Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Pio XII beato, se negli archivi vaticani non c'è nulla che già non si sappia allora la questione si complica. Cronache e commenti
Testata:Corriere della Sera, La Repubblica, La Stampa Autore: Gian Guido Vecchi-Orazio La Rocca-Andrea Tarquini-Filippo Ceccarelli-Arrigo Levi Titolo: «Pio XII, analisi e cronache»
Pio XII il giorno dopo. Ancora oggi tiene banco sui giornali la dichiarazione di Papa BXVI di voler iniziare la procedura per santificare Papa Pacelli, pronunciate a ridosso della annunciata visita in Sinagoga il prossimo 17 gennaio. La risposta dell'ebraismo italiano, che da alcuni è stata vista come accomodante, in realtà sembra sia stata tutt'altro. Il Papa è il benvenuto, ma su Pio XII la situazione non è cambiata, se non interviene qualcosa di nuovo a rimuovere l'ostacolo, le difficoltà permangono. Un documento riservato, ma chiaro nelle intenzioni. Dal vaticvano è giunta una mezza marcia indietro, " i tempi saranno lunghi ", è quanto la Santa sede ha fatto sapere. Ma questo non risolve il problema. E' difficile capire come se ne verrà fuori, anche perchè padre Lombardi ha detto che il contenuto degli archivi, anche se non ancora reso pubblico, è conosciuto, e non contiene nulla che già non si sappia. Salta quindi quanto da entrambe le parti finora si era sostenuto, si aprano gli archivi agli storici, per verificarne i documenti. Se non c'è nulla di nuovo, ed è il Vaticano che lo dice, allora valga quanto finora si è saputo. Una conferma di quanto i critici del comportamento di Pio XII avevano sempre sostenuto: il suo silenzio di fronte alla Shoà. Si veda, a questo proposito, l'articolo sugli archivi britannici, di Filippo Ceccarelli, pubblicato oggi su REPUBBLICA e che riportiamo in questa pagina. Riprendiamo dal CORRIERE della SERA la cronaca di Gian Guido Vecchi, e ancora da REPUBBLICA, di Orazio La Rocca e Andrea Tarquini, la reazione degli ebrei tedeschi, testimoni dell'atteggiamento del clero cattolico durante gli anni del terrore nazista. Segue il commento di Arrigo Levi sulla STAMPA, che, anche se bipartisan, non esclude nella parte iniziale il richiamo alle responsabilità di Pio XII di fronte alla Shoà. Ecco gli articoli:
Corriere della Sera-Gian Guido Vecchi: " Papa Pio XII beato, tempi lunghi. Gli ebrei: rassicurati "
CITTÀ DEL VATICANO — I vertici della comunità ebraica chiedevano un «segnale distensivo» e il segnale è in arrivo, in parte è anzi arrivato. Già oggi, prima di una riunione serale del consiglio della comunità che si annuncia incandescente, dalla Santa Sede potrebbero arrivare parole di chiarimento per gli «equivoci» nati intorno alla decisione di Benedetto XVI di dichiarare le «virtù eroiche» del «venerabile» Pio XII, un passo importante verso la beatificazione di Pacelli, contestato per i suoi «silenzi» sulla Shoah. Ma nel frattempo i «pontieri» hanno lavorato alacremente e ieri, da Oltretevere, si è fatto sapere alla comunità ebraica romana che Pio XII, in ogni caso, non potrà essere beatificato il 16 ottobre dell’anno prossimo, anche perché i tempi saranno inevitabilmente più lunghi rispetto a Karol Wojtyla.
È quella, infatti, la data ritenuta più probabile per la beatificazione di Giovanni Paolo II, poiché coincide con l’anniversario della sua elezione a pontefice, il 16 ottobre 1978. La preoccupazione diffusa nella comunità ebraica romana era che in quello stesso giorno potesse essere proclamato beato anche Pio XII: il 16 ottobre è pure il giorno del rastrellamento nazista nel ghetto di Roma, nel ’43; il primo convoglio di deportati dall’Italia arrivò ad Auschwitz una settimana più tardi e, su 1.020 persone, tornarono in 17. La coincidenza delle date avrebbe potuto, va da sé, creare polemiche. Gli ebrei si sono sentiti così rassicurati. Lo stesso prefetto della congregazione per le cause dei santi, l’arcivescovo Angelo Amato, aveva del resto chiarito che la proclamazione contemporanea delle virtù di Giovanni Paolo II e Pio XII, sabato, era stata una «felice coincidenza» e che da ora ciascuna avrebbe «seguito il suo corso».
La causa di Giovanni Paolo II è più avanzata, un miracolo ottenuto per intercessione del pontefice è già stato individuato fra migliaia di segnalazioni: la guarigione «improvvisa e inspiegabile», nel 2005, di suor Marie Simon-Pierre, religiosa francese malata di Parkinson come Wojtyla. Senza contare che non è neppure detto si faccia in tempo per autunno. Nel caso di Pio XII, il miracolo è ancora da individuare. E del resto, fanno notare in Vaticano, i tempi non sono mai scontati: Pio IX, «venerabile» nel 1985, divenne beato nel 2000. C’è poi la faccenda delle «virtù eroiche». Il rabbino capo Riccardo Di Segni, il presidente della comunità romana Riccardo Pacifici e di quelle italiane Renzo Gattegna, pur chiarendo di non voler «interferire su posizioni interne della Chiesa», avevano scritto: «Se dovesse implicare un giudizio definitivo e unilaterale sull’operato storico di Pio XII, la nostra valutazione rimane critica».
Una frase che dava voce a un altro motivo di malcontento. Il fatto è, però, che le «virtù eroiche», in effetti, per la Chiesa non hanno a che fare con una valutazione storica in senso tecnico. Le due cose sono distinte, ed è su questo si attende la precisazione vaticana, a diradare gli «equivoci». D’altra parte, lo aveva spiegato al Corriere padre Federico Lombardi, portavoce della Santa Sede: «Il decreto del Papa dice che Pacelli ha vissuto le virtù cristiane in modo eroico, e quindi è un cristiano modello. Non è un giudizio storico, ma sulla persona: prende in considerazione i suoi comportamenti ma in rapporto alle sue intenzioni di fede, non a quelle politiche». Fermo restando che, per il Vaticano, quando Papa Pacelli restò in silenzio lo fece per «salvare il maggior numero possibile di vite», anche di tanti ebrei nascosti nei monasteri.
La Repubblica- Orazio La Rocca,Andrea Tarquini: " Ebrei tedeschi in rivolta, il Papa riscrive la Storia "
Sinagoghe in fiamme durante la notte dei cristalli
Clima di tensione crescente tra le comunità ebraiche europee e la Santa Sede dopo la decisione di papa Benedetto XVI di accelerare la beatificazione di Pio XII. Il Consiglio centrale degli ebrei di Germania ha criticato il Papa tedesco, definendola «assolutamente prematura» e parlando di «tentativo della Chiesa cattolica di scrivere in un altro modo la Storia». E stasera alle 20,30 si terrà a Roma, sotto la presidenza di Riccardo Pacifici, un tesissimo consiglio della comunità romana per analizzare il "caso Pacelli" alla luce della dichiarazione del Pontefice sull´eroicità delle virtù sancita da papa Ratzinger per Pio XII stesso. A Roma e nella comunità ebraica italiana l´attesa è grande e anche la preoccupazione è palpabile: il timore è che i delusi dalla decisione di Benedetto XVI possano prendere il sopravvento, e la preventivata visita del pontefice in Sinagoga, il 17 gennaio prossimo, possa essere messa in discussione. Ci si attende dal Vaticano «almeno un gesto o una iniziativa» con cui si spieghi che gli aspetti storici del pontificato di Pio XII saranno definitivamente chiariti, specialmente per quanto riguarda i presunti silenzi sull´Olocausto. «Nessuna interferenza sulla beatificazione, ma anche niente coperture sulle ombre storiche di quel pontificato», ammoniscono i vertici degli ebrei romani. A Bologna sempre oggi si riunirà un gruppo di rabbini convocati dal presidente dell´Assemblea dei rabbini italiani, Giuseppe Laras, che fu il primo a parlare di seri pericoli per la visita del papa in Sinagoga in caso di mancata chiarezza sul caso Pacelli. Di fronte al Tempio Maggiore del Ghetto sono anche apparse scritte sui muri di protesta per le scelte di Benedetto XVI. In questo clima cresce il malcontento della comunità ebraica tedesca, quella che proprio nella patria dell´attuale papa sta vivendo un rifiorire di presenza nella società e nella cultura. «Sono triste e pieno di collera, è assolutamente prematuro intraprendere un simile passo», ha detto, citato da Der Spiegel, il segretario generale Stephan Kramer. E ha aggiunto, nella sua dura dichiarazione rilanciata con forza da tutti i media tedeschi: «È un chiaro rovesciamento dei fatti storici del periodo nazista». Secondo Kramer la Chiesa cattolica «cerca di riscrivere la Storia». E si dichiara indignato del fatto che il Papa «non permetta lo svolgimento di alcuna seria discussione scientifica» sul caso. Molti esponenti delle comunità ebraiche accusano Pio XII di aver saputo e taciuto sulla Shoah, e non basta loro la reazione vaticana secondo cui Papa Pacelli avrebbe cercato di aiutare gli ebrei in silenzio. La rivolta degli ebrei tedeschi è particolarmente imbarazzante per la Santa Sede: la comunità ebraica a Berlino ha ottimi rapporti con l´establishment della Cancelliera cristiano-conservatrice Angela Merkel, la leader europea più decisa nel ricordare sempre gli orrori del passato.
La Repubblica-Filippo Ceccarelli: " Gli archivi britannici confermano i silenzi di Pio XII sulla Shoah "
«Oggi il Papa mi ha ricevuto in udienza per un´ora - telegrafa l´ambasciatore inglesi due giorni dopo la retata degli ebrei romani -. Sembrava in buone condizioni e di buon umore, il suo atteggiamento era sereno in rapporto all´attuale situazione, ma pienamente cosciente dei futuri pericoli...». Di solito le cancellerie non s´interrogano sulla futura santità dei loro interlocutori, tantomeno in guerra. Ma i documenti della diplomazia, per quanto anch´essi di scarso valore nella ricostruzione postuma delle eroiche virtù, hanno comunque un loro valore perché aiutano, nella loro indispensabile parzialità, a far capire come i possibili santi reagiscono in certi momenti. Con tale premessa si dà conto, in modo più esteso di quanto lo si sia fatto finora, di un documento fra i tanti recuperati da Mario J. Cereghino negli archivi del Foreign Office di Kew Gardens e oggi consultabili presso l´Archivio Casarrubea di Partinico (www.casarrubea.wordpress.com). Si tratta della nota "segreta" che il 2 novembre del 1943 il ministro degli Esteri del Regno Unito Anthony Eden spedisce al visconte di Halifax, ambasciatore di Sua Maestà a Washington, e che contiene il resoconto di un incontro che l´ambasciatore britannico presso la Santa Sede, Sir D´Arcy Osborne, ha avuto con Pio XII il 18 ottobre, cioè proprio mentre alla stazione Tiburtina i militari tedeschi stavano imbarcando e sigillando in un treno diretto ad Auschwitz oltre mille ebrei romani: 1007 stabilisce Kappler, 1015 secondo la Comunità ebraica - la differenza sembra la facciano, disperatamente, i neonati. Papa Pacelli, diplomatico sottile, esordisce «enfatizzando» la situazione alimentare. Roma è già alla fame, le scorte di cibo sono sufficienti «fino a quando i tedeschi saranno qui». Ma poi? Si capisce che il Pontefice dà per scontato un ritiro abbastanza imminente. In questo senso «spera» che gli alleati siano in condizione di provvedere ai beni di prima necessità. Al che Osborne traccheggia, non s´impegna. Pio XII insiste, richiama la possibilità di disordini, cerca garanzie sul «minimo indispensabile», quindi esprime la sua preoccupazione sull´«interludio» tra la ritirata dei tedeschi e l´arrivo degli alleati. Nel corso della guerra, ora con gli uni, ora con gli altri, il Papa sta giocando da tempo una partita sul filo del rasoio, di alta acrobazia diplomatica, che assomiglia a un doppio gioco su due tavoli e prevede sottintesi, riserve, dissimulazioni, pure da modularsi a seconda degli interlocutori. L´impressione è che Osborne non sia dei più fidati. Di nuovo «in modo enfatico», annota l´ambasciatore, il Papa «afferma che non abbandonerà mai Roma per proteggere la sua incolumità, a meno di non esserne rimosso con la forza». Quindi aggiunge «di non avere elementi per lamentarsi del generale von Stahel e della polizia tedesca, che finora «hanno rispettato la neutralità» della Santa Sede. E qui viene naturale di pensare che forse la questione non era questa, o soltanto questa. In realtà Pio XII sa della deportazione, ancora freschissima. Si sa che ha cercato di scongiurarla smuovendo prelati tedeschi e sollecitando nazisti tiepidi o opportunisti. Comunque ha già aperto le porte di chiese e conventi; il mese prima ha "prestato" dell´oro per allontanare le rappresaglie (15 chili dei 50 richiesti alla comunità ebraica provengono dal Vaticano). Se non suonasse irrispettoso per un Papa, Pacelli sta cercando, anche lui alla disperata, di salvarsi l´anima. Di norma, in questi casi, il potere mette in atto il dispositivo dello scambio e imbocca la logica del male minore. Forse ha ottenuto la certezza che a Roma, sotto la sua finestra, non ci saranno altre deportazioni di massa. Ma Osborne non è in condizione di rispettarne la pena. Anzi, sembra irritato, va giù duro: la formula «Roma città aperta» è «una farsa», dice. L´Urbe «è alla mercé dei tedeschi» che la affamano, arrestano gli ufficiali, i giovani, i carabinieri e - attenzione qui - «applicano metodi spietati nella persecuzione degli ebrei». È l´unico, significativo accenno. Il resto riguarda ciò che all´inizio stava più a cuore al Papa, che Roma non diventi «un campo di battaglia». Per Osborne la faccenda è militare, non può garantire nulla. Tocca semmai al Pontefice salvaguardare i suoi diritti dai tedeschi. Pio XII replica «che in tal senso e fino a questo momento i tedeschi si sono sempre comportati correttamente». Ma anche l´ambasciatore insiste, con un approccio che suona diretto nella sua pur involuta formulazione: «A mio parere molta gente ritiene che egli (il Papa) sottostimi la sua autorità morale e il rispetto riluttante di cui egli è fatto oggetto da parte dei nazisti», tanto più considerato che buona parte della popolazione germanica è cattolica. Insomma, esca allo scoperto, dica qualcosa, condanni i nazisti. «L´ho esortato a tenerlo bene in mente nel caso emergesse una situazione in cui in futuro fosse necessario applicare una linea forte». Così si conclude l´incontro. Alle 20 di quel 18 ottobre il treno degli ebrei romani è a Firenze; il 19 si ferma a Padova per prestare assistenza ai prigionieri di ogni età che sono ammucchiati lì dentro da 28 ore; ad Auschwitz arriva la notte del 22, e poco dopo entra nel lager. Se la santità ha un significato, dentro quei vagoni e poi nel campo ce n´era moltissima.
La Stampa-Arrigo Levi: " Le parole necessarie su Pio XII "
Arrigo Levi
Era più che prevedibile che l’annuncio della decisione di Papa Benedetto XVI di dare avvio al processo di beatificazione di Pio XII venisse giudicato, non solo dagli ebrei romani ma dalle più alte personalità dell’ebraismo italiano e mondiale, pur impegnate intensamente nel dialogo interreligioso, quanto meno intempestivo, a tre settimane dall’attesa prima visita del Papa alla grande sinagoga di Roma. E’ stato detto e ripetuto da esponenti dell’ebraismo italiano, come da diplomatici israeliani, che la beatificazione rappresenta «un fatto interno alla Chiesa». Si discute l'opportunità di un giudizio che appare definitivo non solo sulle «eroiche virtù» ma anche - a torto o ragione - sull’operato storico di Pio XII, oggetto del dibattito da poco avviato tra storici ebrei e cattolici, e prima dell’apertura degli archivi vaticani successivi al febbraio 1939. E poi ci sono le memorie. Non tanto le memorie dei secoli di persecuzioni, che la Chiesa di Giovanni Paolo II ha più volte condannato (furono più di venti le occasioni in cui il grande Papa chiese perdono per l’uno o l’altro peccato storico della Chiesa, non solo nei confronti degli Ebrei), ma memorie molto vicine, soprattutto qui a Roma: «Non dimentichiamo - hanno detto i portavoce degli ebrei romani - il treno di 1021 deportati del 16 ottobre ’43 che partì verso Auschwitz da Roma nel silenzio di Pio XII». Sul piatto della bilancia della memoria ebraica quel silenzio pesa ancora. E come potrebbe non pesare? Anche se su un altro piatto pesa la consapevolezza che anche a Roma, dopo quella giornata tremenda, «i religiosi cattolici furono i principali attori dell’occultamento degli ebrei», e che in tutta Italia «la carità cristiana fu dispiegata durante la guerra in maniera non specifica nei confronti degli ebrei, ma sicuramente in maniera speciale, per motivi di quantità e di particolare allarme per le loro vite». Cito Liliana Picciotto, forse la maggiore studiosa ebrea della persecuzione che costò la vita a più di ottomila ebrei italiani, e a sei milioni di ebrei europei. Ha scritto ancora Liliana Picciotto: «Il rifugio nei conventi e nelle case religiose, l’aiuto dei parroci nei piccoli centri, la disponibilità e il soccorso prestato da esponenti o semplici iscritti all’Azione Cattolica fu di tale proporzione da assumere un aspetto corale». Secondo l’amica Liliana, nel suo intenso saggio che conclude il volume su «I Giusti d’Italia», voluto dal presidente Fini: «Al contrario di molti osservatori, non pensiamo che per questa opera fosse necessaria una specifica direttiva papale». Sono d’accordo che tanti sacerdoti agirono d’impulso, per virtù cristiana. Ma ammetto che io mi colloco fra «i molti» che ritengono non solo probabile ma sicuro che il Papa, dopo l’indimenticato silenzio del 16 ottobre ’43, approvò e stimolò l’opera di salvataggio degli Ebrei, non solo a Roma ma in tutta Italia, non solo ad opera di parroci di campagna ma di vescovi e autorevoli cardinali. Un esempio fra tanti: a Roma tedeschi e fascisti sapevano bene che il complesso del Laterano, che godeva di extraterritorialità, e innumerevoli case religiose che non godevano di tale privilegio, ospitavano ebrei o antifascisti. Furono molte migliaia, compreso tutto il vertice del Cln, e molti ebrei, quelli ospitati nel complesso lateranense nell’arco di tempo dell’occupazione tedesca, e che così si salvarono. Il Laterano rimase un rifugio (e Andrea Riccardi ha trovato conferme che il Papa sapeva), anche dopo l’invasione fascista dell’abbazia di San Paolo, che pure godeva anch’essa della extraterritorialità, e dove furono arrestati 96 fra ebrei, antifascisti e militari. Esito a giudicare le scelte del Papa di quei tempi tra parlare e tacere. Se il Papa avesse pronunciato una pubblica condanna dell’olocausto ebraico avrebbe compiuto un eroico atto di martirio, coinvolgendo tutta la Chiesa. Ma gli ebrei italiani vittime della Shoah sarebbero stati molti più di ottomila. Penso che sarebbe stato saggio rispettare con una più lunga attesa, prima di aprire la strada alla beatificazione di Pio XII, i sentimenti degli Ebrei sopravvissuti e dei loro discendenti, e lasciare più tempo agli storici. Ma auspico che, nel tempo che manca alla data prevista per la visita del Papa, le autorità cattoliche ed ebraiche trovino modo di ricomporre quel clima di comprensione, di dialogo, di fiducia, che si è costruito in questi anni; e che quindi la visita si possa fare in atmosfera serena. Prendo atto che il Papa, un Papa che ha avuto in tante occasioni parole di affetto verso gli Ebrei, ha già lanciato un primo segnale con una rinnovata durissima condanna della Shoah. Forse occorrono altri pronunciamenti. Le buone parole possono curare molte ferite.
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