Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 21/12/2009, a pag. 12, l'articolo di Paolo Lepri dal titolo " La morte di Montazeri e il dissenso che diventa ' atto contro Dio' ", a pag. 15, l'articolo di Cecilia Zecchinelli dal titolo " Morto Montazeri, ayatollah anti-regime. L’opposizione iraniana scende in piazza ". Dalla STAMPA, a pag. 9, l'articolo di Claudio Gallo dal titolo " Il rivoluzionario che criticò la Rivoluzione " . Ecco gli articoli:
CORRIERE della SERA - Paolo Lepri : " La morte di Montazeri e il dissenso che diventa ' atto contro Dio' "
Ayatollah Montazeri
Nel 1989 i pasdaran fecero irruzione nella casa del Grande Ayatollah Hossein-Ali Montazeri, e lo umiliarono costringendolo a indossare un berretto da notte al posto del turbante bianco da religioso, quasi come se fosse stato l’Argante del Malato Immaginario di Molière. La rottura era ormai totale. Alcuni mesi prima l’erede designato di Ruhollah Khomeini, morto ieri a Qom, si era ribellato al leader della rivoluzione islamica per l’ondata di esecuzioni degli oppositori politici.
«La negazione dei diritti del popolo, l’ingiustizia e il disprezzo per i veri valori della rivoluzione hanno inferto i colpi più duri contro la rivoluzione stessa. Prima che qualsiasi ricostruzione abbia luogo, ci deve essere una ricostruzione politica e ideologica». Queste le lungimiranti accuse che Montazeri aveva rivolto a Khomeini. Poi, non contento, la contestazione aperta contro colui che sarebbe diventato la Guida Suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, del quale aveva discusso la possibilità di essere «una fonte di emulazione». A quelle parole coraggiose lo stesso Khamenei ha risposto ieri, a venti anni di distanza, con altre parole oblique, in un certo senso beffarde. «Era un teologo apprezzato e un importante docente », ha affermato il «numero uno» della teocrazia iraniana, augurando all’ex rivale il «perdono di Dio» per quella che ha definito «la prova cruciale» cioè la sua dissociazione dal khomeinismo.
Ancora una volta, e al massimo grado, il dissenso politico è giudicato in Iran un gesto blasfemo, un atto che sfida «il volere di Dio». Perché Montazeri era diventato in questi anni un punto di riferimento per gli avversari del regime e un oppositore della politica aggressiva del presidente Mahmoud Ahmadinejad: «Bisogna trattare con il nemico con saggezza, non provocarlo», aveva detto nel gennaio del 2007 parlando del programma nucleare iraniano. «Non provocare il nemico». Questo suggerimento non è stato ascoltato, purtroppo, nemmeno nel giorno della sua morte.
CORRIERE della SERA - Cecilia Zecchinelli : " Morto Montazeri, ayatollah anti-regime. L’opposizione iraniana scende in piazza "

Sono arrivati in migliaia da tutto l’Iran, accolti dalle squadre antisommossa, nell’allerta generale. Un triste ma combattivo pellegrinaggio verso la città santa di Qom per dare l’addio a Hossein-Ali Montazeri. Il Grande Ayatollah da anni etichettato dal regime come un «semplice religioso di campagna » è morto nel sonno sabato notte a 87 anni per arresto cardiaco, sarà sepolto oggi. I media ufficiali nel dare lo scarno annuncio ieri mattina non ne hanno nemmeno menzionato la carica. Un inutile tentativo di evitare le manifestazioni che si sono poi tenute anche a Teheran, nelle università e nelle piazze. Un estremo sfregio al dissidente più prestigioso della Repubblica islamica, teologo di primo piano nell’universo sciita. Solo in serata la Guida Suprema Ali Khamenei lo ha ricordato, citandone il titolo e i «tanti sforzi» fatti per l’Iran, definendolo «un illustre giurista e un maestro preparato». Ma ha aggiunto: «Che Dio lo perdoni » Ma Montazeri era molto di più. Padre spirituale del movimento di protesta nato dopo le elezioni farsa di giugno, nonostante l’età, le malattie e l’emarginazione aveva continuato a parlare, emesso una fatwa contro il presidente Ahmadinejad, chiamato il clero a reagire. Soprattutto era stato la coscienza critica della Rivoluzione per trent’anni. Famiglia contadina, studi religiosi con Khomeini, attivo contro lo scià (passò anni in prigione dove fu torturato), capo del movimento in patria quando l’Imam era in esilio. E fu il delfino riconosciuto di Khomeini fino a poco prima della morte di quest’ultimo, quando in una notte del 1989 passò da successore designato a dissidente per le sue aperte critiche alla leadership a causa delle esecuzioni di massa, il disprezzo delle libertà civili, il potere «assoluto» della Guida Suprema che non riconosceva. Da allora Montazeri fu la spina del fianco del regime, che dal 1997 al 2003 lo consegnò agli arresti domiciliari, interrotti solo per motivi di salute. Ma la sua voce non s’era mai spenta, prima via fax, poi con Internet, tornando a insegnare.
Nella sua semplice casa di Qom, dove ci aveva ricevuto per una rara intervista, due anni fa ci era apparso fragile, cappellino di lana e riscaldamento al massimo, circondato da parenti e discepoli che lo trattavano con infinito amore. Ma molto lucido e tagliente. Già allora aveva parlato a lungo della Rivoluzione tradita, accusato di abuso i vertici a partire da Khamenei (suo inferiore nella gerarchia religiosa), previsto che se «lo spirito originario non fosse stato recuperato, la Repubblica Islamica era in pericolo ». Parole che ha ripetuto fino all’ultimo: pochi giorni fa aveva incolpato la «dittatura» di aver orchestrato la bruciatura della foto di Khomeini addossandone la responsabilità all’opposizione per motivare nuove repressioni, aveva difeso la memoria dell’Imam «nonostante qualche errore commesso ». In questi ultimi mesi gli era stato risparmiata la prigione: il suo diabete era peggiorato, un arresto avrebbe causato ulteriori proteste. Ma certo per Khamenei e Ahmadinejad la sua morte è una buona notizia, anche se il movimento antiregime ne ha trovato ieri nuova forza. Domenica prossima, i sette giorni dalla morte (ricorrenza importante per l’Islam) coincideranno con la cerimonia più sacra per gli sciiti, l’Ashura, che celebra il dolore e la rabbia per l’uccisione di Hussein.
E almeno fino ad allora, si prevede, la tensione tornerà a essere altissima in Iran. Ma poi? «La scomparsa di Montazeri è un colpo enorme per il campo riformista — ha ammesso ieri il giornalista liberal Ghanbar Naderi —. Sostituirlo sarà impossibile » .
La STAMPA - Claudio Gallo : " Il rivoluzionario che criticò la Rivoluzione "
Montazeri e Khomeini
Piccolo, la barba bianca, i grandi occhiali che gli velavano lo sguardo, il Grand’Ayatollah Hussein Ali Montazeri amava farsi fotografare con l’«Aragh Chin», lo zuccotto bianco che porta sul capo chi è stato in pellegrinaggio alla Mecca. Il figlio Ahmad ha accolto nella casa di Qom una cinquantina di ex studenti, tra cui Emadeddin Baghi, uno più coraggiosi difensori dei diritti umani nel Paese, che sono arrivati per primi alla notizia della morte del maestro. «L’ayatollah Montazeri - ha detto al telefono al Los Angeles Times il religioso riformista Fazel Fazel Maybodi - sarà ricordato nella storia dell’Iran come un uomo coraggioso, aperto, che diceva la verità anche se era pericoloso dirla».
Era nato nel 1922 a Najafabad, cittadina vicino a Isfahan celebre per i melograni e le sette torri dello sceicco Bahaei. Di famiglia povera, si dedicò agli studi islamici in un seminario di Qom. Il giovane studente fu subito notato da Ruhollah Khomeini, il futuro padre della patria, che gli fece da maestro. Presto a Qom si cominciò a parlare più di politica che di teologia e Montazeri fu trascinato insieme col suo mentore nei gorghi della lotta contro il potere dello Shah. Nel 1974 fu arrestato e condannato a morte come sovversivo. La pena capitale non fu mai applicata e dopo quattro anni fu liberato, nel 1978. Proprio in tempo per prendere parte alla rivoluzione islamica.
All’alba dell’era khomeinista, nel 1979, fu designato successore della Guida Suprema. Khomeini sapeva che Montazeri era un uomo umile e senza il carisma necessario per infiammare le masse sciite, ma ne apprezzava la saldezza dottrinale e si fidava di lui. Il fedele delfino alla fine ripeté a suo modo il parricidio di Aristotele, che insieme a Platone aveva influenzato potentemente la filosofia religiosa sciita: «Amicus Khomeini sed magis amica veritas». Il suo cuore e la sua mente erano più fedeli alla verità che al vecchio maestro. Nel 1989 la sua stella rivoluzionaria cominciò a spegnersi: da tempo criticava apertamente le esecuzioni di massa dei prigionieri politici e il sistema islamico. Stava allontanandosi dall’Islam politicizzato di Khomeini, che in qualche modo mettendo i chierici al potere si era ispirato alla Repubblica platonica. Le posizioni di Khomeini non rappresentavano certo tutta l’élite del clero sciita, e il Grand’Ayatollah Kohei, che aveva credenziali religiose pari almeno a quelle della Guida Suprema, predicava da Najaf, in Iraq, un Islam più quietistico e moderato e soprattutto meno politico.
Il limite fu superato quando Montazeri chiese all’ex maestro di riformare il nuovo stato islamico, di rendere legali i partiti politici. Riuscì a criticare la celebre «fatwa» di Khomeini contro Salman Rushdie. «Il mondo si sta facendo l’idea che qui in Iran non pensiamo ad altro che ad ammazzare la gente», disse. Le richieste del delfino furono discusse dall’Assemblea degli esperti, il consiglio insindacabile che elegge la Guida Suprema. Il risultato fu che perse il suo posto di successore designato alla guida del Paese. Lui non scalpitò, chiese invece ai suoi sostenitori di non protestare. Da allora la sua libertà personale fu molto limitata e praticamente fu costretto a vivere nel perimetro della sua casa di Qom.
È interessante che dopo di lui sparì dalla Costituzione islamica il requisito di «marja» (titolo onorifico che ottengono i grandi leader spirituali degni di emulazione) per arrivare al soglio di Guida Suprema. Infatti, alla morte di Khomeini, salì al potere Ali Khamenei, un chierico abbastanza incolore, che aveva scalato i vertici religiosi per meriti politici più che teologici. Mostrava però una fede incrollabile nel «Velayat e faqih», la tutela dei giureconsulti, il platonico governo dei filosofi che costituiva l’essenza del khomeinismo, quel nucleo che Montazeri aveva tentato di intaccare con l’acido della critica.
Il vecchio saggio, prigioniero di riguardo tra le mura sante di Qom, era diventato naturalmente uno dei padri spirituali (e politici) del movimento verde, sorto dalle contestazioni per la poco credibile rielezione di Ahmadinejad alla presidenza nel giugno scorso. Vecchio e malato continuava a non tirarsi indietro. Nel clima celebrativo del trentennale della presa degli ostaggi all’ambasciata americana nel 1979, stupì tutti scusandosi del suo ruolo di allora e definendo l’episodio, ormai entrato nell’epica del regime, un grave errore. Dal suo eremo forzato aveva deciso di non perdonare nulla al potere che aveva contribuito a creare. Solo due settimane fa aveva ammonito i «basiji», i miliziani paramilitari che hanno massacrato con zelo l’opposizione nelle strade: «State scambiando il sentiero di Dio con quello del Diavolo».
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