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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - Il Foglio Rassegna Stampa
15.12.2009 L'Iran è in grado di costruire la bomba. Chi ha ancora dei dubbi ?
Ahmadinejad processa i tre turisti americani e fa arrestare le madri degli studenti contro il regime. Cronache di Guido Olimpio e redazione del Foglio

Testata:Corriere della Sera - Il Foglio
Autore: Guido Olimpio - La redazione del Foglio
Titolo: «Teheran manda a processo tre escursionisti americani - Ora Teheran ha il grilletto atomico per fare esplodere la Bomba - L’Iran arresta le madri della rivoluzione e ne cancella le tracce»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 15/12/2009, a pag. 18, l'articolo di Guido Olimpio dal titolo " Teheran manda a processo tre escursionisti americani ". Dal FOGLIO, a pag. 3, gli articoli titolati " Ora Teheran ha il grilletto atomico per fare esplodere la Bomba " e " L’Iran arresta le madri della rivoluzione e ne cancella le tracce ". Ecco i pezzi:

Il FOGLIO - " Ora Teheran ha il grilletto atomico per fare esplodere la Bomba "

Roma. Il programma atomico iraniano non è soltanto civile, come sostiene Teheran, ma è anche militare. Un documento pubblicato ieri dal quotidiano inglese Times dimostra che gli scienziati del regime possiedono il deuteride d’uranio (UD3), l’elemento usato come detonatore nelle armi nucleari. Il rapporto trafugato, scritto in farsi, ha la firma di Mohsen Fakhrizadeh, l’uomo scelto dagli ayatollah per trasformare la Repubblica islamica in una potenza atomica. I test sono cominciati già nel 2007 e avrebbero fornito risultati incoraggianti. La notizia arriva in un momento delicato per la comunità internazionale: questa settimana si decide sull’ipotesi di applicare nuove sanzioni contro Teheran, una proposta avanzata dal presidente della Casa Bianca, Barack Obama, dopo mesi di trattative infruttuose con i ministri iraniani. Per il governo di Israele, il dossier del Times “aumenta la preoccupazione”; un analista dell’International institute for strategic studies, Mark Fitzpatrick, parla di potenziale “casus belli” per un conflitto. Il detonatore per armi nucleari si aggiunge alle altre prove di gioco sporco iraniano. A settembre, poco lontano dalla città santa di Qom, è stata scoperta una centrale segreta che potrebbe ospitare centinaia di centrifughe per arricchire l’uranio. Secondo la stessa Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), il sito fa parte di una rete clandestina costruita per mandare avanti il programma nel caso in cui le grandi centrali di Natanz e Bushehr fossero colpite. Il presidente iraniano, Mahmoud Ahmadinejad, in crisi per le proteste di piazza, rilancia le ambizioni militari del paese –“la Repubblica avrà presto venti nuove centrali”, ha detto. Chi è in possesso dell’UD3, spiega Jeffrey Lewis di Arm Control Wonk, una rivista online che si occupa di armamenti, è arrivato alla fase decisiva del processo, perché questo elemento non ha altri funzioni: è una specie di grilletto atomico, serve esclusivamente per innescare un’esplosione. Tracce del deuteride si trovano in Cina e in Pakistan, due paesi che hanno già testato questa tecnica piuttosto innovativa; proprio uno scienziato di Islamabad, Abdul Qadeer Khan, avrebbe fornito ai colleghi di Teheran qualche consiglio prezioso sull’atomo da guerra. Se AQ Khan è il padre della bomba pachistana, Fakhrizadeh è il suo gemello persiano. Il suo nome è spuntato un anno fa, quando gli agenti della Cia hanno messo le mani su un computer portatile iraniano. Fakhrizadeh ha cinquant’anni, è un esperto di fisica arruolato nelle Guardie della Rivoluzione: a Washington pensano che sia la persona giusta a cui chiedere qualche spiegazione sul programma atomico di Teheran ma il regime non permette incontri. Sarebbe la mente del “Progetto 111”, una testata atomica grande quanto un pallone da calcio in grado di esplodere a duemila piedi di altezza che potrebbe essere montata su missili Shahab 3, gli stessi che il regime lancia da mesi di fronte a fotografi e cronisti. Il documento pubblicato ieri era già negli uffici delle principali agenzie d’intelligence europee e mette in chiaro un punto: l’Iran non ha interrotto il programma nucleare nel 2003, come credevano gli esperti dell’Aiea. La decisione sul nuovo giro di sanzioni è attesa nei prossimi giorni. Stati Uniti, Francia, Germania e Gran Bretagna sono a favore, ma questa volta anche Russia e Cina sembrano sostenere la linea.

CORRIERE della SERA - Guido Olimpio : " Teheran manda a processo tre escursionisti americani "

 I tre turisti americani

WASHINGTON — A Teheran sembrano essere tornati i tu­multuosi anni della Rivoluzio­ne islamica. Pugno di ferro sul­le teste degli oppositori. Schiaf­fi alla comunità internazionale. Una doppia sfida che non è so­lo verbale ma è riempita di fatti concreti.

L’ultimo atto viene dall’an­nuncio di un processo immi­nente nei confronti di tre escur­sionisti americani arrestati do­po che, provenienti dal Kurdi­stan iracheno, sono sconfinati in territorio iraniano. Shane Bauer, 27 anni, Sarah Shourd, 31, e Josh Fattal, 27, hanno vio­lato il confine in luglio e da allo­ra sono rinchiusi nella prigione di Evin. I loro familiari sosten­gono che si è trattato di un erro­re e non hanno nulla da nascon­dere. Per le autorità iraniane il terzetto potrebbe essere accusa­to di spionaggio. Accuse ritenu­te «infondate» da Washington che, con una dichiarazione del segretario di Stato Hillary Clin­ton, ne ha chiesto «la liberazio­ne immediata».

Ma in questo caso le prove a carico o a discolpa contano po­co. I tre potrebbero essere parte di una partita più complessa. Fonti diplomatiche hanno, in­fatti, rivelato che Teheran vor­rebbe scambiare gli imputati
con diversi iraniani scomparsi o trattenuti in Occidente. In par­ticolare il regime ha presentato una lista con undici nomi. Tra questi c’è il generale dei pasda­ran Alì Asgari, scomparso dal 2007 e forse fuggito con i suoi segreti negli Usa. Stesso desti­no dello scienziato Shahram Amiri, svanito durante un pelle­grinaggio alla Mecca. Due per­sonaggi che starebbe collabo­rando con l’intelligence fornen­do informazioni sul piano nu­cleare. Diversa la situazione di altri 9 iraniani, in gran parte ac­cusato di traffici d’armi e tecno­logia in favore di Teheran. Per­sone detenute in Georgia, Usa, Canada, Francia, Germania e Gran Bretagna. Per gli 007 occi­dentali fanno parte di un network ben più esteso per ag­girare l’embargo e, forse, ali­mentare il progetto nucleare.

Le tensioni internazionali si intrecciano così con le vicende interne. E gli iraniani tornano ad usare la carta degli ostaggi, sempre utile quando si vogliono creare problemi con l’Occiden­te. Calando tre assi — il terzetto di escursionisti — e tenendone
un quarto in mano. È quello che riguarda Bob Levinson, ex agente Fbi spa­rito nel 2007 durante un viaggio sull’isola iraniana di Kish. La moglie di Levinson si è rivolta direttamente ad Ahmadinejad ma non ha ottenuto alcuna ri­sposta concreta. Un silenzio spie­gabile con il desiderio di avere un altro strumento di pressione, quantomeno psicologica.

Come nel passato, gli ayatol­lah cercano di legare i cittadini stranieri, bollati come spie, al­l’opposizione interna. Un modo per giustificare nuove misure repressive. Ieri, dopo le minac­ce della Guida Khamenei di stroncare l’opposizione, le auto­rità hanno agito con durezza. Said Leylaz, un economista che ha osato criticare il presidente Ahmadinejad, è stato condan­nato a 9 anni di galera e a 74 fru­state. Sono inoltre finiti in ma­nette alcuni studenti ritenuti re­sponsabili di aver incendiato l’immagine di Khomeini. Una campagna di intimidazione che tuttavia non ha impedito nuo­ve dimostrazioni di protesta al­l’università di Teheran nono­stante un massiccio schiera­mento di forze dell’ordine.

Il FOGLIO - " L’Iran arresta le madri della rivoluzione e ne cancella le tracce "

Roma. Nemmeno l’Argentina dei colonnelli aveva osato arrestare le madri di Plaza de Mayo. Invece il regime iraniano ha gettato in carcere una trentina di madri di studenti desaparecidos che manifestavano in segno di lutto al parco Laleh di Teheran. Ci sarebbe anche la madre di Neda Soltan, la ragazza simbolo della rivolta contro il regime uccisa dopo le elezioni. C’è anche la madre di Sohrab Aarabi, diciannovenne sparito durante la manifestazione. “L’opposizione sarà eliminata”, ha detto ieri la Guida suprema iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei, in un discorso trasmesso dalla televisione di stato. Parlando dei dissidenti, l’ayatollah Khamenei ha anche detto: “Sono come la schiuma sull’acqua e quello che rimane è il sistema”. Una cappa spaventosa di silenzio è scesa sul paese e anche gli iraniani che vivono all’estero hanno ricevuto minacce via e-mail dirette a farli desistere dalle proteste, pena la rivalsa sui loro familiari in patria. Nel frattempo la morte più tragica e sospetta resta quella del dottor Ramin Pourandarjani, un medico di ventisei anni assassinato allo scopo di farlo tacere. Sarebbe stata un’insalata avvelenata a ucciderlo. Ramin era il solo testimone indipendente in grado di confermare le accuse di torture ai danni dei dissidenti e dei rivoltosi iraniani scesi per strada dopo le elezioni di giugno. Nel quadro del suo servizio militare da medico, Pourandarjani visitava una volta alla settimana i prigionieri a Kahrizak, la prigione tristemente famosa per le torture e chiusa dopo che molti prigionieri vi sono deceduti. E’ il luogo dove il regime ha praticato la violenza fisica sui rivoltosi a seguito delle proteste di giugno. I siti dell’opposizione hanno segnalato che le autorità tentavano di fare pressione su Pourandarjani per fargli cambiare la testimonianza su ciò che aveva visto nella prigione. Così la causa ufficiale della sua morte oggi recita così: “Meningite”. Un sito internet dell’opposizione rivela che Ramin aveva detto agli amici di temere per la propria vita. Era un medico dalla brillante carriera assicurata, laureato a Teheran e primo della sua classe. Quando il detenuto Mohsen Rouhalamini arrivò alla prigione, “era stato torturato, duramente torturato, era in uno stato critico”, aveva rivelato il dottor Pourandarjani. “Gli ufficiali a Kahrizak mi dissero che se avessi rivelato le cause della morte, non sarei rimasto in vita”. Nelle ultime settimane Pourandarjani aveva ricevuto visite da funzionari provenienti dall’ufficio della Guida suprema Khamenei, i quali gli avevano chiesto cosa avesse visto a Kahrizak. Aveva visto troppo. Il suo corpo è stato lavato e avvolto in un lenzuolo funebre senza nessun familiare presente; è stato spedito a Shiraz e lì seppellito. La stessa sorte di Ramin era stata riservata al blogger antiregime Omidreza Mirsayafi, 29 anni “suicidatosi” nel carcere di Evin. Omidreza soffriva di un’acuta forma di depressione e avrebbe abusato dei farmaci. Questa la versione ufficiale. Dalle finestre della cella, Mirsayafi poteva vedere l’area dove ancora, nel 2009, uomini e donne vengono seppelliti fino al collo e presi a sassate finché non muoiono. Il blogger “è stato” suicidato per queste due righe: “Vivere nel paese di Khomeini è nauseante, vivere in un paese il cui presidente è Ahmadinejad è una grande vergogna”. C’è spavento adesso per la sorte di altri due blogger antiregime, Ali Behzadian Nejad e Omid Lavassani, appena condannati a sei anni di prigione da una corte di Teheran. La loro “colpa”? Di Lavassani quella di aver creato il sito web del candidato alle presidenziali Hossein Mousavi, di Nejad quella di aver fatto “propaganda contro il sistema”. Intanto è in corso a Teheran la rivolta delle banconote. Funziona così: si prende una banconota corrente per “ritoccarla” con slogan ed immagini sgradite al regime. Come il cerotto piazzato sulla bocca dell’Ayatollah Khomeini che circola a Teheran.

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