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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - Libero Rassegna Stampa
04.12.2009 Paesi arabi contro la Svizzera per il referendum sui minareti
Cronaca di Simona Verrazzo e dichiarazioni di Jean Ziegler, portavoce svizzero di Gheddafi

Testata:Corriere della Sera - Libero
Autore: Maria Serena Natale - Simona Verrazzo
Titolo: «Boicottaggio arabo. La Svizzera teme per la sua neutralità - Tripoli si vendica della Svizzera. No a nuovi campanili in Libia»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 04/12/2009, a pag. 17, l'articolo di Maria Serena Natale dal titolo " Boicottaggio arabo. La Svizzera teme per la sua neutralità " preceduto dal nostro commento. Da LIBERO, a pag. 17, l'articolo di Simona Verrazzo dal titolo " Tripoli si vendica della Svizzera. No a nuovi campanili in Libia ". Invitiamo a leggere l'analisi di Mordechai Kedar, pubblicata in altra pagina della rassegna. Ecco gli articoli:

CORRIERE della SERA - Maria Serena Natale : " Boicottaggio arabo. La Svizzera teme per la sua neutralità "

Nell'articolo vengono riportate le dichiarazioni di Jean Ziegler riguardo il referendum e le sue conseguenze.
Ziegler, ricordiamo ai lettori, è fondatore del “premio Muhammar Gheddafi per i diritti umani”, è intimo di Castro e del defunto Kim Il Sung e come “esperto” per la fame nel mondo delle Nazioni Unite, negli scorsi otto anni ha semplicemente ignorato le più grandi crisi umanitarie del settore, compresa quella del Darfur, dedicandosi invece a tempo pieno alle polemiche contro l’occidente.
Ziegler sostiene che : "
Questo referendum ha messo il Paese su una china molto pe­ricolosa (...) Il punto è che la Svizzera non ha un’identità nazionale. Il tratto ricorren­te nella sua storia è la violenza espressa oggi dal capitalismo sfrenato, incarnata in passato dagli stessi Zwingli e Calvino, talebani ante litteram : lo spa­gnolo Michele Serveto fu mes­so al rogo nel 1553 a Ginevra per eresia. Una violenza che tor­na in momenti di difficoltà co­me questo, segnato dall’aumen­to dell’immigrazione, dal trau­ma della fine del segreto banca­rio, dalla crisi economica e fi­nanziaria ".  Non vediamo dove sia la violenza nell'esprimere un'opinione contraria alla costruzione di nuovi minareti. Violenza sarebbe stato abbattere quelli già esistenti, radere al suolo le moschee, espellere la popolazione musulmana dalla Svizzera, prassi abituale dei regimi arabi, Gheddafi compreso. Dalla Libia vennero espulsi un milione di ebrei.
Ziegler ritiene che a causare la vittoria del referendum sia la crisi economica e finzanziaria. In realtà, ciò che ha portato al referendum e alla vittoria dei contrari ai minareti è stato il clima eurarabo che caratterizza l'Europa negli ultimi anni. La Svizzera si è dissociata, pronunciandosi contraria all'islamizzazione della sua società. Se un referendum come quello svizzero venisse fatto in altri paesi europei, ci troveremmo di fronte a delle grosse sorprese.
Ecco l'articolo:


Jean Ziegler

Il Paese della precisione mil­limetrica ha perso il controllo. «Sotto choc» è l’espressione più usata nel dibattito di questi giorni sul referendum che ha vietato la costruzione di nuovi minareti sul territorio della Confederazione elvetica.

Domenica scorsa il 57,5% dei votanti ha detto sì all’intro­duzione del divieto costituzio­nale di costruire le torri dei muezzin indicate dalla destra populista come i simboli del­l’ «islamizzazione strisciante». Un coro di proteste si è levato dal mondo politico europeo, dalle organizzazioni per i dirit­ti umani, dai vertici della Chie­sa cattolica, dalla Lega araba e dalle comunità musulmane di tutto il mondo. Il governo ha lanciato l’allarme e commissio­nato all’esercito analisi sul livel­lo di sicurezza nei Balcani, do­ve sono schierati in missioni di pea­cekeeping i soldati della Confederazio­ne e da dove provie­ne la maggior parte dei circa 400 mila musulmani svizze­ri. La culla della neutralità si ritrova potenziale bersa­glio dei fondamen­talisti, accusata di aver perso l’anima tollerante che l’ha resa nei secoli meta di esuli e perseguitati, indebolita nel ruo­lo di mediatrice internazionale ed esposta al rischio di rappre­saglie diplomatiche, commer­ciali e finanziarie. Da Siria, Tur­chia e Libia arrivano appelli a ritirare i fondi dalle banche e a boicottare i prodotti elvetici (nel 2008 il 7% del totale del­l’export svizzero era diretto ver­so Paesi arabo-musulmani; in­dustria farmaceutica, turismo, finanza e orologeria i settori chiave della cooperazione). Per­sino il regista turco-tedesco Fa­tih Akin ha annunciato che di­serterà la proiezione del suo film Soul Kitchen il 16 dicem­bre a Zurigo. La Libia ha chie­sto il trasferimento delle Nazio­ni Unite dalle sedi svizzere. Pro­prio con Tripoli è in corso una grave crisi diplomatica aperta dal breve arresto del figlio di Gheddafi nel 2008 a Ginevra: per reazione i libici trattengo­no da oltre un anno due uomi­ni d’affari svizzeri per proble­mi legati ai visti. Lunedì il 54en­ne Max Goldi e il 69enne Ra­chid Hamdani sono stati con­dannati a sedici mesi di reclu­sione sollevando in patria un’ondata d’indignazione. Ieri è stata fissata una nuova udien­za per il 15 dicembre.

«Questa sindrome d’accer­chiamento non farà che inaspri­re le posizioni, i populisti avranno buon gioco nel dimo­strare che dall’esterno arrivano nuovi attacchi alla sovranità e alla libertà d’espressione del popolo svizzero — dice al
Cor­riere il sociologo Jean Ziegler, professore a Ginevra e Parigi e studioso del capitalismo elveti­co (a gennaio uscirà in Italia per Marco Tropea L’odio del­l’Occidente ) —. I cristiano-de­mocratici hanno già annuncia­to una nuova iniziativa contro i cimiteri ebraici e musulmani. Questo referendum ha messo il Paese su una china molto pe­ricolosa » . Ma cosa c’è al fondo del­l’enigma svizzero, la scissione fissata da Max Frisch e Friedri­ch Dürrenmatt, il rigore razio­nalista di Giovanni Calvino e Ulrico Zwingli, il conflitto mai risolto tra Stato e Chiesa, la fe­rocia igienica di un sistema bancario che ha custodito per anni i segreti del mondo? «Il punto è che la Svizzera non ha un’identità nazionale — ripren­de Ziegler —. Il tratto ricorren­te nella sua storia è la violenza espressa oggi dal capitalismo sfrenato, incarnata in passato dagli stessi Zwingli e Calvino, talebani ante litteram : lo spa­gnolo Michele Serveto fu mes­so al rogo nel 1553 a Ginevra per eresia. Una violenza che tor­na in momenti di difficoltà co­me questo, segnato dall’aumen­to dell’immigrazione, dal trau­ma della fine del segreto banca­rio, dalla crisi economica e fi­nanziaria » .

LIBERO - Simona Verrazzo : " Tripoli si vendica della Svizzera. No a nuovi campanili in Libia"

Ennesimo affondo della Libia contro la Svizzera. Tirando ancora in ballo il risultato del voto del referendum sui minareti, Tripoli ha sferrato una nuova raffica di accuse a Berna. «Impediremo la costruzione di nuovi campanili», questo il titolo belligerante di Jamahiriya, il principale quotidiano del paese. «Chiunque odia i musulmani e l’Islam - si legge - non potrà più godere della nostra ricchezza, non potrà più introdurre container con le proprie merci, non andrà più in macchina sfruttando il nostro petrolio». E qui la Libia torna a mostrare i muscoli con la Svizzera, dopo che in passato aveva bloccato temporaneamente le forniture di petrolio verso Berna in seguito alla crisi diplomatica seguita all’arresto nel luglio 2008 di Hannibal Gheddafi, il più giovane dei figli del leader Muammar Gheddafi, accusato di percosse e lesioni personali. L’attacco libico contro icampanili è mirato, ma bisognerà vedere se verrà messo in atto. I cristiani rappresentano l’1 per cento della popolazione (tra cattolici e copti) e con la Santa Sede dal 1997 vi sono relazioni diplomatiche. Nel paese ci sono due vicariati apostolici, a Bengasi e a Tripoli. La sfida vera è contro Berna. Ieri Tripoli ha chiesto ufficialmente il trasferimento fuori dalla Svizzera delle sedi delle Nazioni Unite. La segreteria generale del Comando popolare islamico internazionale, ente presieduto dallo stesso Gheddafi, ha definito il divieto «un provvedimento razzista» verso i musulmani. La Svizzera, in virtù della sua neutralità, ospita i quartier generali di numerose organizzazioni internazionali. In particolare, a Ginevra si trovano le sedi sia dell’Alto commissariato per i rifugiati e sia del Consiglio per i diritti umani dell’Onu, quelle della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa e anche dell’Organizzazione mondiale per il commercio (Wto). La tensione diplomatica è altissima, soprattutto dopo la decisione della Svizzera di non invitare la Libia al Forum economico mondiale (Wef) che come ogni annosi terrà a gennaio a Davos, nel Cantone dei Grigioni. Il portavoce della kermesse, Matthias Lüfkens, ha detto che la posizione elvetica rimarrà tale sino a che le relazioni del paese con Berna non saranno “normaliz - zate”. Una presa di posizione molto forte, una nuova umiliazione per Gheddafi. Che siauna cosa degna di nota lo spiega anche Lüfkens, che ha riconosciuto che la “decisione di non invitare un paese è del tutto eccezionale”, ricordando che nelle due passate edizioni del Forum Tripoli era presente proprio con i figli del leader libico.

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