La notizia del mandato d'arresto britannico a carico di Tzipi Livni è stata trattata dai quotidiani italiani. Sul MANIFESTO viene pubblicata una breve dal tono compiaciuto di Michele Giorgio. La STAMPA, invece, le dedica un articolo di Francesca Paci, la quale scrive : " Tel Aviv e Londra sono ai ferri corti ". Saremmo lieti che Paci non confondesse le capitali. Quella di Israele è Gerusalemme, non Tel Aviv. Se no che scriva che Tel Aviv e Manchester sono ai ferri corti.
Sullo stesso argomento, invitiamo a leggere la corrispondenza da Israele di Deborah Fait, pubblicata in altra pagina della rassegna.
Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 16/12/2009, a pag. 16, l'articolo di R. A. Segre dal titolo " Caso Livni, Israele non perdona Londra ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 21, l'articolo di Francesco Battistini dal titolo " Mandato d’arresto per Livni. Israele protesta con Londra ". Dal FOGLIO, a pag. 3, l'articolo dal titolo " La sottile forma di boicottaggio inglese alle merci israeliane ". Ecco gli articoli:
Il GIORNALE - R. A. Segre : " Caso Livni, Israele non perdona Londra"
L’ambasciatore inglese è stato ieri convocato al ministero degli Esteri di Gerusalemme per ricevere la protesta di Israele contro la decisione di un giudice inglese di arrestare il capo del partito Kadima come criminale di guerra. L’azione provocata da un gruppo palestinese, forte del fatto che chiunque in Inghilterra ha diritto di promuoverla, non ha avuto seguito solo perché il giudice erroneamente riteneva che la Livni si trovasse sul territorio britannico. Errore che imbarazza l’Inghilterra e riapre un vaso di Pandora politico e giuridico internazionale: Londra sta esaminando ora «il modo di cambiare il suo sistema per evitare casi simili in futuro», ha detto il capo della diplomazia britannica, David Miliband, ieri. «Ora siamo tutti Livni» ha gridato un membro del Likud, avversario della Livni, imitando il grido di Kennedy davanti al muro di Berlino. E c’è da credere che questo grido abbia galvanizzato e unito anche gli israeliani più politicamente divisi. Per l’inviato del «quartetto» per il Medio Oriente, l’ex premier britannico Tony Blair, l’incidente rischia di escludere la Gran Bretagna da ogni partecipazione agli sforzi di pace nel Medio Oriente.
Il caso Livni riapre un contenzioso fra sovranità statale e sovranità internazionale iniziato con la costituzione di un tribunale criminale internazionale all’Aia approvato alla conferenza diplomatica di Roma nel giugno 1998. Davanti ad esso sono comparsi personaggi come Milosevic e certamente non apparirà il presidente del Sudan Bashir che circola liberamente in Paesi come la Turchia e l’Egitto che hanno aderito alla Convenzione. Israele con Russia, Cina e Stati Uniti non l’hanno ratificata assieme ad altri 30 Paesi. Gerusalemme si oppone all’estensione voluta dai Paesi arabi della convenzione ai «territori occupati». In base a questo articolo i palestinesi hanno tentato di incriminare israeliani davanti ai tribunali spagnoli e belgi, obbligando i governi di questi Paesi a emettere disposizioni restrittive all’applicazione della convenzione. Obbligare l’Inghilterra a fare lo stesso ha un triplice interesse.
Si tratta anzitutto di una questione di prestigio nazionale. Mettere cioè fine ad una situazione che pone qualunque israeliano alla mercé del buon volere dei palestinesi o di qualunque organizzazione anti israeliana o antisemita. In altre parole di essere potenzialmente considerati come degli «appestati». Accusa ingiustificata anche perché la convenzione non dovrebbe applicarsi ai Paesi che non l’hanno ratificata - cosa comunque soggetta ad un ampio dibattito. Non meno importante per il governo di Gerusalemme è ottenere il cambiamento della procedura inglese che lascia come aperto a qualsiasi privato di trasformare una convenzione dettata dall’orrore dei crimini nazisti contro gli ebrei, in arma contro di essi. Cosa resa attuale dal tentativo di trascinare davanti al tribunale criminale internazionale la dirigenza politica e militare di Israele attraverso la commissione Gladstone di inchiesta sulle operazioni militari contro Gaza. Questa commissione che ha già provocato il rifiuto dell’Autonomia Palestinese e del suo presidente Abu Mazen di riprendere i negoziati con Israele per un’eventuale soluzione del conflitto.
Infine - cosa non meno importante - questo contenzioso con l’Inghilterra offre a Israele l’opportunità di denunciare l’ipocrisia di molti Paesi, arabi e non arabi e delle stesse Nazioni Unite nel loro tentativo di incriminare e delegittimare lo Stato ebraico. Questo mentre viene accettata come quasi un diritto la volontà istituzionalizzata di movimenti politici come Hamas e gli Hezbollah di distruggere lo Stato degli ebrei. Minacciare di arresto una personalità politica democraticamente eletta come la signora Livni per crimini che non aveva commesso né poteva commettere mentre libero spazio viene dato, anche in sede internazionale, ai propositi di un dittatore invasato come Ahmadinejad e ai rappresentanti di un regime oppressivo come quello iraniano di eliminare fisicamente l’intero popolo di Israele sfida la ragione. E quella stessa coscienza internazionale che ha dato vita all’Onu e al tribunale criminale internazionale il cui scopo è di mettere fine ai crimini di guerra.
CORRIERE della SERA - Francesco Battistini : " Mandato d’arresto per Livni. Israele protesta con Londra "
Tom Phillips, ambasciatore della Gran Bretagna in Israele
GERUSALEMME — Se l’erano filata un po’ tutti all’inglese. Tzipi Livni, che voleva risolvere in silenzio. Il governo Netanyahu, che non voleva aprire un nuovo fronte diplomatico con un Paese già problematico. E naturalmente gl’inglesi, che non volevano dare nell’occhio. Così lunedì, quando Al Jazeera ha rivelato che un giudice britannico aveva emesso un mandato di cattura internazionale contro la Livni per «crimini di guerra», tutti si sono precipitati a smentire. Per poche ore. Finché un giornale non ha trovato la conferma e soprattutto il ministro degli Esteri israeliano, Avigdor Lieberman, non ha deciso di protestare ufficialmente: convocando (ieri) l’ambasciatore a Tel Aviv, Tom Phillips, e prevedendo (un domani) «implicazioni nei rapporti fra i due Paesi» se il Parlamento di Sua Maestà non rivedrà questa legge del 1988 che permette a qualsiasi corte inglese, in qualunque momento e ad ogni latitudine, di perseguire presunti criminali di guerra di qualsivoglia nazionalità.
Tzipi ha rischiato l’arresto. Davvero. Perché oggi è solo un deputato della Knesset israeliana, capo dell’opposizione Kadima, e per la legge del Regno non è protetta dall’immunità. L’anno scorso di questi tempi, faceva il ministro degli Esteri e si preparava alla guerra di Gaza. Due settimane fa, è stata fermata con le valigie già pronte, destinazione Londra, in agenda un incontro privato col premier Gordon Brown e un discorso al Jewish National Fund, braccio finanziario delle organizzazioni sioniste. All’ultimo, la telefonata: meglio non partire e limitarsi a una videoconferenza.
Tintinnavano le manette, a Scotland Yard. Motivazione: la morte di circa 1.400 palestinesi nei 22 giorni dell’operazione Piombo Fuso, quella che servì a stoppare Hamas e il lancio di Qassam su Israele.
Crisi diplomatica, adesso. Inevitabile. Parla d’«assurdità» e d’immoralità Bibi Netanyahu, premier israeliano, che ricorda come il suo ministro Barak abbia rischiato la stessa sorte un mese fa (ma aveva l’immunità), per non dire dei generali: «Non concepiamo che l’ex premier Olmert, o Barak e la Livni, finiscano in tribunale, né che siano chiamati criminali i soldati che hanno combattuto con coraggio e senso etico». Nessun politico israeliano andrà più nel Regno Unito, finché pende questa spada, e non hanno alcun peso le denunce delle ong o il rapporto Onu che accusa Israele d’avere picchiato troppo duro: «Rifarei tutto — dice Tzipi —. Era un’operazione necessaria: lo dimostra il fatto che abbiamo mostrato per anni moderazione, di fronte ai lanci ripetuti dei razzi, e l’abbiamo condotta dopo esserci ritirati dalla Striscia. È quel che farebbe qualsiasi Paese, per difendere i suoi cittadini dal terrorismo ». Londra promette iniziative, per evitare che i rapporti diplomatici naufraghino, ma (parole dell’ambasciatore Phillips) «dopo l’offensiva di Gaza, non è facile rivedere la legge che permette d’incriminare politici stranieri » .
Non è facile anche perché il clima è ostile a Israele: in questi giorni, il ministro inglese dell’Alimentazione ha riaperto la querelle sui prodotti importati dagl’insediamenti in Cisgiordania, «illegali». Qualche sera fa, a una riunione dell’Associazione anglo-israeliana, lo storico Andrew Roberts ha ricordato il paradosso diplomatico della regina Elisabetta. Che in 57 anni, ha fatto 250 visite ufficiali in 129 Paesi. Ha stretto la mano ai peggiori dittatori. Ma in Terrasanta, lei che è pure a capo d’una Chiesa cristiana, no, quaggiù non c’è mai voluta venire.
Il FOGLIO - " La sottile forma di boicottaggio inglese alle merci israeliane "

Campagna di boicottaggio contro Israele
Roma. Hamas ha festeggiato il ventennale della sua fondazione con un viaggiopremio a Teheran, mentre la succursale londinese dell’emittente araba al Jazeera lanciava la notizia che un tribunale britannico aveva emesso un ordine di cattura, poi ritirato, per l’ex ministro degli Esteri israeliano, oggi capo del partito di opposizione Kadima, Tzipi Livni. Mandato originato da una denuncia per crimini di guerra presentata da “elementi radicali” della comunità locale musulmana in relazione all’offensiva “Piombo Fuso”, condotta lo scorso inverno a Gaza. La minaccia d’arresto è stata sufficiente per annullare il viaggio in Inghilterra di Livni. Israele ha invitato il governo di Londra a intervenire “immediatamente” a protezione dei diplomatici israeliani, pena “un danno alle relazioni” bilaterali. Il ministero degli Esteri britannico, assieme al Defra, il ministero dell’Alimentazione e degli affari rurali, ha emesso una storica direttiva a tutte le catene di supermercati nel Regno Unito: nelle merci provenienti dalla Cisgiordania dovrà essere indicato se sono prodotte negli insediamenti israeliani. E’ una sottile ma potente forma di boicottaggio delle merci realizzate nelle colonie ebraiche e vitali per l’economia israeliana. E’ subito salita la tensione tra Gran Bretagna e Israele in seguito alla nuova politica. I supermercati dovranno modificare le etichette che attualmente indicano “prodotto della West Bank”, rendendole più specifiche per informare i consumatori sulla provenienza dei cibi o beni acquistati, scrivendo quindi “prodotto palestinese” o “prodotto degli insediamenti israeliani”. L’obiettivo del decreto secondo Londra è “permettere ai consumatori di scegliere quale prodotto acquistare”. Ma in un paese ad altissimo tasso di antisionismo la mossa equivale a lanciare un pesante boicottaggio antisraeliano. Il governo Netanyahu, che pure ha congelato la costruzione di nuove abitazioni nelle colonie, accusa Londra di incoraggiare il boicottaggio e teme che il gesto possa portare a una ostilità più generalizzata verso il “made in Israel”. Dan Katrivas, responsabile estero dei manifatturieri israeliani, spiega che “c’è una campagna capillare, le organizzazioni pro palestinesi bombardano i negozianti con lettere e telefonate, chiedendo di togliere le nostre merci”. Sono una trentina le società israeliane che producono negli insediamenti della West Bank e che esportano frutta, verdura, cosmetici, tessili e prodotti di plastica e metallo in Gran Bretagna, che vengono poi venduti in tutte le maggiori catene di negozi e supermercati. “Questa è la capitolazione del governo inglese alle organizzazioni filopalestinesi”, decreta il funzionario israeliano Yossi Levy. Una settimana fa la Palestine Solidarity Campaign, organizzazione britannica pro-palestinese, aveva dato il via a una settimana di boicottaggi di prodotti israeliani. Supermercati come Waitrose e rivenditori al dettaglio come Sainsbury’s, Somerfield, John Lewis e B&Q vendono tutti beni provenienti dalle colonie e spesso frutto della manodopera palestinese che dell’economia degli insediamenti vive. Per far fronte alle troppe richieste di boicottaggio, grandi aziende come Tesco, la più importante catena britannica di distribuzione, hanno dedicato un numero speciale ai prodotti israeliani: “Servizio clienti Tesco. Se state chiamando per informazioni sui prodotti da Israele, digitate 1”.
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