Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 08/12/2009, a pag. 13, l'articolo di Guido Olimpio e Gianni Santucci dal titolo " Terrorismo, i nuovi kamikaze solitari ", l'articolo di Guido Olimpio dal titolo " È la terza generazione (via Internet) di Al Qaeda ". Ecco i due articoli:
Guido Olimpio, Gianni Santucci - " Terrorismo, i nuovi kamikaze solitari "
Mohammed Game, attentatore della caserma Perrucchetti di Milano
« Ridatemi indietro i miei occhi e le mie dita». Quando gli inquirenti sono entrati in ospedale per interrogare Mohammed Game, lui li ha colti di sorpresa. L’attentatore della caserma Perrucchetti di Milano è convinto che siano stati i medici a sottrargli le parti del corpo che ha perso nell’esplosione. Un’idea strampalata, che rivela lo stato mentale di un uomo per nulla piegato dall’esperienza vissuta. Un’esperienza che ha molti punti di contatto con le storie dei kamikaze in Medio Oriente. Ma l’aspirazione a diventare un martire, in Game, è maturata nel suo quartiere, vicino a San Siro. Tra rabbia sociale e suggestioni Internet, problemi di salute e riscoperta della fede, slegato dalle reti estremiste. Ecco perché la storia del kamikaze della Perrucchetti è un paradigma: per interpretare il profilo dei nuovi «bombaroli»; capire la loro formazione. E scoprire come cambia il rischio terrorismo nelle nostre città.
La reazione
Ora Game è nel carcere di San Vittore: chi è andato a fargli visita s’è trovato di fronte un uomo con gli occhi aperti, ma che vagano nel vuoto. Indossa una giacca, con una manica che penzola sul braccio amputato. Cieco, ha chiesto un Corano registrato in cassetta. Lo ascolta regolarmente e prega cinque volte al giorno. Sta soffrendo per le menomazioni fisiche, ma con la testa sembra ancora dentro il percorso che l’ha portato all’attentato. Ha detto: «Va bene così, ormai quel che è stato è stato». Un atteggiamento che può apparire strano, ma che ritroviamo nel day after , il giorno dopo, di tanti aspiranti kamikaze. Ne abbiamo visti molti, per motivi di lavoro, in Palestina. Ed abbiamo parlato con i loro parenti. I racconti sono surreali. Uno, prima di farsi saltare, ha dato dei soldi al fratello perché pregasse per un gatto che aveva ucciso. Un altro, scampato all’esplosione, pensava di trovarsi in Paradiso. Uno aveva chiesto di cambiare la data dell’attentato perché «aveva un esame». Frasi che dimostrano come sia difficile comprendere cosa passi nella testa degli attentatori. Specie se operano da soli o all’interno di una cellula minuscola, come quella di Game. Stranezze legate anche alla rapida trasformazione del terrorista libico. Laico, in passato bevitore, lontano dalla moschea e dalla politica, si radicalizza a una velocità supersonica. Nell’arco di pochi mesi si trasforma da recluta a mujahed , da gregario a capo di se stesso, da elettricista (in Libia ha studiato da ingegnere) ad artificiere.
La riscoperta
Come per i kamikaze palestinesi, l’ambiente sociale sembra condizionare la scelta di Game. Ha problemi di salute (un infarto un anno fa), un figlio malato, decine di operai non pagati l’hanno denunciato. Alcuni amici e familiari ricordano un altro episodio: fino a maggio scorso, Game ha avuto una storia clandestina con un’altra donna, una ragazza russa. Raccontano che avesse perso la testa per lei, fino a chiederle «di diventare musulmana e sposarlo in moschea». La giovane ha rifiutato, e questo ha lasciato l’uomo in uno stato di prostrazione. È un quadro complesso di guai personali che lo spinge alla religione, primo passo verso l’estremismo. È probabile che qualcuno lo incoraggi. Forse ne coglie le debolezze e le usa come leva, per convincerlo che «la lotta è la soluzione dei problemi». L’ispiratore può averlo fatto in modo diretto oppure, più abilmente, usando i discorsi «giusti». È la miscela vicende personali/idee politiche che può indurre una persona a diventare un «uomo bomba».
La preparazione
Il libico si è messo a studiare. Con lunghe sedute al computer e in biblioteca, ha fatto il «ripasso» della storia del suo Paese, insistendo sul colonialismo italiano, sfogliando anche libri dello storico Angelo Del Boca. Poi, non a caso, ha scelto per l’attacco il 12 ottobre. Quel giorno, nel 1911, nel corso della guerra italo-turca, le truppe italiane presero il controllo di Tripoli. In carcere, con qualche probabile confusione, lo ha confidato di nuovo: «È il giorno in cui hanno invaso il nostro Paese». Per colmare il gap militare, si è servito di video preparati da militanti esperti. Uno di loro, dall’accento saudita, insegna con precisione come realizzare ordigni con prodotti reperibili sul mercato civile. E Game, da bravo scolaro, ha seguito la lezione comprando acetone, fertilizzante e liquido stura-lavandino. Altre informazioni tattiche le ha ricavate da una fonte inusuale per i qaedisti: il manuale di un gruppo palestinese attivo negli Anni ’70 e ’80. Il libico seguiva poi le esperienze di estremisti tedeschi di origine turca oggi in Pakistan. Uno di loro, Bekkay Harrach, ha diffuso tre video di minacce contro la Germania.
L’operazione
Il profilo di Game — vocazione da professionista, comportamenti da dilettante — emerge anche nella fase operativa. È abbastanza abile da mettere in piedi una base dove «cucinare» le bombe. Però usa un fertilizzante a bassa gradazione e mette a punto un innesco rudimentale. Un covo dove, vicino ai filmati della jihad , ci sono videocassette che non ti aspetti, come L’amante di Lady Chatterley . Nel laboratorio casereccio gli inquirenti hanno trovato le tracce di altri possibili ordigni. Strano: se lui deve immolarsi, chi userà gli altri? Abdel Mahmoud Kol e Mohammed Isfrael? Forse dovevano essere parte dell’azione, ma poi si sono chiamati fuori. Indecisi, oppure riservati alla logistica.
Game è l’opposto. Nei giorni precedenti all’attacco, somiglia davvero a un kamikaze palestinese. Letture specifiche sul Corano, nuove ricerche su Internet. Ad un amico confida che «presto avrà molto denaro». Gli hanno promesso dei soldi? Il libico ne aveva bisogno per il figlio. Altro aspetto interessante. Game pensa al futuro, ma poi accelera il piano. Compra gli ingredienti per le bombe tra il 26 settembre e il 7 ottobre, quindi passa all’azione cinque giorni dopo. Un cambio dovuto alla sua instabilità mentale o è stato istigato? Chi indaga, ritiene probabile la prima ipotesi. La microcellula aveva più bersagli di Al Qaeda. Politici, fast food, la residenza di Berlusconi ad Arcore, Mediaset. Una lista ben oltre le possibilità del terzetto. Ma anche questo è in linea con casi rilevati in altri Paesi occidentali: i «vorrei ma non posso» puntano in alto, poi ripiegano sul bersaglio fattibile. È ciò che ha fatto Game, mancando per un soffio il massacro.
Guido Olimpio - " È la terza generazione (via Internet) di Al Qaeda "

WASHINGTON — È come se Mohammed Game avesse molti «fratelli». In Francia, in Gran Bretagna, persino negli Stati Uniti. Terroristi solitari o al massimo con paio di complici. Ma con una voglia interiore che li porta a osare. Potremmo definirla la terza generazione di Al Qaeda. Non ne hanno mai fatto parte, l’hanno vista attraverso uno schermo di un computer però la considerano come la «casa madre». Ne condividono gli obiettivi e le tattiche. Si muovono senza bisogno di coordinatori o ordini, però se possono cercano il contatto per l’investitura.
Il 12 ottobre di quest’anno, lo stesso giorno dell’attentato di Milano, veniva arrestato in Francia Adlene Hicheur. Franco- algerino di 32 anni, fisico nucleare, lavorava nientemeno che al centro per ricerche atomiche del Cern in Svizzera. Per mesi è rimasto in contatto, via Internet, con un dirigente di Al Qaeda nella terra del Maghreb, costola algerina del movimento di Bin Laden. Gli avevano suggerito di cercare informazioni per attaccare una caserma degli alpini francesi.
Qualche settimana dopo, l’unità antiterrorismo di Scotland Yard blocca un giovane albanese, Krenar Lusha. Nell’appartamento gli trovano video che mostrano come preparare cinture da kamikaze, 14 cellulari modificati per attivare le bombe e fertilizzante. Sembra la copia di Mohammed Game.
Ci spostiamo a Denver, Stati Uniti. L’Fbi individua una minicellula, guidata dall’afghano Najibullah Zazi. In una camera di albergo — ancora come nella vicenda milanese — ha miscelato prodotti chimici per mettere a punto degli ordigni. Si è anche recato in Pakistan dove avrebbe avuto contatti con un alto esponente di Al Qaeda. Sempre Usa, area di Boston. La polizia cattura il cittadino americano d’origine mediorientale Tarek Mehanna. La sua arma, dicono gli investigatori, è il computer. Ha in mente di colpire un centro commerciale. È quasi un ripiego. Per diverse volte, insieme a un complice fuggito in Siria, si reca in Pakistan e nello Yemen dove spera di essere ammesso ai campi d’addestramento.
Sono respinti: gli estremisti non si fidano, temono si tratti di spie.
Soli come cani e fuori di testa il giordano Hosam Smadi e l’americano Michael Finton, alias Talib Islam. Entrambi sono stati arrestati in due casi separati con «stangate» dell’Fbi. Gli agenti si sono finti qaedisti e li hanno coinvolti in presunti complotti. Smadi ha sistemato una vettura che pensava piena d’esplosivo sotto un grattacielo di Dallas, Texas. Finton, invece, ha parcheggiato un veicolo bomba (inerte) vicino a un palazzo federale a Springfield, Illinois.
Episodi a latitudini diverse che confermano una tendenza pericolosa e, nel contempo, sottolineano come sia possibile, a volte, fermare i lupi solitari.
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