Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Bus di pellegrini iraniani salta in aria a Damasco Cronaca e analisi di Lorenzo Cremonesi, redazione del Foglio
Testata:Il Foglio - Corriere della Sera Autore: La redazione del Foglio - Lorenzo Cremonesi Titolo: «Perchè lo 'scoppio di un penumatico' imbarazza il regime Damasco - e pugno duro: così il regime nasconde massacri e attentati - Bus di pellegrini iraniani salta in aria a Damasco»
Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 04/12/2009, a pag. 17, due articoli titolati " Censura e pugno duro: così il regime nasconde massacri e attentati " e " Bus di pellegrini iraniani salta in aria a Damasco ". Dal FOGLIO, a pag. 1-4, l'articolo dal titolo " Perchè lo 'scoppio di un penumatico' imbarazza il regime Damasco ". Ecco gli articoli:
Il FOGLIO - " Perchè lo 'scoppio di un penumatico' imbarazza il regime Damasco "
Bashar al Assad, dittatore Siriano
Roma. Il ministro dell’Interno siriano, Said Sammour, dice che “non è un atto di terrorismo, il bus è entrato nell’area di servizio per gonfiare un pneumatico e quello è esploso. Tre persone sono morte”. Ma è difficile considerare attendibile questa versione. Le prime agenzie dalla scena raccontano di un attacco con razzi contro un autobus carico di pellegrini iraniani fermo in una stazione di servizio di Damasco. Almeno sei vittime, il doppio. Un testimone oculare ha raccontato di “pezzi di corpi sparsi dappertutto”. Altri testimoni dicono che il retro dell’autobus “è completamente aperto e che i vetri dei palazzi circostanti sono in frantumi”. La versione ufficiale del governo insiste: “E’ stata la pressione del pneumatico esploso”. Ma una foto dell’autobus, uno Scania giallo, mostra il retro del mezzo completamente bruciato e tutti i vetri scoppiati. Assomiglia terribilmente a un autobus esploso. La Siria non ha alcun interesse a pubblicizzare l’accaduto, come in altre occasioni. Quando nel 2007 gli aerei israeliani distrussero un sito nucleare nel deserto, il regime provò a minimizzare, “quei caccia hanno soltanto lasciato cadere dei serbatoi vuoti di carburante”, e poi incarcerò le fonti interne che si lasciarono sfuggire la notizia del bombardamento. Ci sono altri pezzi dell’incidente di ieri che sono sospetti. E’ avvenuto nello stesso quartiere, Sayyeda Zainab, dove nel settembre dell’anno scorso un’autobomba di al Qaida – o meglio del suo braccio palestinese che alligna nei campi profughi del Libano, Fatah al Islam – uccise 19 persone. E’ un quartiere a rischio tra l’aeroporto e il centro, dove negli ultimi anni quasi tutti i volontari internazionali di al Qaida sono passati per andare a combattere in Iraq, con un santuario sciita – bersaglio appetibile numero uno, per gli estremisti sunniti – e una sede dei servizi segreti del regime secolare e corrotto – il bersaglio appetibile numero due. C’è un ulteriore elemento che non quadra. Il “pneumatico” è scoppiato proprio il giorno in cui era in visita nella capitale siriana Saeed Jalili, segretario generale del Supremo Consiglio iraniano per la sicurezza nazionale, capo negoziatore sul nucleare e uomo dell’intelligence di Teheran. Il suo incontro con il ministro degli Esteri siriano – tra Siria e Iran c’è un’alleanza strategica che fa da motore per la violenza mediorientale – previsto per la mattinata di ieri è stato cancellato. Sempre causa “esplosione del pneumatico”. Secondo l’intelligence americana la parte orientale della Siria, quella più brulla, povera e confinante con l’Iraq, sta diventando una zona franca per al Qaida. L’equivalente mediorientale delle aree tribali del Pakistan – da dove il gruppo, assieme ai talebani, dirige le operazioni militari in Afghanistan e gli attacchi terroristici contro il Pakistan centrale. Per questo già un anno fa le squadre speciali americane attraversarono il confine e uccisero una cellula terrorista che si considerava al riparo. Al Qaida in Siria conduce operazioni contro il vicino Iraq, con l’aiuto di ex membri del partito Baath iracheno in esilio. La leadership centrale di al Qaida, dopo la disfatta irachena del 2008, ha mandato in Siria Sheikh Issa al Masri, “Gesù l’egiziano”, un ideologo carismatico, con il compito di ricostruire il network appena al di qua del confine della Siria, da dove è possibile raggiungere Baghdad con poche ore di autostrada: sono suoi gli attentati multipli ad agosto e a ottobre che hanno devastato i ministeri iracheni e hanno ucciso più di 230 persone. Ma il gruppo potrebbe aver deciso di rivolgere le armi anche verso l’interno, verso un bersaglio facile come gli odiatissimi pellegrini sciiti, protetti dal regime, nel giorno in cui Damasco incontrava il rappresentante dello stato iraniano, sciita e quindi considerato eretico e nemico.
CORRIERE della SERA - Lorenzo Cremonesi : " Censura e pugno duro: così il regime nasconde massacri e attentati "
È dagli accenni, dai particolari omessi, dai dettagli contradditori che si comprende l’onnipresenza della censura siriana. PrimaAl Jazeera parla di un attentato a un bus di pellegrini iraniani e mostra le immagini del mezzo gravemente danneggiato. La riprendono subito tutte le agenzie stampa internazionali. Ma tempestivamente intervengono i ministri, che in un primo tempo sostengono sia stato «lo scoppio di un pneumatico» a causare l'incidente. Poi, visto che sono ormai state diffuse le immagini, correggono la versione e spiegano che sarebbe esplosa una bombola del gas. L’importante è minimizzare la gravità, insistere sulla tesi dell’incidente, insomma cancellare la parola terrorismo. E i giornalisti locali si adeguano. Non possono fare altro, se non vogliono perdere il posto. O addirittura peggio: la prigione e le torture da parte del «mukhabarat», il servizio segreto.
Non è certo la prima volta che il regime impone il diktat sui giornalisti. Nella lunga storia di silenzi e reticenze primeggia quella sulla strage di Hama, nel febbraio 1982. Allora, questa nota roccaforte dei Fratelli Musulmani, fu messa a ferro e fuoco dai reparti scelti tra la minoranza alawita inviati dal presidente Hafez El Assad.
Il massacrò durò tre settimane, con l’utilizzo massiccio di aviazione e artiglieria pesante.
Nessun giornalista venne ammesso nella zona, le prime notizie frammentarie iniziarono a filtrare un paio di mesi dopo. Ma la censura si mantenne ferrea.
Ancora oggi resta incerto il numero delle vittime. I più vicini al regime parlarono di 3.000 morti, i suoi nemici persino di 20.000. Il numero che va per la maggiore si attesta sui 10-12.000. In tempi più recenti, dopo la morte di Hafez El Assad nel 2000, si sperò per un attimo che con il successore, il figlio Bashar, la libertà di stampa potesse migliorare. E per qualche mese in effetti fu così. Salvo poi tornare ai livelli del passato quando Bashar pose fine al movimento di intellettuali che stavano alzando la testa in nome di libertà e democrazia.
Così non si è saputo quasi nulla degli attentati che hanno insanguinato il Paese negli ultimi anni. Le autorità hanno nascosto gli effetti del bombardamento israeliano nel 2007 sul reattore nucleare di fabbricazione nordcoreana. E resta tabù fare domande sulle responsabilità siriane per l’assassinio del leader libanese, Rafiq Hariri, nel febbraio 2005.
CORRIERE della SERA - Lorenzo Cremonesi : " Bus di pellegrini iraniani salta in aria a Damasco "
Un'immagine dell'autobus
Incidente o attentato? Resta fitto il mistero sull'esplosione che ieri mattina ha investito un autobus carico di pellegrini iraniani che stavano dirigendosi verso lo Sayyida Zeinab, un noto luogo santo sciita alla periferia di Damasco. Due versioni discordanti inducono a sospettare che ancora una volta il regime sia pesantemente intervenuto per censurare la tesi della pista terroristica.
Secondo le ricostruzioni avanzate in un primo tempo dai giornalisti locali, una bomba (alcuni indicavano addirittura un'auto kamikaze) sarebbe esplosa contro l'automezzo causando «decine di feriti e almeno sei morti». I testimoni sul posto parlavano di «brandelli di corpi sparsi sul selciato attorno al mezzo in fiamme».
Altri specificavano che lo spostamento d'aria causato dallo scoppio avrebbe gravemente danneggiato i palazzi vicini e infranto i vetri di quelli posti a «parecchie centinaia di metri di distanza». Più tardi però è voluto intervenire personalmente il ministro degli Interni, Said Sammur, per fornire una versione molto diversa. «Non vi è alcun elemento terroristico. Si tratta di un semplice incidente. L'autobus è giunto sul piazzale di una stazione di benzina per fare rifornimento e gonfiare le gomme. Durante questa operazione è scoppiato un pneumatico che ha causato l'incendio. I morti accertati sono tre», ha specificato.
Dubitare è lecito. Dall'invasione americana in Iraq, nella primavera 2003, anche la Siria è stata investita dalle violente tensioni fra sciiti e sunniti che insanguinano l'intera regione. Non è la prima volta che i pellegrini iraniani vengono attaccati dai gruppi wahabiti filo-qaedisti. Si tratta di eventi sempre accuratamente nascosti dal regime. Non è un mistero che gli alawiti, il gruppo religioso di cui fa parte la famiglia del presidente Bashar Assad, costituiscano una piccola minoranza legata agli sciiti in questo Paese a grande maggioranza sunnita. Il regime, in nome del baathismo laico, ha sempre represso con forza brutale qualsiasi movimento che propugnasse la divisione interna in nome delle appartenenze etnico-religiose. Oggi la recrudescenza del terrorismo in Siria si può spiegare anche con le tensioni che stanno accompagnando i preparativi delle elezioni in Iraq, previste per il 21 gennaio, ma ancora in forte dubbio a causa dei timori sunniti di una grande vittoria sciita.
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