobilitazione della base dei pasdaran. Ebbene si tratta di una milizia militare che conta in tutto circa 130 mila aderenti ma se andiamo a vedere chi è sceso nelle piazze in quell’occasione ci accorgiamo che sono stati molto di meno. Quelli che non lo hanno fatto hanno votato con i piedi. Facendo capire che c’è del dissenso nei ranghi».
Vi sono stati altri segnali?
«Certo, se guardiamo filmati e immagini sui disordini degli ultimi giorni ci accorgiamo che a Teheran in almeno un paio di occasioni la repressione in strada è stata affidata a corpi speciali di polizia chiamati «le camicie bianche» dai vestiti che indossano. Questo significa che le Guardie Rivoluzioarie si sono trovate a corto di uomini».
Chi fa parte delle «camicie bianche»?
«Sono dei fanatici, giovani e spesso disoccupati, assomigliano alle camicie brune che adoperava Adolf Hitler per applicare in Germania la legge del terrore».
Da dove nasce il dissenso che serpeggia fra i pasdaran?
«Dal fatto che Alì Khamenei, Leader Supremo della rivoluzione, si è messo alla guida di una pattuglia di alti ufficiali con i quali sta tentando un golpe contro la Repubblica Islamica».
Un golpe interno?
«Esatto. La Costituzione khomeinista parla chiaro: il 70 per cento del potere è nelle mani del Leader Supremo ma il 30 è in quelle del presidente. Fu Khomeini a definire questo equilibrio ed è per questo che l’Iran è certo islamico ma è anche una repubblica. Ora Khamenei vuole annullare quest’ultima dimensione, quella repubblicana».
Come sta avvenendo il golpe?
«Un strumento è il presidente Mahmud Ahmadinejad, un burattino nelle mani di Khamenei che è stato rieletto proprio perché non difende i poteri dell’istituzione che rappresenta. Con un debole come lui alla guida dell’esecutivo, Khamenei conta su una ristretta cerchia di generali e alti ufficiali - tutti nominati da lui - per estendere il proprio potere in ogni angolo dell’apparato pubblico e, soprattutto, di quello economico».
Qual è il fine?
«Assicurarsi che a succedergli sarà il figlio, Mojtaba. Il fine del colpo di Stato in corso è quello di esautorare i poteri repubblicani, abbattere l’equilibrio di potere khomeinista e consegnare l’intero Iran nelle mani del figlio, con una scelta da despota del Medioevo. Khamnei vuole farlo perché sa che, essendo malato, se dovesse morire a succedergli potrebbe essere un grande ayatollah intenzionato a smantellare il sistema di potere economico-militare che lui ha creato».
Perché tutto ciò ha un impatto sulla coesione dei pasdaran?
«Per il semplice fatto che le Guardie della Rivoluzione hanno in comune l’adesione all'ideologia khomeinista. Sono i guardiani della Repubblica Islamica. Dunque ora si stanno dividendo: c’è chi vede nel golpe interno di Khamenei un modo per garantire la sopravvivenza del sistema creato da Khomeini e chi invece lo interpreta per quello che è davvero, il tentativo di una cricca di potere di assicurarsi il controllo assoluto delo Stato negli anni a venire».
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