Sia chiaro, la religione non c'entra nulla con il referemdum svizzero. Il voto contro l'aperura di nuovi minareti è squisitamente politica. L'islam non è infatti solo una dottrina, ma un sistema politico, che, come tale, si propone un obiettivo politico: la conquista degli infedeli, cioè di tutti coloro che non professano la fede musulmana. Naturalmente, quasi tutta la stampa italiana sposa la tesi del "partito xenofofo", intervista Tariq Ramadan, eleggendolo a difensore della fede, quando è vero il contrario. Ramadan, in buona compagnia con tutti gli imam che governano le moschee,non solo in Svizzera ma anche in Italia, dipende dai " Fratelli musulmani", altrochè leader moderato. Gli svizzeri se ne sono accorti e hanno detto "adesso basta". Il primo stop a Eurabia è arrivato. Aspettiamo fiduciosi i prossimi.
Ci saremmo anche aspettati delle dichiarazioni da parte dei musulmani moderati del COREIS, ma non è stato così. Peccato.
Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 30/11/2009, a pag. 1.29, l'articolo di Pierluigi Battista dal titolo " No, bocciata la libertà religiosa ", a pag. 3, l'intervista di Gian Guido Vecchi a Giovanni Maria Vian, direttore dell'Osservatore Romano dal titolo " Strumentalizzare le religioni porta sempre frutti velenosi ". Dalla STAMPA, a pag. 1-35, l'articolo di Franco Cardini dal titolo " Missili e campanili " e, a pag. 6, l'intervista di Ferruccio Sansa a Izzedin Elzir, portavoce dell'UCOII dal titolo " Se lasciamo i garage, i fanatici diminuiranno ". Dalla REPUBBLICA, a pag. 8, l'articolo di Renzo Guolo dal titolo " I timori del contagio " e, a pag. 9, l'intervista di Francesca Caferri a Tariq Ramadan dal titolo " Un risultato scioccante è il trionfo della paura ". Ecco gli articoli, preceduti dai nostri commenti:
CORRIERE della SERA - Pierluigi Battista : " No, bocciata la libertà religiosa "
Pierluigi Battista scrive che questo referendum è " guerra preventiva ai luoghi della preghiera ". Si sbaglia. Il referendum è volto ad impedire la costruzione di nuovi minareti in Svizzera dove, al momento, ne esistono già quattro. Questo non ha nulla a che vedere con la libertà di professare la propria religione in luoghi di culto appositi. Infatti in Svizzera, al momento, esistono 200 moschee e, nel referendum, non si menziona nè l'opzione di eliminarle, nè di bloccare la costruzione di nuove.
Ecco l'articolo:
La bocciatura svizzera dei minareti si gloria con nobili intenzioni stilistiche e architettoniche, come se davvero lo splendore autoctono dei laghi e delle montagne avesse bisogno di essere protetto dall’intrusione di torri sgraziate. Ma nel referendum svizzero hanno bocciato a maggioranza la libertà religiosa. Non la tutela del paesaggio, ma la guerra preventiva ai luoghi della preghiera.
Si sentono minacciati, ma hanno fatto di un minareto il quartier generale del nemico. Non hanno chiesto il controllo di ciò che viene predicato e agitato nelle moschee. Non si sono ribellati a costumi in contrasto con i principi che ci sono più cari, dalla libertà della donna alla separazione tra politica e religione, dalla democrazia all’autonomia delle leggi civili dalle pretese di un testo sacro. E non hanno nemmeno vellicato un istinto di sicurezza, che in Svizzera, per la verità, ha meno ragioni di esasperarsi che da noi. No, hanno manifestato un’ostilità preventiva e non negoziabile ai luoghi di culto. Hanno identificato nel muezzin che dai minareti chiama i fedeli alla preghiera il nemico in agguato, il simbolo della minaccia, l’aggressione a un’identità culturale. E se c’è un esempio della tanto evocata tirannide della maggioranza, da ieri basta recarsi in Svizzera per contemplarne un modello.
Hanno dato la risposta peggiore alla minaccia islamista che incombe sull’Europa, peggiore anche dell’illusione multiculturalista i cui contraccolpi negativi sono oggi al centro della riflessione autocritica in Gran Bretagna e in Olanda. Se pensavano a una ritorsione per le persecuzioni e le discriminazioni religiose che infestano i Paesi in cui la legge non è che l’applicazione letterale e senza scampo della sharia, hanno imboccato la strada più pericolosa. Più pericolosa per le minoranze religiose che nel mondo dell’integralismo islamico non hanno diritto di parlare, esprimersi, pregare, esporre i simboli del proprio credo. È ovvio che i primi a rammaricarsi per il risultato svizzero siano stati i vescovi: non si può rispondere con i divieti a chi considera un reato punibile con la morte il semplice possesso di un crocefisso. Non è con l’ostruzionismo che dovrebbe impedire la costruzione di un minareto che si possono salvare le chiese altrove saccheggiate e bruciate, o avere più a cuore la sorte degli ebrei e dei cristiani che sono costretti alla clandestinità della loro fede.
Il divieto di minareto è inutilmente offensivo, controproducente. E colpisce il bersaglio sbagliato. Schiaccia i più moderati nelle braccia degli oltranzisti. Suscita risentimenti e vittimismi. Offre gratuitamente argomenti a chi parte per l’Europa con intenzioni ostili. Scambia catastroficamente la religione con la politica. Anziché chiedere conto agli islamici dei loro comportamenti, li umilia ostacolando le loro preghiere. Invece di esigere che tutto si svolga alla luce del sole, ricaccia nell’ombra chi vuole solo pregare e non ha intenzione di unirsi ai nemici dell’Occidente che considerano l’Europa terra di infedeli da combattere.
Non c’è niente di male nella costruzione di una moschea (che in Svizzera sono già duecento, peraltro) o di un minareto. Il male è che le moschee diventino luogo di reclutamento del verbo fondamentalista, e questo male è destinato a inasprirsi dopo il referendum svizzero. Il male non è la libera preghiera, ma il velo islamico non liberamente scelto ma imposto da autorità onnipotenti, padri padroni, mariti prepotenti. Non è il suono del muezzin, ma l’ostentazione di un’ostilità minacciosa, come quella che ha conosciuto Milano quando, in gesto di sfida, si inscenò la genuflessione islamica davanti al sagrato del Duomo.
Si capisce che alcuni esponenti della Lega esultino per il risultato svizzero. Si capisce un po’ meno che siano seguiti da chi invece non ha fatto della purezza etnico- religiosa la propria bandiera. Che dovrebbe battersi per la reciprocità della libertà religiosa e perché sia garantita l’integrità delle chiese e delle sinagoghe, la sacralità dei luoghi di culto ovunque essi siano. Il resto è solo paura, terrore cieco. Ma la paura fa commettere errori imperdonabili. Anche se espressi a maggioranza. Anche se la democrazia smarrisce se stessa, se non tutela le minoranze. Comprese quelle che pregano in modo diverso.
CORRIERE della SERA - Gian Guido Vecchi : " Strumentalizzare le religioni porta sempre frutti velenosi "
Nel corso dell'intervista, Vian fa notare un aspetto interessante : " trovo un po’ ridicolo che ora i Verdi vogliano ricorrere per i minareti alla Corte di Strasburgo: la stessa che vorrebbe togliere i Crocifissi.".
In ogni caso, non condividiamo la sua visione di reciprocità. Quello che descrive lui, è un idillio (inesistente) fra cristianesimo e islam. Nei paesi islamici la libertà di culto per le altre religioni non è garantita. In ogni caso, come già scritto nella critica a Battista, facciamo notare che, in Svizzera, non è in gioco la libertà di culto, ma il blocco della costruzione di nuovi minareti. Due cose diverse. Ecco l'intervista:
CITTÀ DEL VATICANO — «Bisogna stare attenti, a strumentalizzare le religioni. È una cosa che ha sempre portato frutti cattivi, velenosi». Giovanni Maria Vian, direttore dell’ Osservatore Romano , riflette pacato sulla genesi del referendum, prima ancora che sul risultato: «Premesso che c’è il pieno rispetto del voto popolare, come del resto hanno detto le autorità civili e religiose svizzere, trovo molto interessante ciò che ha osservato alla Radio Vaticana monsignor Felix Gmür, segretario generale della Conferenza episcopale svizzera: non siamo riusciti a fare abbastanza per spiegare che era un referendum da respingere. Una sorta di autocritica che dobbiamo fare tutti, religiosi e non».
Autocritica in che senso, professore?
«Ci sono già state iniziative del genere, di carattere politico estremistico, ad esempio in Austria. Una campagna molto aggressiva, giocata sulla paura, che purtroppo ha fatto breccia».
È preoccupato di ciò che può accadere?
«Di per sé, in Svizzera, non mi pare che cambi granché dal punto di vista della libertà di culto o religiosa: le moschee ci sono, i quattro minareti che esistono resteranno e del resto non vengono usati per il culto. Il problema è simbolico, più che altro».
La paura degli elettori, però, è reale… «Viene posto il problema della presenza dell’Islam, un tema che è sotto gli occhi di tutti e va affrontato con grande prudenza, tendendo presente che la libertà di culto in Europa è fuori discussione. Per questo è interessante la reazione dei vescovi svizzeri: la pura deplorazione avrebbe poco senso. Rischierebbe di essere percepita come la reazione di una élite lontana dalle preoccupazioni della gente. È giusto invece dire: non siamo riusciti a far capire cosa c’è in ballo».
Che cosa?
«Per i cattolici la religione è anche un fatto pubblico. Tra l’altro, trovo un po’ ridicolo che ora i Verdi vogliano ricorrere per i minareti alla Corte di Strasburgo: la stessa che vorrebbe togliere i Crocifissi. La propaganda contro i minareti, comunque, è contraddittoria da parte di quelle forze che a volte si appellano a parole d’ordine vuote».
Tipo la difesa della cristianità agitata dagli estremisti politici?
«Tipo. C’è da ricordare che a Roma, simbolo della cristianità, a metà degli anni Settanta fu proprio il vescovo della città, Papa Paolo VI, ad acconsentire che si desse il via libera alla costruzione della moschea più grande d’Europa. Ma non c’è solo questo».
Che altro?
«In ballo c’è anche la libertà dei cristiani nei Paesi islamici».
Il problema della reciprocità. C’è chi dice: se i Paesi islamici non danno libertà di culto, bisogna reagire con durezza.
«No, come diceva l’arcivescovo Antonio Maria Vegliò: Gesù non si è comportato così. Questo non significa ignorare i problemi. I problemi vanno visti e affrontati ». Già, ma come?
«La cosa fondamentale, nei rapporti con l’Islam e tra Islam e cristianesimo, è il rifiuto dell’uso violento della religione. È una menzogna ateistica sostenere che i monoteismi sarebbero di per sé violenti. Nella tradizione islamica, d’altra parte, c’è un problema non risolto nel rapporto tra religione e politica. Ecco perché Benedetto XVI dice che bisogna confrontarsi sulle radici culturali, ricorrendo ad un elemento comune come la ragione, il logos».
Ma è possibile, in concreto?
«L’uso distorto e violento della religione fa vittime anzitutto nei paesi islamici. In tema di reciprocità, è importante la visita che in questi giorni il cardinale Jean-Louis Tauran sta facendo in Indonesia: dove si respira un’aria diversa da quella che soffia dai venti di intolleranza. Lì sembra esserci un Islam maggioritario ma di tendenza moderata. Direi che la reciprocità si possa intendere in questo senso: una sfida comune a favorire la tolleranza e la libertà di culto ovunque ».
La STAMPA - Franco Cardini : " Missili e campanili "
Cardini cerca di capovolgere la realtà nel suo articolo, giocando sull'assurdo.
Un campanile in Svezia non la rende papista, un tempio ebraico a New York non fa degli States uno Stato ebraico..è tutto vero, ma c'è una differenza fra le religioni citate da Cardini e quella islamica. Le prime non hanno velleità di conquista del mondo, nè parlano di Jihad. I terroristi di oggi non sono integralisti cattolici o buddhisti, ma islamici. I minareti e le moschee, spesso, diventano centri di reclutamento fuori controllo per terroristi.
Leggendo l'articolo di Cardini sembra che in Svizzera l'islam sia stato messo al bando, che non sia più possibile professare una fede diversa da quella cattolica. Non è così. Esistono circa 200 moschee. Nessuno ha intenzione di abbatterle, nè di bloccare la costruzione di nuove. Il referendum riguarda i minareti. Per questo non vediamo in esso l'umiliazione di " molte decine di migliaia di credenti rifiutando loro un simbolo di libertà religiosa ".Per saperne di più su Cardini, leggere il libro di Alexandre Del Valle " Rossi, neri e verdi ", ed. Lindau. Ecco l'articolo:
Non c’è bisogno di aver letto Landscape and Memory (1995) di Simon Schama sulla storia del paesaggio per sapere che ambienti e landscapes si modificano col tempo.
Anche e soprattutto grazie all’opera dell’uomo: e che poco c’è in essi di puramente «naturale», niente di definitivamente «bello». Agli antichi elvezi, probabilmente, le torri e i templi dei romani sulle prime non piacevano affatto; e, agli elvezi romanizzati, non dovevan garbare granché i campanili. Che quindi qualche minareto avrebbe davvero compromesso l’armonioso paesaggio svizzero, con i suoi laghi e i suoi pascoli, è lecito dubitare. Le ragioni del «sì» degli abitanti della felice Confederazione Elvetica al referendum sul bando alla costruzione delle torri da cui si chiamano i musulmani alla preghiera debbono essere anche altre.
«Simboli del potere islamico», è stato detto. Ma quale potere? Un campanile cattolico in Svezia significa forse che quel Paese è passato al papismo? I templi buddhisti di New York simboleggiano il passaggio degli States alla fede in Gautama Siddharta? E la monumentale sinagoga di Roma significa forse che la Città Eterna è in mano agli ebrei?
«Niente minareti se non c’è reciprocità», ha cristianamente sentenziato qualcuno. Ma di quale reciprocità si tratta? Di campanili cristiani molti Paesi musulmani abbondano: dalla Turchia alla Siria alla Giordania all’Egitto all’Algeria; e il fatto che il re dell’Arabia Saudita ne vieti la costruzione autorizza forse moralmente gli svizzeri a negare un minareto a una comunità musulmana fatta di turchi o di maghrebini, che col monarca wahhabita non hanno proprio nulla a che fare?
Ma le moschee sono fonte d’inquinamento fondamentalista, proclama qualcun altro. Dal che s’inferisce che l’unico modo per controllare e contrastare il fondamentalismo sia quello di umiliare molte decine di migliaia di credenti rifiutando loro un simbolo di libertà religiosa. E’ arrivata a questo, la nostra regressione verso l’intolleranza?
Giratela come volete: ma il risultato del referendum svizzero è un altro tassello nell’allarmante puzzle della perdita delle virtù di tolleranza e di ragionevolezza di cui l’Europa e il mondo occidentale stanno dando di questi tempi prove sempre più chiare. E che questa febbre sia grave è prova il contestuale rifiuto, opposto dal medesimo popolo svizzero, all’altro referendum, che gli chiedeva il divieto dell’esportazione di armi e materiale bellico al fine di sostenere lo sforzo internazionale per il disarmo. Qui, di fronte a ovvi motivi di ben concreto interesse economico, il popolo per definizione più pacifico d’Europa - ma anche quello militarmente parlando meglio esercitato - ha rifiutato di arrestare il «commercio di morte». E’ vero, le armi fanno male alla gente. Ma in fondo anche il tabacco e gli alcolici: e allora perché non continuarne produzione e vendita, magari con l’apposizione di qualche scritta d’avvertimento (tipo: «Sparare al prossimo fa male anche a te»)?
C’è del metodo, in questa follia. Curioso che il minareto somigli dannatamente a un missile, o anche a un bel proiettile lucente di fucile. I Mani di Charlton Heston, ex Mosè, ex Ben Hur, che tra 1998 e 2003 fu presidente dell’americana National Rifle Association, ne saranno estasiati. Lo ricordate, senescente eppur fiero della sua armeria simbolo di libertà, nel Bowling for Columbine di Michael Moore? Chi oggi esulta per l’esito del doppio referendum svizzero può prendere il vecchio Charlton a emblema del suo trionfo. A questo punto, per il momento, è arrivata la nostra notte.
La STAMPA - Ferruccio Sansa : " Se lasciamo i garage, i fanatici diminuiranno "
Izzedin Elzir, portavoce dell'UCOII, sostiene che " Anche per combattere questi eccessi sarebbe utile costruire nuove moschee (...) se abbandonassimo le sale avvilenti, quasi clandestine, usciremmo verso una realtà aperta. Se ci sentissimo accettati perderebbe terreno l'esasperazione ". Più moschee e minareti, meno terrorismo. Come no. Non comprendiamo questa relazione. E ci chiediamo, se essa è veritiera, come mai il terrorismo islamico sia nato in paesi islamici, fondamentalisti e dove il dialogo interreligioso è inesistente.
Ecco l'intervista:
Izzedin Elzir, lei è portavoce dell'Ucoii, l’Unione delle Comunità ed Organizzazioni Islamiche in Italia. Nel nostro Paese fioriscono i progetti di moschee: sono davvero essenziali per la vostra comunità?
«Sì, sono il luogo dove un musulmano fa le cinque preghiere. Molto di più: qui si insegnano religione e cultura. Si impara un modo di vivere e di convivere».
Gli attuali luoghi di preghiera non sono sufficienti?
«Non ce la sentiamo più di pregare in garage e scantinati, non degni della nostra comunità, che umiliano e avviliscono».
Gli italiani, però, temono il diffondersi di luoghi di culto estranei alla fede cattolica e alla fisionomia delle città.
«L'Italia è un Paese civile, bellissimo. Il nostro popolo, gli italiani intendo, crede fermamente nei diritti degli uomini e nella libertà religiosa».
Molti temono il diffondersi del fondamentalismo.
«Anche per combattere questi eccessi sarebbe utile costruire nuove moschee».
E' sicuro?
«Sì, se abbandonassimo le sale avvilenti, quasi clandestine, usciremmo verso una realtà aperta. Se ci sentissimo accettati perderebbe terreno l'esasperazione».
L'atteggiamento delle comunità islamiche verso gli estremisti non è a volte ambiguo?
«Cerchiamo di isolare chi propaganda la guerra».
Accettereste di parlare italiano nelle moschee?
«La predica del venerdì si fa già in arabo e in italiano. Non tutti i musulmani parlano arabo, la lingua ufficiale dell'Ucoii è l'italiano».
Non sarà facile convincere tutti, soprattutto la Lega.
«Siamo aperti al dialogo. La Lega ha una posizione dura, ma c'è rispetto. Il confronto è l'unico strumento».
C'è chi sfiora il razzismo.
«A me non piace fare la vittima. E' vero, l'islamofobia è diffusa, ma si risolve lavorando con tutti. Abbiamo un intenso dialogo interreligioso».
Come sono i rapporti con la Chiesa?
«Ottimi. La Chiesa non è contro la costruzione dei luoghi di culto. Chi crede rispetta la fede degli altri».
La REPUBBLICA - Renzo Guolo : " I timori del contagio "
La posizione di Guolo è espressa dalla descrizione che fa dei partiti che hanno promosso il referendum : "destra xenofoba e nazionalista svizzera".
Per Guolo essere realisti e arginare il fenomeno di islamizzazione dell'occidente significa essere islamofobi.
Ecco l'articolo:
Uno stop che non riguarda la libertà di culto, incomprimibile nello spazio europeo anche fuori dall´Unione, ma la dimensione simbolica della presenza islamica nel paese. Con il referendum, tipica modalità della democrazia diretta elvetica, la destra chiedeva una modifica costituzionale che vietasse l´edificazione di nuovi minareti, definiti espressamente "simbolo di imperialismo politico-religioso". Affermazione che rivela come il nodo del contendere, che va oltre i confini della Confederazione e conferma come la forma del conflitto in Europa assuma, sempre più, i tratti del conflitto sui valori, sia ormai la visibilizzazione dell´islam nello spazio pubblico. Visibilizzazione negata, nel tentativo di marcare gerarchicamente il territorio attraverso l´espulsione di dimensioni simboliche, siano esse il minareto o il velo, considerate minacciose per l´identità locale declinata in chiave religiosa o etnica.
Battaglia che la destra xenofoba e nazionalista svizzera e le correnti evangeliche più legate al cosiddetto "sionismo cristiano", movimento diffuso negli Usa che nell´islam vede un ostacolo alla realizzazione messianica della loro apocalittica dottrina, conducono in nome di un identità cristiana iperpolitica, che prescinde dalle posizioni delle leadership delle confessioni maggioritarie. Tanto che mentre i proponenti chiedevano di inserire il divieto in Costituzione, come misura «atta a mantenere la pace fra i membri delle diverse comunità religiose», le altre confessioni osteggiavano apertamente tale indicazione. La stessa Chiesa cattolica giudicava la vittoria del "sì" un ostacolo sulla via dell´integrazione e del dialogo. Icona di un cristianesimo senza Cristo, quella veicolata dalla destra cristiana xenofoba, in Svizzera come altrove, che tende a impugnare la Croce sottraendola alle Chiese, accusate di non interpretare il vero «sentire del popolo, spesso oscillanti tra il timore per la loro presa in un Continente secolarizzato e religiosamente plurale e l´opposizione alla discriminazione verso gli immigrati».
Un voto, nonostante i troppo ottimistici pronostici contrari, in continuità con alcuni referendum del passato e con gli orientamenti emersi nelle ultime elezioni politiche. Anche se nella circostanza l´oggetto non era tanto, o solo, l´immigrazione proveniente dai paesi islamici, il 5% della popolazione, circa quattrocentomila persone, ma la rigerarchizzazione delle culture e delle religioni per via politica.
Un voto destinato a rilanciare, anche lontano dalle rive del Lemano e più vicino a Chiasso, le polemiche sui luoghi di culto islamici; oltre che l´idea che la libertà religiosa, inscindibile dalla possibilità di edificare luoghi di culto, possa essere oggetto di pronunciamento popolare, magari a livello locale e senza più dover mascherare il quesito dietro a vaghe motivazioni estetiche o urbanistiche. Come se i diritti fondamentali fossero disponibili al giudizio della mutevole maggioranza del tempo.
Un pronunciamento che deve far riflettere anche quanti ritengono l´integrazione dell´islam nelle società europee un corollario del nuovo pluralismo religioso e culturale che le caratterizza. I generici appelli al dialogo e al riconoscimento del pluralismo non bastano più per fronteggiare le derive xenofobe: servono pragmatiche politiche pubbliche capaci di produrre insieme coesione, sicurezza e libertà. Il "si" svizzero obbliga, infine, gli stessi musulmani a pensarsi meno in termini di comunità e più in termini di individui. Trasformazione che presuppone anche il superamento di posizioni e leadership tese a mantenere rigidamente coese le comunità; mentre il progredire dell´interazione con le società europee, vero antidoto alla politica esclusivista invocata da attivi imprenditori politici della xenofobia e favorita dallo stesso riflesso di chiusura di leadership che perseguono l´autoghetizzazione comunitaria per proteggere i musulmani dalla "contaminazione" con l´ambiente "impuro" circostante, implica un´apertura destinata a metterle in secondo piano. Scelta che implica l´accettazione di un islam europeo, lontano dai canoni di tradizioni o neotradizioni che, a torto o a ragione, appaiono agli autoctoni foriere di minacce.
La REPUBBLICA - Francesca Caferri : " Un risultato scioccante è il trionfo della paura "
Tariq Ramadan scrive :" I musulmani devono smettere di cercare di essere invisibili e inserirsi invece nel dibattito a tutti i livelli: parlare di ecologia, così come di economia. Le società europee dovrebbero essere più coraggiose: discutere di emarginazione, di disoccupazione, di povertà. Sono questi gli elementi che possono creare futuri nemici dentro all´Europa, non la religione.". Musulmani invisibili? Se fossero tali, non avrebbero moschee e in Svizzera non si sarebbe sentita la necessità di bloccare la costruzione di minareti.
Tariq Ramadan guarda con orgoglio alla Spagna, dove è appena stato fondato un partito islamico : " L´Europa deve mostrare fiducia nei confronti dei suoi stessi cittadini. Servono programmi coraggiosi, partiti coraggiosi: se il dibattito resta in mano ai partiti populisti le cose non miglioreranno ".
Tariq Ramadan si maschera da moderato ma, di fatto, teorizza l'islamizzazzione profonda dell'occidente mediante il "radicamento delle comunità musulmane all´interno della realtà europea ". La prossima proposta quale sarà? Convertire in massa e obbligatoriamente gli infedeli? Tagliare la gola agli atei? Frustare e impiccare gli omosessuali e le donne che rifiutano il velo? Ecco l'intervista:
«Un risultato scioccante». Tariq Ramadan, uno dei massimi esperti di Islam europeo, controverso sostenitore della necessità di un radicamento delle comunità musulmane all´interno della realtà europea, reagisce così ai risultati del referendum in Svizzera. Un paese che conosce bene, perché è quello in cui risiede quando non insegna a Oxford o gira per conferenze nel resto d´Europa.
Scioccante perché, professor Ramadan?
«Perché i sondaggi davano solo il 30% di supporto a questa iniziativa, e invece sono stati smentiti. E perché il risultato dimostra che i partiti più estremisti sono quelli che stanno guidando il dibattito sull´Islam in Europa. Succede in Svizzera, ma anche in Olanda e da voi in Italia. Si sta facendo leva sulla paura della gente per far passare il messaggio che l´Islam non è compatibile con la società europea. E questo è scioccante».
Dunque siamo di fronte a un fenomeno che va oltre i confini svizzeri…
«Sì, certo. Guardiamo alla questione del velo in Germania, a quella delle scuole in Italia: il problema vero è quello della nuova visibilità delle comunità musulmane. Qualunque segno - un vestito, il colore della pelle, un simbolo religioso, una sala di preghiera - diventa un problema. C´è in Europa la paura costante che ciò che è diverso possa cambiare il continente».
Cosa si può fare per cambiare questo atteggiamento?
«Io penso che il problema stia in entrambi i fronti. I musulmani devono smettere di cercare di essere invisibili e inserirsi invece nel dibattito a tutti i livelli: parlare di ecologia, così come di economia. Le società europee dovrebbero essere più coraggiose: discutere di emarginazione, di disoccupazione, di povertà. Sono questi gli elementi che possono creare futuri nemici dentro all´Europa, non la religione. L´Europa deve mostrare fiducia nei confronti dei suoi stessi cittadini. Servono programmi coraggiosi, partiti coraggiosi: se il dibattito resta in mano ai partiti populisti le cose non miglioreranno. Perché puntano solo alla contrapposizione».
Vede una responsabilità della comunità musulmana in questa mancanza di dialogo?
«Sì certo. I musulmani non hanno finora lavorato abbastanza per far ascoltare la loro voce e far capire le loro posizioni».
Si aspetta qualche forma di violenza ora?
«No, non in Svizzera. E francamente non in Europa. Quello che temo è piuttosto che i grandi paesi a maggioranza musulmana prendano delle posizioni dure. Le manifestazioni di rabbia avrebbero conseguenze politiche pesanti. Non arriveremo a nulla in questa maniera».
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