Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Cinque attentati terroristici a Baghdad Cronaca di Maurizio Molinari, analisi di Guido Olimpio, redazione del Foglio
Testata:La Stampa - Il Foglio - Corriere della Sera Autore: Maurizio Molinari - La redazione del Foglio - Guido Olimpio Titolo: «Baghdad, ritornano le stragi - I terroristi fanno strage in Iraq per rallentare i piani di ritiro di Obama - Il nuovo pericolo: l’irachizzazione dei gruppi qaedisti»
Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 09/12/2009, a pag. 9, la cronaca di Maurizio Molinari dal titolo " Baghdad, ritornano le stragi ". Dal FOGLIO, in prima pagina, l'analisi dal titolo " I terroristi fanno strage in Iraq per rallentare i piani di ritiro di Obama ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 12, l'analisi di Guido Olimpio dal titolo " Il nuovo pericolo: l’«irachizzazione» dei gruppi qaedisti ". Ecco gli articoli:
La STAMPA - Maurizio Molinari : " Baghdad, ritornano le stragi "
Offensiva di attentati a Baghdad e previsioni di duri combattimenti in Afghanistan: i due fronti di guerra con il terrorismo si sovrappongono per il presidente Barack Obama. La capitale irachena è stata investita da una raffica di cinque attacchi e in almeno due dei quali si è trattato di kamikaze. Tutto è iniziato quando un jihadista carico di esplosivo si è lanciato contro una pattuglia di polizia nel quartiere sunnita di Dora e poco dopo una bomba è esplosa vicino al Politecnico: con le forze di sicurezza che accorrevano in entrambe le zone tre violente esplosioni hanno investito nel cuore della capitale i ministeri del Lavoro, delle Finanze e gli edifici del tribunale a ridosso della Zona Verde provocando almeno 127 morti e 350 feriti. È la terza volta in pochi mesi che gruppi terroristi riescono a mettere a segno attacchi multipli a Baghdad: ad agosto vi erano stati 100 morti e in ottobre 155. Allora come in questa occasione le tecniche adoperate e l’assenza di rivendicazioni portano il governo iracheno e i comandi americani a ipotizzare la matrice nell’alleanza fra Al Qaeda e i militanti sunniti nostalgici del dittatore Saddam Hussein. «I colpevoli di oggi sono coloro che hanno fatto strage in agosto e ottobre», ha dichiarato il generale iracheno Qassim al-Moussawi lasciando intendere l’esistenza di un piano per destabilizzare il Paese in vista delle prossime elezioni e dell’accelerazione del ritiro delle truppe americane. Raymond Odierno, capo delle truppe Usa in Iraq, aveva previsto un aumento delle violenze in questo periodo e ieri, dopo la nuova strage, il vicepresidente Joe Biden ha telefonato al premier iracheno Nuri al-Maliki per assicurare che «gli Stati Uniti saranno al vostro fianco nell’edificazione dell’unità nazionale». Ma l’offensiva di attacchi in Iraq complica i piani del Pentagono, prospettando lo scenario di un 2010 di guerra su due fronti roventi. In Afghanistan infatti le attese sono di «un periodo di forti violenze nel quale aumenterà il numero delle vittime» come ammette l’ammiraglio Mike Mullen, capo degli Stati Maggiori Congiunti, in sintonia con il generale David Petraeus, capo delle truppe in Medio Oriente, che in un’intervista al «Financial Times» sottolinea come «l’impatto dell’arrivo dei rinforzi in Afghanistan potrebbe non ripetere il successo che abbiamo avuto con l’aumento di truppe in Iraq» perché la situazione «è molto differente». E il generale Stanley McChrystal, comandante del contingente in Afghanistan, ha adoperato termini simili deponendo di fronte alla commissione Forze Armate della Camera: «La missione che ci aspetta è senza dubbio difficile, avere successo richiederà un impegno inflessibile e andare incontro a costi significativi». Il generale si dice sicuro che «fra un anno i taleban saranno in difficoltà» ma preannunciando combattimenti duri, vittime e sacrifici vuole preparare l’America, l’amministrazione e il Congresso a quanto sta per avvenire. Un’ulteriore conferma delle difficoltà del momento arriva da Kabul, dove il presidente afghano Hamid Karzai ha accolto il capo del Pentagono Robert Gates dicendogli con franchezza che «le nostre forze regolari avranno bisogno di fondi per i prossimi 15 anni». Lo scenario di una guerra sui due fronti nuoce alla popolarità del Presidente, che per Gallup scende al 47 per cento, anche se il sostegno alle sue scelte sull’Afghanistan è aumentato di 7 punti.
Il FOGLIO - " I terroristi fanno strage in Iraq per rallentare i piani di ritiro di Obama "
Baghdad. Cinque bombe, tre attentatori suicidi, sincronizzati, un’esplosione, due minuti, un’altra esplosione, in diversi punti di Baghdad, almeno 127 morti, oltre 400 feriti. L’ultimo attentato in Iraq ieri segue un copione scritto ad agosto e poi ancora a ottobre (settecento morti in tutto): più bombe posizionate in punti nevralgici della capitale – ministeri, mercati, scuole –, a un passo o dentro la Zona Verde, con l’obiettivo di fare più morti possibili e riaprire un fronte che, per comodità strategica, viene considerato spesso “dormiente”. Ha iniziato un terrorista suicida lanciato contro una pattuglia della polizia nel quartiere al Doura, vicino al Politecnico. Pochi minuti dopo, un altro si è fatto saltare in aria a un posto di blocco vicino al ministero dell’Interno. Un furgoncino parcheggiato è esploso nei pressi del ministero delle Finanze. Poi un terzo terrorista si è schiantato contro un centro dove si preparano i magistrati iracheni. Sono state udite altre due esplosioni. Sono morti molti studenti dell’Università al Mustansariya e le donne e i bambini che facevano la spesa nel centro commerciale al Rusafi. I terroristi avevano un obiettivo ancor più ghiotto: una legge elettorale appena passata, nella notte tra domenica e lunedì, all’ultimo minuto dopo settimane di negoziati sempre sull’orlo del collasso, con l’Amministrazione Obama al telefono a cercare di dirimere le controversie, una data per il prossimo voto – previsto per il 6 marzo –, scadenza decisiva in vista del ritiro delle truppe americane nell’estate del 2010. La posta insomma è sempre più alta: se si distrugge la corsa elettorale, si allungano i tempi del voto, del passaggio di consegna alle truppe irachene, della smobilitazione americana, con conseguenze sul “surge” afghano. Gli Stati Uniti non possono permettersi un ritardo, né militarmente né politicamente, i terroristi lo sanno e la fretta americana diventa per loro bottino inestimabile. Negli ultimi giorni l’allarme per un nuovo attacco avrebbe dovuto far aumentare i controlli, ma qualcosa non ha funzionato nel cordone di sicurezza intorno alla città. Ibrahim al Ubaydi, direttore operativo presso il ministero della Difesa, non ha dubbi sulle responsabilità. Attacca gli ex baathisti, che “sono riusciti a ottenere incarichi di responsabilità” e dice che “il ripetersi di simili incidenti indica la presenza di una falla nell’operato di alcuni organi esecutivi, tra cui il comando operativo di Baghdad”. All’interno del ministero della Difesa e dell’Interno ci sarebbero “elementi che tentano di portare avanti agende particolari con il sostegno e il finanziamento di paesi vicini, allo scopo di far fallire l’esperienza democratica” irachena. La Siria è l’accusata numero uno: il confine che la dottrina Petraeus aveva contribuito a sigillare è tornato pericolosamente poroso. Secondo molte fonti, anche l’Iran ha infiltrato i servizi di sicurezza iracheni. Al Ubaydi invita il premier iracheno, Nouri al Maliki, a “prendere una decisione coraggiosa e licenziare alcuni alti dirigenti” della sicurezza. Ma una crisi istituzionale è l’ultima cosa che gli americani desiderano. Anche perché Maliki si sta muovendo nella direzione della riconciliazione nazionale, passo decisivo per ottenere una stabilità duratura in Iraq. Alle elezioni il premier si presenterà con la Coalizione della legalità, un’alleanza panirachena, formata da decine di partiti politici che esprimono anche leader tribali sunniti e di altre minoranze. Una “rivoluzione” che apre la strada a coalizioni multietniche e non settarie, come chiede la Casa Bianca. Che deve concludere tutte le operazioni di combattimento entro il 31 agosto 2010.
CORRIERE della SERA - Guido Olimpio : " Il nuovo pericolo: l’«irachizzazione» dei gruppi qaedisti "
Maliki, premier iraqeno
WASHINGTON — Per il Pentagono i qaedisti iracheni non rappresentano una minaccia strategica ma sono in grado però di colpire a loro piacimento. Messi sulla difensiva per diversi mesi, i terroristi sono riemersi come un fiume carsico sfruttando al meglio i «buchi» creati da una situazione sociale ed economica ancora instabile.
Nelle analisi di intelligence l’Isi, ovvero il cartello che riunisce fazioni diverse di ispirazione qaedista, ha tratto vantaggio dal ritiro delle truppe americane dai centri urbani. La sicurezza è passata agli iracheni che, evidentemente, non sono ancora pronti. Alle carenze di addestramento si sono sommati le evidenti complicità. Altrimenti non si spiegherebbe come i gruppi jihadisti possono sferrare attacchi simultanei nel cuore di Bagdad. In occasione di un precedente attentato è emerso che i ribelli hanno pagato le guardie ai posti di blocco: per fare passare i kamikaze sono bastati 10 mila dollari. Eludendo le contromisure e portando la morte nel centro della capitale, i terroristi vogliono minare la credibilità del governo, dimostrare che non è in controllo e perseguire la strategia dell’anarchia. L’esecutivo annuncia le elezioni e loro rispondono con una raffica di autobomba, mostrando di saper sincronizzare le loro azioni. Distruzioni accompagnate da una parola d’ordine semplice: la lotta armata è contro «i nuovi occupanti». Se ieri si concentravano sui militari americani, ora tornano a prendere di mira obiettivi statali e sciiti. Una «irachizzazione » — sottolineano gli esperti — legata anche alla composizione del movimento qaedista. Per anni è stato presentato come una «creatura » animata dall’influsso di volontari stranieri. Oggi sono gli stessi americani a riconoscere che nelle file di Al Qaeda ci sono soprattutto iracheni. Interessanti alcuni dati: nel 2007 entrava nel Paese una media di 120 mujaheddin ogni mese, nel 2008 siamo scesi a 40 e quest’anno a una ventina. Inoltre centinaia di prigionieri rilasciati di recente sarebbero tornati a combattere. E non parliamo di semplici «soldati di Dio», bensì di quadri con una lunga esperienza guerrigliera.
Le autorità di Bagdad offrono una valutazione diversa. Per i loro servizi di sicurezza gli attentati sono il frutto di un patto tra ex membri del regime baathista e i qaedisti. Un’alleanza rilanciata con un summit svoltosi il 30 luglio nella cittadina libanese di Zabadani. Sempre secondo gli iracheni la Siria avrebbe facilitato l’asse e a Damasco opererebbe— come ha rivelato ilCorriere — un «emiro» jihadista piuttosto importante, lo sceicco Abu Issa, un facilitatore in grado di mobilitare uomini e dettare strategie. Egiziano, vicino all’integralismo, ha agito per molti anni tra Afghanistan e Pakistan.
La «pista siriana» ha probabilmente un fondamento, visto che sia i qaedisti che gli ex seguaci di Saddam sono bene accolti a Damasco. Ma al tempo stesso fa il gioco del premier Al Maliki che ha tutto l’interesse a dirigere le attenzioni verso l’esterno. A giudizio degli analisti statunitensi il governo iracheno non ha ancora risolto in modo soddisfacente il problema delle milizie sunnite, decisive in passato nel ridimensionare la minaccia eversiva. L’esecutivo, dominato dagli sciiti, continua a opporsi a un completo inserimento dei miliziani nella sicurezza o in altri settori della vita civile. Un atteggiamento che di sicuro non aiuta la riconciliazione e concede un vantaggio ai terroristi.
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