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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Foglio - Corriere della Sera Rassegna Stampa
05.12.2009 L’Iran prepara tre fronti per rispondere alle nuove sanzioni
Analisi di Carlo Panella con una lettera aperta di una giornalista iraniana ad Ahmadinejad

Testata:Il Foglio - Corriere della Sera
Autore: Carlo Panella - Narges Mohammadi
Titolo: «L’Iran prepara tre fronti per rispondere alle nuove sanzioni - Licenziata perché lotto per i diritti umani È così che amate il nostro Iran?»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 05/12/2009, a pag. 3, l'articolo di Carlo Panella dal titolo " L’Iran prepara tre fronti per rispondere alle nuove sanzioni ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 15, la lettera aperta di Narges Mohammadi, giornalista, laureata in Fisica,attivista del Centro dei difensori dei diritti umani in Iran, recentemente chiuso illegalmente, nonché del Consiglio naziona­le della pace ad Ahmadinejad dal titolo  " Licenziata perché lotto per i diritti umani È così che amate il nostro Iran? ". Ecco gli articoli:

Il FOGLIO - Carlo Panella : " L’Iran prepara tre fronti per rispondere alle nuove sanzioni "

 Carlo Panella

Il governo iraniano sta usando il tempo e il margine di manovra che gli ha concesso la strategia del dialogo – fallita – del presidente americano, Barack Obama, per posizionare i suoi terminali bellici in tutta l’area mediorientale. Ieri ha chiuso le porte al dialogo con l’Aiea (“L’avvertiremo quando i nostri siti nucleari saranno in funzione”), nella certezza che Obama sarà costretto ad andare oltre al termine indicato per prendere atto della volontà di rottura di Teheran, prima settembre, poi novembre, ora dicembre. Intanto, l’Iran ha impiantato nel Golfo un’altra roccaforte strategica. Nel nord dello Yemen, i ribelli sciiti della setta zaidita, appoggiati e armati da Teheran, controllano ormai larga parte delle province di Saada e Harf Sufyane. Così Teheran ora può disporre di una testa di ponte strategica in una regione che confina con l’Arabia Saudita (che vi sconfina, con scarsi risultati, con continui bombardamenti aerei). La provincia di Saada è un “santuario” sciita, alleato con Teheran, in posizione strategica per concretizzare il progetto di Hezbollah del Golfo che i pasdaran della Guida Suprema, Ali Khamenei, stanno perseguendo. Per punire l’occidente delle probabili sanzioni (il Congresso americano si sta muovendo in tal senso), il compito di questa nuova Hezbollah sarà duplice: trascinare nuove rivolte degli sciiti in Arabia Saudita, Kuwait e Bahrein (che il vice di Mahmoud Ahmadinejad ha dichiarato essere “provincia iraniana”) e fornire appoggio logistico alle operazioni della potente flotta leggera di modernissime vedette dei pasdaran, che tenteranno di strozzare la giugulare petrolifera dello stretto di Hormuz da cui transita quasi tutto il greggio dell’Iraq, del Kuwait e degli Emirati e buona parte di quello dell’Arabia Saudita. Contemporaneamente, Teheran è riuscita a chiudere a suo vantaggio la crisi politica libanese. Martedì il governo di Beirut ha formalmente riconosciuto il diritto di Hezbollah a tenere le sue armi e a impiegarle nel sud del Libano per combattere contro Israele, smentendo la risoluzione 1.701 e sancendo il fallimento della missione Unifil (che avrebbe dovuto sostenere l’azione del governo libanese nel disarmo di Hezbollah). L’Onu dovrebbe prendere atto della denuncia del punto qualificante della risoluzione 1.701 (l’unico che spinse Israele ad accettarla) e ritirare i quattromila militari Unifil, ma temporeggia perché questo darebbe il segnale concreto degli effetti devastanti del dialogo obamiano. In Palestina, Abu Mazen ha denunciato che, dietro la decisione di Hamas di rifiutare la mediazione dell’Egitto per ricomporre una guida unitaria tra Ramallah e Gaza, c’è “Teheran, che finanzia e arma Hamas, e che ha in mano il suo processo decisionale”. Ma anche in questa crisi, gli Stati Uniti si fanno notare per silenzio e mancanza di iniziativa, tanto che lo stesso Massimo D’Alema pochi giorni fa ha dichiarato che i risultati dell’iniziativa di Obama nella regione sono “modesti”: “Non credo che la questione in medio oriente sia la priorità dell’Amministrazione americana”. L’opposto di quanto Obama aveva promesso con il suo discorso del Cairo agli arabi e all’islam, il 4 giugno.

CORRIERE della SERA - Narges Mohammadi : " Licenziata perché lotto per i diritti umani. È così che amate il nostro Iran? "

 Narges Mohammadi

Egregio Dott. Ahmadinejad, Sono Narges Mohammadi, giornalista, laureata in Fisica, moglie di Taghi Rahmani e madre di due gemelli di soli tre anni. So­no un'attivista del Centro dei difensori dei diritti umani in Iran, recentemente chiuso illegalmente, nonché del Consiglio naziona­le della pace. Da quando è stata messa al bando la stampa democratica iraniana, dal 22 settembre 2001, fino al 19 novembre 2009, cioè pochi giorni fa, sono stata impie­gata con un contratto regolare presso la So­cietà per le Ispezioni Ingegneristiche, nel gruppo specialistico per le ispezioni indu­striali e minerarie. Il 19 novembre sono sta­ta licenziata. Questo è il breve curriculum di una 36enne iraniana.

E' bene che Lei sappia che il mio ordine di licenziamento, prima di essere notificato a me, ha seguito un iter attraverso le forze di sicurezza. Nel mese di Khordad 1387 (maggio-giugno 2008), tornando da una riunione dei difensori dei diritti umani e de­gli esperti delle Nazioni Unite tenutasi a Vienna, sono stata convocata e interrogata dagli agenti del ministero dell'Intelligence del Suo governo. L'8 maggio 2009, quando stavo per recarmi in Guatemala per parteci­pare ad un convegno internazionale delle donne, mi è stato illegalmente impedito di lasciare il Paese, e non ero stata accusata di alcun reato: infatti non sono mai stata chia­mata in giudizio come imputata. Il passa­porto mi è stato sequestrato all'aeroporto e da allora non ne ho uno. Perciò ho dovuto presentarmi di nuovo agli agenti dell'intelli­gence, i quali mi hanno chiesto apertamen­te di abbandonare le attività nel Consiglio nazionale della pace e nel Centro dei difen­sori dei diritti umani, minacciando altri­menti di sottopormi a restrizioni ancora più severe.

Il 18 giugno scorso, cioè sei giorni dopo le elezioni, sono stata nuovamente minac­ciata per telefono da un agente dell'intelli­gence: se avessi continuato le mie attività e non avessi lasciato Teheran, sarei stata arre­stata insieme ai miei piccoli. Più tardi, in un’altra convocazione, gli agenti, come ulti­mo avvertimento, mi hanno riferito che se non avessi lasciato il Centro e il Consiglio e interrotto ogni rapporto con il premio No­bel per la Pace Shirin Ebadi, sarei stata licen­ziata e arrestata. In settembre, dopo essere stata accettata per un corso di specializza­zione, ho chiesto al ministero dell'Intelli­gence di restituirmi il passaporto. Mi è sta­to detto che il ministero aveva un parere ne­gativo su di me e che non avrei potuto par­tecipare al corso se non avessi cambiato idea sulle loro proposte. Alla fine, in data 19/11/2009, l'amministratore delegato del­l’azienda dove lavoravo mi ha informata di aver avuto richiesta di licenziarmi; quando ho chiesto una spiegazione, mi sono senti­ta dire che era una decisione dettata dall'al­to.

Ora vorrei dirle quello che penso. Mi ri­cordo quando, dopo una stagione di rifor­me, Lei è diventato presidente della Repub­blica: ha fatto tante promesse di «amore» e di generosità e ha detto che portava al tavo­lo degli iraniani gli utili del petrolio. Ma quello che testimoniano questi tempi ama­ri è una espressione opposta, cioè la vendet­ta, la violenza nella sua forma più nuda e cruda. Sicuramente non sono poche le per­sone alle quali da anni è stata negata la pos­sibilità di studiare, ed io sono una goccia in questo mare tempestato di ingiustizie e op­pressione. Parlo di donne e di uomini che per idee diverse da quelle del regime hanno subìto privazioni pesanti e le loro famiglie sono state vittime di gravi e illimitate vio­lenze.

Mi permetto di chiedere: per quale colpa i miei bambini devono essere vittime delle vendette del regime? Il padre di questi bam­bini è stato per 15 anni in carcere ma conti­nua ad essere un attivista civile e politico e a rispettare le leggi. Essendo stato incarce­rato diverse volte dai primi anni della Re­pubblica Islamica, non ha potuto portare a termine i suoi studi di Storia all'Università di Tabriz e, a causa dei lunghissimi periodi di detenzione, non ha mai potuto avere un impiego. Forse è facile parlarne, ma vivere così, privati di ogni diritto in questo disse­stato
Paese, è davvero difficile.

Ed io, che non sono stata riconosciuta colpevole da nessun tribunale e sono sol­tanto un'attivista e una pacifista, ora devo subire vari tipi di privazioni volute dal mi­nistero dell'Intelligence, che invece dovreb­be salvaguardare la sicurezza dei cittadini. Essere attivisti dei diritti umani e dedicarsi alla pace può essere considerata una tale colpa imperdonabile da privarci del diritto ad un pezzo di pane?

Se un regime aspira al governo del­l’Imam Ali, sa che l’Imam Ali non ha mai privato un oppositore dei mezzi di sosten­tamento. Sono le nostre attività per allevia­re un po' il dolore delle famiglie dei detenu­ti a provocare una tale ira? La vera doman­da è: l’«amore» promesso oltre 4 anni fa ri­guarda solo la limitata cerchia di persone che La circondano? Non crede che questo modo di trattare i propri connazionali, di qualsiasi gruppo o ideologia, sarà conside­rato dal popolo iraniano e dalla Storia co­me
una grande e imperdonabile ingiusti­zia?

Secondo Lei i soldi facili guadagnati col petrolio appartengono solo ai figlioli favo­riti del regime? Io ho lavorato per 8 anni in un campo di ispezioni ingegneristiche del­l’industria in Iran, anche su progetti nazio­nali importanti come quello di Pars Jonou­bi; lettere elogiative testimoniano un otti­mo svolgimento del lavoro che mi era sta­to affidato. Benché i responsabili dei pro­getti per i quali ho lavorato fossero soddi­sfatti dell'attività lavorativa svolta, sono stata licenziata nel giro di un'ora solo per­ché non ho accettato le proposte del mini­stero dell'Intelligence del Suo governo. Non mi è stato nemmeno dato un mese di preavviso per cercare un altro impiego. Non crede che trattare così un connaziona­le sia, oltre che illegale, anche vile, immora­le e disumano mentre gli iraniani sono no­ti per la loro magnanimità?

In conclusione, mentre posso pensare, scrivere ed esprimermi liberamente e lon­tano dalle torture, che è ciò che conta, so­no convinta di queste cose: che il Centro dei difensori dei diritti umani e il Consi­glio nazionale della pace sono associazioni sociali e legali in Iran, che hanno avuto l'ap­provazione del fiero popolo iraniano; che per me è un grande onore collaborarci e servirle; e che il premio Nobel, Signora Eba­di è una donna molto coraggiosa che ha de­dicato la propria vita alle attività per la pa­ce e i diritti umani; che collaborare con i pacifisti del mondo non è criticabile e con­dannabile ma, al contrario, di gran pregio. La pace e la difesa dei diritti umani contro le guerre e le violenze fanno parte dei gran­di obiettivi della Storia dell'umanità, al rag­giungimento dei quali io mi dedicherò sempre di più.

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