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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Giornale - La Stampa - La Repubblica Rassegna Stampa
22.12.2009 Auschwitz: a rubare la scritta 5 ladri su commissione
Cronache e commenti di R. A. Segre, Elena Loewenthal, Elie Wiesel, Alberto Stabile

Testata:Il Giornale - La Stampa - La Repubblica
Autore: R. A.Segre - Elena Loewenthal - Andrea Tarquini - Alberto Stabile
Titolo: «Caso Auschwitz, l'ossessione dell'antisemitismo - Auschwitz e la memoria qualunquista - Auschwitz, i cinque ladri hanno agito su commissione»

Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 22/12/2009,a pag. 1-17, l'articolo di R. A. Segre dal titolo " Caso Auschwitz, l'ossessione dell'antisemitismo ". Dalla STAMPA, a pag. 1-33, l'articolo di Elena Loewenthal dal titolo " Auschwitz e la memoria qualunquista ". Da REPUBBLICA, a pag. 16, la cronaca di Andrea Tarquini dal titolo " Auschwitz, i cinque ladri hanno agito su commissione ", a pag. 17, l'articolo di Andrea Tarquini dal titolo " La felicità di Wiesel. La Memoria è salva " e l'articolo di Alberto Stabile dal titolo " Lettere, saponi e divise delle SS è un business l´asta del nazismo  ". Ecco gli articoli:

Il GIORNALE - R. A. Segre : "Caso Auschwitz, l'ossessione dell'antisemitismo"

Il titolo non corrisponde interamente a quanto scrive Segre, è una forzatura.
Ecco il pezzo:


R. A. Segre

Dunque non erano né rappresentanti di una organizzazione nazista né si è trattato di una manifestazione simbolica di antisemitismo dilagante. Erano dei ladri di polli, i cinque autori del fusto della scritta di entrata del Lager di Auschwitz. Era gente nota per precedenti furti che si è lasciata acciuffare a 72 ore da un’operazione, compiuta senza pericolo venerdì scorso, che ha emozionato il mondo.
Sembra che abbiano operato per conto di un collezionista di orrori, affermano le autorità polacche, liete che l’affare si sia sgonfiato, di aver dimostrato la loro buona volontà, l’efficienza della loro polizia incassando le congratulazioni del presidente dello Stato di Israele e di numerose organizzazioni ebraiche.
Questa lugubre storia come tutte le storie ha una morale. Anzi in questo caso almeno due morali di cui sarà bene ricordarsi in futuro.
La prima concerne il cosiddetto «problema ebraico». Ci hanno provato molti a risolverlo: con le conversioni forzate, con l’assimilazione volontaria, con la persecuzione sociale e religiosa, con «soluzioni finali» di alta efficienza industriale; con le guerre totali. Non è servito a nulla. Il «problema» resta immutato anche dopo la creazione dello Stato di Israele, che agli ebrei ha dato dignità ma non sicurezza collettiva nuova. I nervi degli ebrei restano scoperti come spesso quelli di chi ha, nel bene o nel male, a che fare con loro. Perché? Mistero, almeno secondo il detto di Jacques Maritain, un mistero che accompagna il fenomeno ebraico dal suo inizio biblico lungo tutta la sua straordinaria storia. Una storia che - a partire dal racconto del Vitello d’Oro - è quella di un popolo che porta il peso di una «elezione» dalla quale non riesce a sottrarsi. Per cui in attesa di saperne forse un giorno di più e tenendo conto della globalizzazione spesso isterica della comunicazione, sarebbe saggio usare prudenza prima di conoscere i fatti e soprattutto di condannare. Non tutto quello che concerne gli ebrei è antisemitismo o filosemitismo come non tutto quello che concerne il popolo di Israele è puro.
La seconda morale concerne ciò che questo furto mette in luce. Se gli ebrei a causa delle loro vicende hanno i nervi sempre scoperti, vivono spesso nel sospetto, reagiscono spesso in maniera eccessiva agli avvenimenti che li toccano da vicino o da lontano, una giustificazione ce l’hanno. È quella di chi troppe volte si è bruciato le dita. Ma coloro che, per una ragione o per un’altra, questa giustificazione non ce l’hanno, non dovrebbero trivializzare l’antisemitismo.
È vero che ebrei, Israele, antisemitismo sono argomenti che fanno notizia, perché in ciò che li concerne sembra sempre esserci qualcuno che morde la coda del cane piuttosto che vedere il cane che li morde. Fortunatamente il furto della scritta all’entrata del lager di Auschwitz, quella scritta così arrugginita nel dolore, così falsificata nella speranza della liberazione, così vile non rappresenta nulla. Nulla se non la forza di attrazione di un mercato in ricerca, come nella perversione sessuale, di possessi sempre più eccitanti, eclatanti. In questo caso è dunque lecito trarre un sospiro di sollievo. Ma anche un avvertimento contro ogni forma di esagerazione. È esagerazione volgare ma non necessariamente manifestazione di antisemitismo, parlare di Shoah per una sconfitta al calcio, anche se qualcuno vuol vederci un traviamento dell’Olocausto. È antisemitismo, quando in Spagna il giorno della Memoria della Shoah diventa ufficialmente anche quello della memoria dell’eccidio palestinese. Primo Levi diceva che lo scopo della sua vita di sopravvissuto era quello di cercare di raccontare ciò che le parole non possono esprimere. È saggio ricordare che un modo per onorare i morti è anche quello di saper parlare di loro abbassando la voce.

La STAMPA - Elena Loewenthal : " Auschwitz e la memoria qualunquista "


Elena Loewenthal

L’insegna di Auschwitz è stata ritrovata fra le mani di cinque gaglioffi qualunque, che (forse) avevano eseguito il «colpo» su commissione di un misterioso collezionista. Nulla a che fare con rigurgiti di neonazismo né storpiature della storia: si è trattato di delinquenza comune e pure di terz’ordine, vista la velocità con cui malviventi e corpo del reato sono stati acciuffati.
Un brutto affare, certo, ma nulla a che vedere con lo scandalo morale da molti additato appena «Arbeit macht frei» era sparito da in cima a quel terribile cancello. Il richiamo al neonazismo - fenomeno che non va affatto sottovalutato ma che qui non c’entrava nulla - è stato immediato, quasi naturale. Esclusa a priori la pista della banalità, quel furto è parso a quasi tutti un affronto alla storia, a quel passato inenarrabile, ai milioni di vittime.
E invece si è trattato di un assurdo equivoco, dove un crimine qualunque ha avuto per cassa di risonanza un certo qualunquismo della memoria. Perché siamo ormai abituati a ritualizzare il nostro rapporto con il passato, in particolar modo quel passato di cui il cancello di Auschwitz è l’ingresso. E di conseguenza a caricarlo di una sacralità che, nel bene e nel male, lo rende qualcosa di astratto. Ma Auschwitz non è affatto un luogo sacro, tutt’altro: è reale, vero, terribilmente concreto. Se allora fosse sparita quella targa, le SS non ci avrebbero pensato su due volte: ne avrebbero fatta fare un’altra, uguale. Perché nulla, lì dentro, nel campo e nelle camere a gas e nei forni crematori, nulla è mai stato un simbolo, ma solo e soltanto una tremenda verità di carne e sangue.
Invece, la ritualizzazione della memoria procede nel senso opposto, trasformando tutto in simboli più o meno evanescenti, carichi di allusioni magari inafferrabili. Ormai abituata a trasformare le cose in simboli - vuoi per ragioni di comodità, vuoi perché così è più facile ridurre tutto a ricorrenza, a celebrazione collettiva - la memoria collettiva finisce per produrre banalità, e si ritrova a caricare una targa di ferro battuto di significati che non ha mai avuto. Per questo il furto di quella insegna è sembrato inevitabilmente un esproprio della memoria, di quel passato - e un crimine così potevano averlo compiuto solo dei neonazisti, non certo dei malfattori comuni. Come su una linea di partenza tanto invisibile quanto netta, è scattato il grido allo scandalo, alla profanazione. Ma quale profanazione, se Auschwitz è il luogo più profano e infame che l’umanità sia mai stata in grado di concepire?
La riduzione della memoria a un catalogo di simboli non rende onore alle vittime, e nemmeno al nostro così disorientato presente: rischia invece di banalizzare il ricordo, facendolo dipendere da una targa di ferro battuto che, con gli occhi a terra e il cuore pieno di uno sgomento inenarrabile, i milioni di prigionieri passati lì sotto non hanno quasi mai fatto in tempo a vedere.

La REPUBBLICA -  Andrea Tarquini : "La felicità di Wiesel. La Memoria è salva"


Elie Wiesel

CRACOVIA - «Le mie congratulazioni alla polizia e alle autorità polacche, ma ora bisogna andare a fondo nelle indagini. Perché lo hanno fatto? Hanno dato per primi un esempio, la minaccia di una emulazione non va ignorata. Proteggere i Luoghi della Memoria deve divenire priorità assoluta del mondo civile». Il professor Elie Wiesel, Nobel per la Pace, sopravvissuto ad Auschwitz, commenta a caldo le notizie dalla Polonia.
Qual è stata la sua prima reazione alla notizia?
«Felice del blitz riuscito della polizia, ma insieme mi resta nell´animo il terribile interrogativo. Perché i cinque, tutti giovani nati e cresciuti nel dopoguerra, lo hanno fatto? Chi li ha ispirati, o spinti ad agire, e per quale motivo? Gli inquirenti sembrano escludere la pista neonazista, ma in Europa e nel mondo non ci sono solo gruppi apertamente neonazisti. Ci sono anche nuovi fascisti, xenofobi. Esistono altri gruppi, più pericolosi: i negazionisti dell´Olocausto, antisemiti d´ogni sorta. Spero che le indagini vadano avanti a fondo, in ogni direzione».
Sono stati presi a nord, lontano da Auschwitz. Secondo lei volevano passare i confini?
«È difficile far passare la frontiera a un oggetto così voluminoso, tanto voluminoso che l´hanno tagliato in tre pezzi. Il crimine va chiarito a fondo. È molto più di un furto, è la profanazione d´un simbolo. Quella scritta fu la prima cosa che vide chiunque arrivò a Auschwitz, e l´ultima che vide chi fortunato ne uscì vivo. La polizia deve individuare chi hanno visto e contattato i cinque banditi nelle ore prima della loro azione. Capire come hanno fatto a conoscere così a fondo il perimetro e i sistemi di sicurezza di Auschwitz».
Insomma teme più motivi politici che non manie patologiche di collezionisti?
«Perché un collezionista dovrebbe tenersi nascosta un´iscrizione in ferro battuto tagliata in tre parti, con le tre parole Arbeit/macht/frei che separate ciascuna per conto suo non significano nulla? È tutto così incomprensibile. Potrebbe essere stato un mandante singolo, o uno Stato. Non voglio accusare nessuno Stato e nessun altro, ma mi fa venire in mente che oggi l´Iran è il negazionista numero uno dell´Olocausto. Chi la pensa così vedrebbe volentieri scomparire Auschwitz e gli altri Luoghi della Memoria e della prova concreta della Shoah».
Quanto teme il ritorno del mostro, attraverso i neonazisti?
«L´Olocausto è un evento unico. Nella Storia, dopo, ci sono stati purtroppo altri genocidi, ma la politica di genocidio pianificato e industriale resta un crimine unico. I neonazisti sono osceni, non solo pericolosi, ma la maggioranza del mondo civile li emargina e li respinge, non mi sembrano in grado di tornare al potere. In tanti paesi, anche da voi in Italia, colgo una grande coscienza e sensibilità su questo tema. E in generale, la reazione dell´opinione pubblica mondiale alla profanazione di Auschwitz è stata immediata, enorme. Ciò conforta, ma guai ad abbassare la guardia».
Lancia il monito perché il tabù è rotto?
«Ecco il problema. Lo hanno fatto e quanto è stato fatto appare ripetibile. Per questo serve un´indagine veloce e profonda della polizia. C´è sempre, adesso, il pericolo che altri seguano il loro esempio. La priorità per la Storia, l´obbligo morale e politico non solo per Polonia, Germania, ma per tutto il mondo, è garantire la sicurezza a lungo termine dei Luoghi della Memoria. La Germania ha dato un grande esempio, stanziando da sola la metà delle somme necessarie a salvare Auschwitz dal logorio del tempo. Parte della somma dovrebbe essere usata per la sicurezza, proteggere quel patrimonio morale del ricordo dovrebbe divenire priorità nazionale per tutti. Tramandare la Memoria è imperativo, ora più che mai».

La REPUBBLICA - Andrea Tarquini : " Auschwitz, i cinque ladri hanno agito su commissione  "

CRACOVIA - La nuova Polonia ha reso giustizia alla memoria dell´Olocausto, i ladri profanatori di Auschwitz sono in carcere, presi in un blitz notturno dei corpi speciali della polizia. La targa di Auschwitz, quel macabro ‘Arbeit macht frei´ (il lavoro rende liberi) che era appeso alla Porta dell´Inferno, è stato recuperato. Resta il grande mistero sui moventi del crimine osceno, e sui possibili mandanti: i cinque criminali sono pregiudicati comuni, non hanno nulla a che vedere con la galassia neonazista. Interrogatori e indagini proseguono in una lotta contro il tempo, il crescente sospetto è che i cinque abbiano agito - come, secondo la radio Rmf-Fm è probabilissimo - su commissione di un misterioso, fanatico collezionista senza scrupoli di ricordi e cimeli del terzo Reich. Oppure di loro iniziativa, sperando però comunque di trovare un facoltoso acquirente.
Erano le prime ore di ieri, quando le breaking news hanno concesso un sospiro di sollievo al mondo civile. Pochi minuti prima, a Gdynia, il porto a un passo da Danzica al nord, e a Wloclawek nel centro, almeno sessanta tra poliziotti e agenti speciali della Agencja Bezpieczenstwa Wewnetrznego (agenzia per la sicurezza interna) erano passati all´azione. Divisa nera, cappuccio, la mitraglietta tedesca MP-5 in pugno, avevano fatto irruzione nelle case dove i cinque (due a Gdynia, gli altri tre a Wloclawek) si nascondevano.
Il blitz coordinato è durato pochi secondi, gli agenti erano pronti a tutto ma i cinque non hanno opposto resistenza. Catturati, hanno subito confessato dove avevano nascosto la refurtiva della profanazione: in un´abitazione a Czernikow, nella regione della splendida, antica Torun. Altri agenti sono stati allertati, hanno trovato l´iscrizione in ferro battuto impacchettata alla meglio, e tagliata in tre parti, una per ogni parola: Arbeit, macht, frei. «L´hanno tagliata per poterla trasportare meglio e nasconderla meglio nel loro covo», ha poi spiegato la polizia.
«I cinque non hanno contatti con la galassia neonazista», ha spiegato ieri mattina a Cracovia il portavoce della polizia, Andrzej Rokita. «Sono pregiudicati per furto e violenza, uno è un piccolo imprenditore edile, un altro un ex funzionario di polizia. Rischiano fino a dieci anni per furto di patrimonio storico nazionale». La targa sarà subito restituita al Museo di Auschwitz. Il cui direttore, Jaroslaw Mensfelt, ieri esplodeva di gioia. «Mi hanno avvertito subito, è stata la più bella notte insonne della mia vita». Adesso, aggiunge, urge riesaminare e riorganizzare a fondo i sistemi di sicurezza e vigilanza dell´ex fabbrica della morte. Sorvegliare 200 ettari è difficile e costoso, gli allarmi presenti ora non hanno funzionato. «E bisogna capire come i 5 facessero a conoscere bene tutti i dettagli del sistema d´allarme, non è facile».
L´inchiesta continua, insieme alla caccia in tutto il mondo al possibile mandante, il collezionista folle e ignoto. Si complimentano Israele, lo Yad Vashem, i sopravvissuti all´Olocausto. «E´ un sollievo, grazie a governo e polizia polacchi», afferma Noach Flug, uno dei superstiti. «Speriamo in una severa punizione dei colpevoli», chiede il Centro Simon Wiesenthal per la caccia agli ultimi criminali nazisti. Al museo di Auschwitz coperto di neve, ascolto ancora il direttore Mensfelt: «La polizia ha fatto un lavoro splendido, l´opinione pubblica mondiale ci è stata accanto, non ci ha fatto sentire soli. E il grande schiaffo a neonazi e negazionisti era venuto proprio dai fondi straordinari stanziati dalla Germania per consentire al memoriale di sopravvivere: Berlino capisce che la Memoria è la salvezza del mondo». Vent´anni dopo la caduta del Muro che cominciò qui, Polonia e Germania insieme danno un segnale di credibilità morale.

La REPUBBLICA - Alberto Stabile : " Lettere, saponi e divise delle SS è un business l´asta del nazismo  "

GERUSALEMME - Chissà se la scritta di Auschwitz ritrovata ieri era destinata al mercato dell´orrore. Lo scopriranno gli inquirenti polacchi. Di sicuro, si può dire che il commercio più o meno clandestino di simboli nazisti esiste perché, evidentemente, c´è una domanda di questi per così dire memorabilia e qualcuno immagina persino di poterci guadagnare dei soldi. Come, ad esempio, l´anonimo collezionista che qualche anno fa mise all´asta una saponetta con il marchio della Wehrmacht e l´indicazione che era stata fabbricata con «grasso umano».
Scoppiò uno scandalo, in Israele. Furono interpellati gli esperti dello Yad Vashem, il museo dell´Olocausto che si è dato il compito non soltanto di conservare la memoria dello sterminio, ma anche di vigilare che le prove, le testimonianze e i documenti raccolti a sostegno della memoria siano rigorosamente autentici e non inquinati.
Ora, a parte il fatto che nemmeno i nazisti hanno mai fabbricato sapone industriale con il grasso delle loro vittime, il significato della scritta che compariva sulla saponetta, RIF era chiarissimo: Reichsindustriesfett, industrie di grasso del Reich e non si riferiva, come pretendeva il proprietario della saponetta, agli ebrei. Tuttavia scoppiò un tale putiferio che l´asta venne immediatamente annullata. In questo caso si trattò di un tentativo di truffa andato a vuoto.
Diverso è il caso di Reiner Hoess, il nipote del famigerato comandante del campo di Auschwitz, Rudolf Hoess che, non molti mesi fa ha scritto allo Yad Vashem una lettera in cui offriva di vendere all´Istituto alcuni «effetti personali» appartenenti al nonno. La lettera, intitolata «Oggetti rari, Auschwitz, Comandante Hoess» era, come la sua intestazione, breve, succinta e allucinante. Subito l´elenco dei beni: «Ecco diversi oggetti dal patrimonio di Rudolf Hoess, il comandante di Auschwitz: una massiccia scatola resistente al fuoco con insegne ufficiali - regalo di Heinrich Himmler, il comandante delle SS - del peso di 50 chilogrammi, un tagliacarte e un portacarte, diapositive da Auschwitz mai viste prima pubblicamente, lettere dal periodo della sua detenzione a Cracovia. Sarei molto grato di una breve risposta. Sinceramente, Reiner Hoess».
Scioccati dal contenuto della lettera, i dirigenti dello Yad Vahem hanno respinto l´offerta, accompagnando il rifiuto di prenderla in considerazione con espressioni di sdegno, visto il desiderio dell´erede di Hoess di trarre profitto da quei reperti affiorati dalla voragine dell´Olocausto.
Hoess s´è difeso dicendo che l´idea di vendere allo Yad Vashem gli era venuta conversando con un amico, il nipote di Baldur von Schirach che fu il leader della Hitlerjugend il movimento giovanile nazista. Dopo aver premesso che l´esistenza di quegli oggetti era nota, tanto da aver ricevuto diverse offerte, «ho pensato - ha precisato Hoess - che sarebbe stato appropriato venderli allo Yad Vashem (perché) non voglio che finiscano nelle mani sbagliate». Ma perché, allora, non donarli al Museo? C´è poi una terza categoria di memorabilia nazisti che gli effetti collaterali della globalizzazione portano anche in Israele, perché, si sa, il mercato non ha confini. Era l´Aprile del 2008, vigilia del giorno della Shoah quando una signora s´accorge, dopo aver fatto shopping in un supermercato di Tel Aviv, d´aver inavvertitamente comprato anche un accendino di plastica, usa e getta, con impressa una svastica nazista e il fotogramma di un fumetto porno-noir, una donna seminuda ma con tanto di cappello della Wehrmacht e fascia rossa. Prodotto ritirato.
Come sanno bene i pubblicitari l´orrido ripugna e attrae allo stesso tempo. Se non fosse vero, un paio d´anni fa non sarebbero stati messi in vendita anche in Israele un modello di alti stivali da donna chiamati «stivali di cuoio nazista». Altro scandalo e altre proteste e gli stivali cambiarono rapidamente nome e forma.

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