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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Stampa-Corriere della Sera Rassegna Stampa
27.12.2009 Figlio di un banchiere, pieno di soldi e terrorista
tale e quale a Bin Laden, ma a qualcuno farà pena

Testata:La Stampa-Corriere della Sera
Autore: Maurizio Molinari.Viviana Mazza-Guido Olimpio
Titolo: «Uomo bomba sull'aereo»

Aver preso in tempo Umar Abdulmutallab prima che riuscisse a farsi saltare in aria, e con lui l'intero aereo con i suoi passeggeri, è una lezione per l'opinione pubblica internazionale, sempre pronta a commuoversi verso quelli che crede essere i " dannati della terra ". Umar è figlio di un banchiere, ha casa a Londra, molto più semplicemente è un affiliato di Al Qaeda, un terrorista, seguace di un altro miliardario, Osama Bin Laden, il cui progetto politico non è migliorare la vita del prossimo, ma impadronirsi del potere attraverso il terrore. Basta con i piagnistei, dunque, e guardiamo in faccia la realtà. Sono criminali che vogliono ucciderci, con tutti i mezzi. L'uso della religione, la loro e quella altrui, è solo un mezzo raffinato per raggiungere l'obiettivo. Ecco alcune cronache e commenti:

La Stampa-Maurizio Molinari: " Preso sull'aereo mentre cerca di farsi esplodere "

CORRISPONDENTE DA NEW YORK
E’ stata la reazione dei passeggeri del volo 253 a sventare un Natale di terrore per l’America. La sera del 25 dicembre uno studente nigeriano di 23 anni ha tentato di far esplodere l’aereo della Northwest Airlines, operato da Delta, con 270 persone a bordo mentre era in fase di atterraggio a Detroit. Abdul Faruk Abdulmutallab era partito da Lagos, Nigeria, alle 23 del 24 dicembre con un volo della Klm e aveva cambiato aereo ad Amsterdam, superando senza ostacoli i controlli di sicurezza pur avendo cuciti negli indumenti intimi vicino ai testicoli una sacchetta di pentatritolo e una mini-siringa. Seduto nella fila 19, vicino al finestrino sul lato sinistro dell’aereo, non ha mai parlato con chi gli sedeva vicino.
Quando il pilota ha annunciato l’inizio della discesa verso Detroit, è andato in bagno per «lavarsi i denti». Ci è rimasto circa 20 minuti, ha usato la siringa per iniettarsi una sostanza-detonatore e quando è uscito sanguinava da una gamba e tentava di coprirsi con una coperta. Una hostess gli ha chiesto: «Che cos’ha lì sotto?». Lui ha risposto: «Un ordigno». Sono avvenute allora piccole esplosioni, seguite da una grande fiammata e molto fumo, come fossero scoppiati dei petardi. In pochi attimi più passeggeri gli si sono scaraventati addosso. Il primo è stato l’olandese Jasper Schuringa, che si è lanciato calpestando diverse persone. Altri hanno versato bottiglie d’acqua sulle fiamme per evitare che l’aereo prendesse fuoco. Il nigeriano, con una gamba quasi completamente bruciata, è stato trasportato verso la business e immobilizzato fino all’atterraggio, quando le squadre speciali lo hanno preso in consegna. Portato via ammanettato a una barella, Abdulmutallab ha detto agli agenti di essere stato addestrato per un mese da al Qaeda in Yemen, dove ha ottenuto l’esplosivo. Fonti vicine all’antiterrorismo affermano di non avere la conferma della matrice di al Qaeda ma di non poterla escludere. Da due anni il nome del nigeriano figurava sulle liste di individui sospetti di legami con il terrorismo ma non sulle «no-fly list» che fanno scattare il blocco all’imbarco.
La Casa Bianca ha parlato subito di «atto terroristico» e il presidente Barack Obama ha riunito in videoconferenza dalle Hawaii gli stretti consiglieri, varando nuove disposizioni per la sicurezza dei voli commerciali. L’Fbi ha temuto la ripetizione del piano del 2006, quando al Qaeda progettò di distruggere con esplosivi liquidi più aerei sull’Atlantico, ed è scattato l’allarme su tutti i voli da e per gli Usa: un aereo della Lufthansa per Detroit con bagagli sospetti è stato fatto atterrare a Reykjavik. Per appurare se il nigeriano sia un terrorista isolato o parte di un complotto più ampio l’Fbi lavora assieme alle autorità di Lagos e a Scotland Yard, indagando sulla sua residenza a Londra dove fino al 2008 ha studiato ingegneria.
Il fallimento delle misure di sicurezza e l’assenza di sceriffi dell’aria sul volo 253 hanno sollevato vivaci polemiche sull’efficacia delle misure in vigore per scongiurare un nuovo 11 settembre. Il ministro della Sicurezza Interna, Janet Napolitano, ha varato procedure rafforzate in tutti gli scali, con un maggiore uso dei detector che vedono sotto i vestiti. Air Canada ha preso l’iniziativa di impedire ai passeggeri di alzarsi 20 minuti prima dell’atterraggio.
Un altro fronte di polemica riguarda il visto per gli Usa che il terrorista aveva avuto dall’ambasciata a Londra in estate. Ma non è tutto: il padre del nigeriano è un banchiere di Lagos che due mesi fa, intuito che il figlio era in Yemen, avvertì l’ambasciata Usa sul rischio che potesse essere coinvolto con gruppi terroristi. Ma la sua denuncia venne ignorata.

La Stampa-Maurizio Molinari: " Le vacanze di guerra di Obama "


E' ora di cambiare abiti...

Il primo Natale da Presidente di Barack Obama si è rivelato una giornata di guerra. Tutto è iniziato quando, il 24 dicembre, dopo il via libera del Senato alla riforma della Sanità, è decollato da Andrews per le Hawaii. Da bordo dell’Air Force One ha seguito gli ultimi briefing dell’intelligence su quanto stava per avvenire in Yemen.
L’aviazione di Sana’a aveva avuto dagli americani le precise coordinate per due blitz contro i locali capi di Al Qaeda. In una remota località del deserto sono stati uccisi 34 jihadisti, incluso il leader Naser Abdel-Karim al-Wahishi e probabilmente l’imam Anwar al-Awlaki che suggerì al maggiore Nidal Hasan di compiere la strage di Fort Hood. E a Sana’a altri 25 capi jihadisti sono finiti in manette.
Le conferme dei due colpi messi a segno contro Al Qaeda nella Penisola Arabica sono arrivate quando l’Air Force One era oramai alle Hawaii ma, a Natale oramai iniziato, ora di Kabul, sono stati i taleban a farsi sentire mandando in onda il video del soldato dell’Idaho Bowe Bergdahl, rapito lo scorso giugno, come monito sulla «fine che aspetta» i 30 mila militari di rinforzo che la Casa Bianca sta mandando in Afghanistan.
L’arrivo nella residenza presidenziale nei pressi della spiaggia di Waikiki sull’isola di Oahu - dove da giovane studente Barack amava andare a riflettere guardando le onde del Pacifico - ha così visto il suo staff lavorare a pieno regime sugli aggiornamenti in arrivo dal doppio fronte di guerra: l’Afghanistan-Pakistan, dove a combattere sono i taleban, e lo scacchiere Yemen-Somalia, dove il nemico sono le nuove cellule jihadiste.
Nella notte fra il 24 e il 25 il presidente ha potuto brevemente festeggiare in famiglia ma, a causa del fuso orario, la pausa è stata davvero limitata perché la notizie sulla mancata strage sui cieli di Detroit sono giunte ben prima dell’alba. E alle 6 e 20 del mattino di ieri, ora di Ohau, il presidente era già in piedi per discutere in videoconferenza con il consigliere per l’antiterrorismo John Brennan, i capi dell’intelligence e il capo di gabinetto del consiglio per la sicurezza nazionale, Denis McDonough, lo scenario di una possibile nuova ondata di attacchi kamikaze di Al Qaeda contro gli Stati Uniti dopo l’11 settembre.
Senza ignorare i nuovi scontri di piazza a Teheran. Da quanto si apprende a Kailua, più che una videoconferenza si è trattato di una seduta operativa, con Obama impegnato ad autorizzare nuove misure di sicurezza sui voli come anche ad analizzare le tracce del kamikaze nigeriano che portano verso lo Yemen di cui si era occupato poche ore prima così come verso l’Africa Occidentale, dove il ministro della Difesa Robert Gates ha accresciuto il numero degli istruttori per addestrare ad operazioni anti-terrorismo le polizie di più nazioni, Nigeria inclusa.
Per comprendere l’atmosfera nella quale ha lavorato Obama nelle ultime 48 ore bisogna ascoltare Bruce Hoffman, esperto di terrorismo alla Georgetown University di Washington, secondo il quale «quello di Detroit è il decimo tentativo degli jihadisti di colpire l’America nel 2009, triplicando il numero degli anni precedenti». Come dire: le molteplici incarnazioni di Al Qaeda stanno facendo di tutto per colpire l’America di Barack Obama.

Corriere della Sera-Viviana Mazza: " Umar, padre banchiere e casa a Londra "

LONDRA— Figlio di un ricco banchiere, studiava in una delle più prestigiose università del mondo e abitava nel cuore chic di Londra. Umar Farouk Abdulmutallab, 23 anni: così è stato identificato dalle autorità americane l’attentatore del volo di Natale Amsterdam-Detroit. Il ritratto emerso ieri da fonti a Londra, in Nigeria e negli Usa è quello di un ragazzo che «aveva tutto», e che invece ha scelto l’estremismo.

Mutallab non è un nome qualunque in Nigeria. Alhaji Umaru Mutallab è stato ministro per lo sviluppo negli anni ’70, ha diretto la United Bank for Africa e, fino a poche settimane fa, la First Bank, avendo un ruolo centrale nell’introdurre la finanza islamica in Nigeria. Il sospetto che l’attentatore sia suo figlio era stato diffuso ieri pomeriggio da siti nigeriani: membri della famiglia hanno detto a This Day che Mutallab senior si era accorto delle idee estremiste del figlio, e 6 mesi fa l’aveva denunciato all’ambasciata Usa e alle autorità nigeriane. Alle agenzie occidentali l’ex banchiere ha confermato di temere che l’attentatore sia proprio suo figlio.


Umar Abdulmutallab, il terrorista figlio di papà
 

A Londra tre membri della famiglia— Umar, Aisha e Kasim— risultano residenti dal 2006 al 2009 nell’appartamento numero 16, al quinto piano di un palazzo di Mansfield Street. La facciata imponente: sei colonne neoclassiche, portone liberty con un gran cesto di rose in ferro battuto a pochi isolati da Oxford Street, dove un appartamento costa sui due milioni di euro. Mentre nelle strade ieri pomeriggio c'era gran folla per i saldi, a casa Mutallab gli altri inquilini entravano e uscivano senza fiatare. Il portiere (il suo è l'unico nome sul citofono) apriva agli agenti che trasportavano strumenti per «perquisizioni legate all’inchiesta» dentro casse di cartone e sacchi di plastica neri. E i giornalisti al freddo tra le Mercedes e le Rolls Royce dei residenti. L’appartamento è «spesso vuoto», dice Carlos, 49 anni, colombiano, uscendo dal palazzo nel quale fa le pulizie da 7 anni. Il nome Mutallab a lui non dice nulla, ma ha visto spesso una «famiglia di colore, con tanti bambini». Vanno e vengono. Uno di loro, «il figlio», «sui 20-30 anni», è rimasto più a lungo. Si ricorda il nome: «Umar». La University College London è pochi isolati più a nord. L’ateneo, il quarto migliore al mondo, ha confermato che Umar Farouk Abdul Mutallab vi ha studiato ingegneria meccanica dal 2005 al 2008. Tre giorni prima del volo di Natale aveva compiuto gli anni. Ma il suo viaggio era iniziato molto tempo fa, secondo le fonti di This Day: sin dalla scuola secondaria, quando frequentava la British International School di Lomè, Togo. I compagni lo chiamavano «Alfa» per la mania di predicare l’Islam. Dopo Londra (non è chiaro se abbia terminato o abbandonato gli studi), si sarebbe recato in Egitto e a Dubai, tagliando i ponti con la famiglia. Il sito nigeriano Huhuonline.com indica un profilo su Facebook a suo nome, con decine di fan e commenti estremisti. C’è una foto. Ma Carlos, l’uomo delle pulizie, non riconosce Umar. «Non so dove sia andato». All’ Associated Press il padre ha detto che è sposato con una yemenita. «Credo sia stato nello Yemen». Nel maggio 2009, secondo il Times di Londra, le autorità britanniche gli avevano rifiutato un nuovo visto d’ingresso.

Corriere della Sera-Guido Olimpio: " La pista yemenita e le bombe invisibili che costano 30 euro "

WASHINGTON – Agosto: Al Qaeda rivendica un fallito attentato contro il principe saudita Nayaf e annuncia che il kamikaze ha usato un nuovo tipo di bomba nascosta nelle cavità del corpo. Le autorità sostengono che fosse nelle mutande, poi dicono nell’ano. Qualcuno ride, gli 007 francesi, invece, segnalano i rischi per gli aerei. Le testimonianze dell’attacco al jet Northwest dicono che Faruk aveva ustioni al bacino e forse l’ordigno era celato sotto i pantaloni. Analogie che potrebbero confermare le affermazioni dello stesso attentatore su un legame con i qaedisti dello Yemen, oggi alleati di quelli sauditi. Sono stati loro ad ispirare ed armare Abdulmutallab? Se l’Fbi troverà conferme è evidente che la penisola arabica non è più solo un terreno di Jihad ma anche la piattaforma di lancio per attacchi oltre confine. Indicazioni già emerse con il ruolo dell’imam Anwar Al Awkli, cittadino americano di origini yemenite, che avrebbe guidato l’autore della strage a Fort Hood. Pochi giorni fa l’imam sarebbe sfuggito a un raid con un buon numero di complici. C’è una relazione con la storia di Detroit? Per ora gli americani sembrano cauti ma, al tempo stesso, non sottovalutano le connessioni. Sia per l’uso delle micro-bombe che per i vincoli ideologici. La pista yemenita può fondersi con quella dei cosiddetti «jihad hobbist», simpatizzanti che si indottrinano su Internet e qualche volta passano all’azione. Terroristi-fai-da-te che usano il web per imparare a fare gli ordigni usando le istruzioni di alcuni «artificieri della morte». Fra tutti il famigerato Matiur Rehman, l’uomo che ha addestrato i responsabili del complotto del 2006 che prevedeva proprio l’uso di bombe «liquide». Un’evoluzione delle «scarpe esplosive» di Richard Reid (dicembre 2001). La ricetta prevede: fertilizzante in un barattolo o in una tasca ricavata all’interno degli abiti, una bottiglina per le sostanze chimiche e una siringa. Componenti separate che vengono poi unite al momento dell’attacco in modo da superare senza problemi i controlli. Costo dell’arma: 30 euro. Un sistema economico da affidare a quelli che ormai sono i soldati preferiti del qaedismo. Militanti— a tempo pieno o freelance— con il passaporto non arabo e a loro agio nei Paesi occidentali. Un ideologo integralista li ha definiti «i nostri droni», gli aerei senza pilota capaci di arrivare sul bersaglio senza essere visti. Ed è quello che è successo con il misterioso Faruk.
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