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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Libero - Il Foglio Rassegna Stampa
08.12.2009 Continua la repressione in Iran. Ma l'occidente tace
Da Obama nessun segnale, intanto l'Iran continua a fabbricare l'atomica. Analisi di Carlo Panella

Testata:Libero - Il Foglio
Autore: Carlo Panella - La redazione del Foglio
Titolo: «Studenti ancora picchiati in Iran. Ma l’Occidente li abbandona - Un coro bipartisan dice a Obama che con l'Iran il tempo sta scadendo»

Riportiamo da LIBERO di oggi, 08/12/2009, a pag. 20, l'articolo di Carlo Panella dal titolo " Studenti ancora picchiati in Iran. Ma l’Occidente li abbandona ". Dal FOGLIO, in prima pagina, l'articolo dal titolo "Un coro bipartisan dice a Obama che con l'Iran il tempo sta scadendo  ". Ecco i due pezzi:

LIBERO - Carlo Panella : " Studenti ancora picchiati in Iran. Ma l’Occidente li abbandona "

Continua la “Tienanmen strisciante” dell’opposizione al regime di Teheran. Ieri era l’anniversario dell’uccisione in piazza nel 1953, da parte della polizia dello scià, di tre studenti che protestavano contro la visita dell’allora vicepresidente degli Usa Richard Nixon. Nella mattinata gruppi di manifestanti dell’Onda Verde si sono radunati nell’università e hanno tentato di formare un corteo nelle strade adiacenti, ma sono stati bloccati dal lancio di lacrimogeni e palle di gomma e dalle cariche feroci dei Pasdaran e dei Bassiji, che in più occasioni hanno sparato in aria. La notizia degli scontri si è immediatamente propagata – nonostante che il regime avesse oscurato i siti Internet dell’opposizione - e nella serata migliaia di manifestanti, tra cui moltissime donne in chadòr, sono riusciti a formare un corteo che però è stato spazzato via poco dopo dalla violenza delle cariche dei Bassiji.

I manifestanti si sono allora dispersi nelle stradine laterali delle piazze Enghelab e Vali Asr e hanno tentato di bloccare le cariche bruciando i cassonetti della spazzatura. Non è noto il numero dei feriti e degli arrestati. Sabato, alcune decine di madri di desaparecidos, che si radunano da mesi nel parco Laleh per chiedere notizie dei figli scomparsi dopo le rivolte di giugno, “le madri in nero” di Teheran, sono state brutalmente arrestate dalla polizia. Nonostante la repressione più dura, nonostante che ogni protesta sia contrastata con tecniche da stato d’assedio (ieri i giornalisti stranieri sono stati bloccati nelle loro redazioni), il movimento contro Ahmadinejad dimostra di non essere sconfitto, rialza sempre la testa, dimostra al mondo che intende resistere.

Lo scontro è tale che persino un conservatore come l’ayatollah Nasser Shirazi ha chiesto al regime una tregua per aprire un tavolo di trattative con l’opposizione guidata da Moussavi. Purtroppo, però, Barack Obama ha cinicamente deciso che tutto questo – ed è la prima volta nella storia dell’America - non gli interessa, e dopo avere abbandonato la prospettiva del cambio di regime perseguita da George W. Bush, ignora il sangue sparso nelle strade di Teheran e punta tutto e solo su un dialogo con il presidente iraniano da cui peraltro riceve sonori schiaffi in faccia.

Subito dopo aver ricevuto il Nobel per la Pace, è arrivato sino al punto di decidere di mandare un segnale di disponibilità ad Ahmadinejad e ha abolito i finanziamenti a Freedom House (organizzazione dei democratici fondata da Eleanor Roosevelt) e a tutte le organizzazioni umanitarie che appoggiano l’opposizione iraniana, soprattutto sul terreno dei media.

L’atteggiamento di Washington, naturalmente, contagia tutto l’occidente (anche se va detto che Sarkozy, Brown, Frattini e l’Ue esprimono sempre a voce alta solidarietà all’Onda Verde) e rafforza un regime che persegue una strategia di militarizzazione della politica estera e interna in cui la costruzione della bomba atomica è un tutt’uno con la feroce repressione del dissenso.

Israele, invece, ha lanciato ieri un appello in senso radicalmente opposto al neo-opportunismo Usa e il primo ministro Nethanyau ha chiesto a tutti i paesi democratici di fare la scelta opposta ad Obama e favorire «la capacità di penetrazione tra la popolazione iraniana di Internet e di Twitter», invitando a cavalcare questi strumenti per bucare la cappa imposta da Ahmadinejad: «L’odio profondo sviluppato da settori della nazione iraniana contro il regime può essere una risorsa molto importante per Israele».

Il FOGLIO - " Un coro bipartisan dice a Obama che con l'Iran il tempo sta scadendo "

New York. L’ultima cosa di cui in questo momento Barack Obama ha bisogno è un altro conflitto militare in Iran. Eppure, mentre il regime teocratico di Teheran continua la repressione dei manifestanti e respinge gli inviti a fermare la corsa al nucleare, i circoli politici e intellettuali di Washington cominciano a suggerire al presidente americano di adottare strategie, misure e soluzioni diverse da quelle impiegate finora. Obama ha più volte ripetuto che gli ayatollah avrebbero avuto tempo fino alla fine dell’anno per mostrare nuove disponibilità di fronte alle richieste della comunità internazionale. L’offerta non è stata accolta dal regime e ora, anche su pressioni del Partito democratico al Congresso, la Casa Bianca sta provando a convincere Cina, Russia, Europa e Turchia ad accettare un pacchetto di sanzioni economiche contro Teheran. Il Bipartisan Policy Center, un centro studi indipendente fondato due anni fa da quattro ex leader del Senato, due repubblicani e due democratici (uno dei quali è l’inviato in medio oriente di Obama, George Mitchell), ha appena pubblicato un rapporto per avvertire che il tempo a disposizione per prevenire un Iran nucleare sta terminando. L’Amministrazione Obama, si legge nel rapporto, deve adottare una strategia più energica centrata su un ulteriore tentativo diplomatico definito e accelerato, su sanzioni coercitive che difficilmente Russia e Cina accetteranno e su azioni militari chirurgiche se entro la fine dell’anno gli iraniani continueranno a ignorare gli appelli. Soltanto un anno fa, un analogo rapporto dello stesso centro studi era stato molto più cauto sull’intervento militare. Ora, spiegano, le cose sono cambiate e la minaccia iraniana è “insostenibile”. Ad Harvard, invece, s’è tenuta una dotta simulazione della crisi con l’Iran condotta da esperti, professori ed analisti. E’ finita con due scenari possibili: o Israele agisce da solo o l’Iran si fa la bomba.

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